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giovedì 22 maggio 2014

La libertà passa per l’abolizione del lavoro

Il ritmo della società mercantile ha fin troppo determinato i corpi nella danza della paura, del disprezzo, dell’umiliazione, della vendetta, la danza dei carnivori, dei cacciatori, dei poliziotti, dei terroristi, dei burocrati. Non presentite la marcia felina e imprevedibile dei partigiani della vita ad oltranza, dei guerriglieri del godimento, dei poeti dell’autonomia improvvisamente coalizzati in una irreprimibile forza?
Come esiste una contaminazione del rapporto mercantile, così esiste anche un contagio della volontà di vivere. È adesso che daremo il colpo di grazia alla civilizzazione della morte, non con la forza delle cose, ma con il godimento che la dissolverà.
Le crisi si moltiplicano, e le scosse che fanno tremare il vecchio edificio statale ed economico non si contano più. C’è da credere che basterebbe un gran risata per seppellirlo.
Creare per il piacere, non è forse questo che si fa oggi nei luoghi stessi che hanno servito da modello all’organizzazione della nostra vita quotidiana, le fabbriche della produzione industriale? Un sabotaggio sempre più disinvolto trasformerà un reparto di costruzioni in una sala da gioco, cambierà un magazzino in un centro di distribuzione gratuita, si farà beffe delle parole dei capi e dei discorsi degli agitatori. Chi oserà impadronirsi della fabbrica per organizzare un’altra forma di lavoro? Tutto è stato prodotto, rubando alla creatività di milioni di operai. Perché stupirsi di veder uscire dallo smembramento sistematico delle fabbriche, dei reparti di progettazione, perché dubitare che possa nascere dalle rovine di questi modelli inariditi della merce, di che costruire le nostre dimore, i nostri piaceri, i nostri sogni, le nostre avventure, la nostra musica, i nostri vagabondare di terra, d’acqua, d’aria e di fuoco? 

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