La sofisticazione, che la moda ecologica ci ha insegnato a cogliere nei cibi, nell’aria che respiriamo, nella crescente distruzione dell’ambiente naturale, ha in ultima analisi le sue radici nell’uomo stesso, nella sua attuale natura di UOMO DEL CAPITALE.
Nella metamorfosi reciproca di uomo in capitale (capitalizzazione) e di capitale in uomo (antropomorfosi) si può cogliere il momento di passaggio dai sistemi ideologici del passato all’ideologia materializzata del presente.
Certamente non ci si deve aspettare che il capitale metta in atto la denuncia della sofisticazione complessiva della vita con la stessa prontezza e lo stesso zelo interessato con cui ha imparato a criticare i suoi settori separati: denunciando infatti astutamente la scadente qualità di prodotti particolari (la coppia, il latte, il dentifricio, la democrazia, il formaggio, le automobili ecc.) non si fa altro che inventarne e garantirne la genuinità nella nuova confezione; denunciare invece la totale mostruosità del complesso sociale, la sua assoluta disumanità, significherebbe denudare il re, mostrandolo vulnerabile alle pietre e ai desideri dei suoi sudditi oppressi nella repressione. E quando cade il tabù subito il totem lo segue nella caduta, tanto più rovinosa quanto più pesante è il feticcio. Resta il fatto che una spessa cortina, ormai ben più corposa di una nebbia, funziona da filtro tra le frustrazioni dei sudditi e l’arroganza del potere. Un potere che, per esigenze della sua stessa natura, ha dovuto traslocare la sua immagine, un tempo riflessa nelle eteree e ben sicure regge del cielo, alle individuabili e ben più attaccabili “cities” dei quartieri metropolitani.
Mentre per diluire la forza della protesta i flauti di un rinnovato revival mistico hanno sostituito (insieme all’eroina) le trombe degli angeli e le campane dei profeti, le chitarre elettriche della scienza meccanicistica sviluppano il concerto a DIO capitale nel suo sforzo conclusivo verso l’eternità e l’autonomizzazione.
A questo punto non è più pensabile operare per una trasformazione radicale della società se non avendone innanzitutto svelato la vera natura sacrificale nascosta nell’armatura ideologica.
La sofisticazione globale è in atto ormai da tempo e tutti noi continuiamo ad inghiottirla nonostante che i nostri corpi e le
nostre menti diano ormai evidenti segni di intossicazione.
Uscire dall’ideologia resa ecologica ma sempre più drammaticamente biodegradante, significa riconoscere le trappole copiose della falsa coscienza in ciascuno di noi e fra noi tutti come corpo sociale; significa cominciare a distinguere i nostri desideri SPECIFICI da quelli indotti e lottare per la loro realizzazione; signica cominciare ad essere i soggetti reali della nostra vita e non più “persona/e” (=maschere) di una rappresentazione.
In principio ciò passa probabilmente per una condizione di terribile isolamento, ma proprio in questo isolamento disperato e dalla sua rabbia angosciosa e cosciente, non disponibile ai compromessi, potrà germogliare una comunità reale contro l’osceno spettacolo delle complicità che si sostituiscono all’amore.
Mai come in questo momento ci sono stati più tanti complici e meno amanti. Per questo l’amore ha bisogno di riconoscersi prima di tutto nella denuncia delle complicità e delle loro giustificazioni: l’ideologia.
(Tratto da PUZZ numero unico settembre 1975 Milano)
Riunitevi a me, amici
e vi mostrerò ciò che ho fatto.
Ho qualcosa nella borsa
che vi sorprenderà tutti.
È un segreto, non spingete,
non sono ancora pronto.
Qualcosa che vi abbaglierà,
qualcosa che sconvolgerà le menti,
qualcosa che ho fatto oggi.
La prima pallina è rossa e verde,
è carina.
Capisco ciò che volete dire,
la chiamo Materia.
Non so proprio cosa farà
ma gli alberi possono mormorare
e le montagne crescere
mentre si trasforma.
Il primo è solo giocoliere
deve essere il migliore.
Amo vedere gli anelli girare senza sosta
su nell’aria e verso di me.
Che cosa farò proprio
Non è prevedibile …
La prossima pallina è argentea e nera,
insegue la prima avanti e indietro.
La chiamo Spazio.
Che cosa faccia proprio non so
ma è ben differente averla
proprio qui mentre si trasforma.
La prossima pallina è troppo bollente
per tenerla in mano.
Devo lanciarla continuamente,
sperando che si raffreddi.
La chiamo Energia …
La prossima pallina è arancione e blu
non ne posso palleggiare quattro,
così la lascio a voi.
E la chiamo tempo …
Vocabolo intraducibile
che vuole indicare l’universo.
La considerazione misantropica dell'umanità come patologia infestante della Terra, sfortunatamente comune anche nel dialogo ambientalista radicale, non è la posizione visionaria del biocentrismo o dell'ecologia profonda, ma è una posizione reazionaria di un sistema di indottrinamento di una concezione “noi/loro” della nostra realtà verso gli altri esseri. Allo stesso modo dobbiamo demolire gli steccati, i confini e i muri per politicizzare la sacralità del luogo, così da rompere lo specchio dietro di noi in infiniti circuiti di realtà supposte.
Dobbiamo amare quello per cui combattiamo. Dobbiamo amare noi stessi per amare qualsiasi cosa, e per amarci dobbiamo conoscerci. Inoltre, per vincere dobbiamo vedere noi stessi nelle vite altrui, e vedere le loro in noi.
Dobbiamo anche pensare che le ineguaglianze sociali sono una forma di squilibrio ecologico. Lo sfruttamento è sempre lo sfruttamento di una risorsa. Potenzialmente la prima risorsa che si dovrebbe rimuovere dalla catena del mercato imperialista per ridarla alla rete della vita e fermare l'industrialismo, è il lavoro umano. Uno degli esempi storici più dolorosi ed eclatanti è la tratta transatlantica degli schiavi, che strappava industrialmente la gente dalla loro terra, dalla loro cultura, dalla loro lingua per distruggere l'ecosistema più velocemente.
Bruceremo le flebili illusioni di questo assurdo gioco o continueremo a giocare e a perdere?
La prassi si definisce come teoria, o idea, in azione. Dato che la nostra teoria è l'azione diretta, dobbiamo continuare a muoverci verso alleanze e fusioni potenzialmente significative dati gli sforzi comuni. Dobbiamo usare la forza che sappiamo avere nei nostri cuori e nelle nostre menti per fermare la macchina che ci sta distruggendo, connettendo i punti tra la guerra alla dignità umana e il collasso ecologico, per attaccare i comuni oppressori. Non abbiamo scelta. Tutta la Terra e i suoi abitanti sono in pericolo se non potremo o non vorremo prendere questa decisione.
Sfidiamo tutto! Decolonizziamo tutto! Il tempo dell'orologio del mondo ci dice di unire gli scopi di tutti gli esseri viventi del pianeta, e di fermare la fine della storia! Affiliamo le armi del biocentrismo, dell'antioppressione, dell'ecologia profonda e della solidarietà. Eco-Liberazione! Earth First!
Nelle città la maggior parte delle persone non riesce a vivere come vuole; l’ambiente urbano, così com’è, non permette che nascano e si sviluppino le loro personalità; è inadatto a soddisfarne i bisogni, organizzato com’è a vantaggio di qualcos’altro. L’attività di ognuno, che sia lavoro, uso del tempo libero, dormire, cucinare, studiare, eccetera, è di norma organizzata in spazi che solo in minima parte possono essere creati, modificati e gestiti da chi li abita. Gli ambienti sono concepiti in modo tale che l’abitare sia funzionale non alla vita di ciascuno, ma agli interessi di persone estranee ad essa. Così la scuola è costruita primariamente per educare alla disciplina, la fabbrica o l’ufficio per creare profitto, i condomini per spezzare la socialità, il cubo in cui viviamo per ammansirci; difficilmente possono essere modificati. Se si vuole cambiare qualche cosa nella propria casa si deve chiede il permesso a qualche autorità. Regolamenti edilizi e burocrazie di ogni genere hanno criminalizzato ogni intervento creativo all’esterno, ma anche all’interno delle abitazioni.
Nell’intimo delle mura domestiche la possibilità di gestire lo spazio si limita a poche cose, per lo più intese a isolare all’interno delle quattro mura le persone che ci abitano.
L’unico ambito in cui si ha il permesso di organizzare la propria casa è confinato alla disposizione dei mobili, alla tinteggiatura delle pareti: tutto il resto è precluso, dove si abita e come si abita sono sotto stretto controllo.
Per cambiare tutto ciò, l’individuo deve evolversi, liberarsi dalla delega, diventare cittadino a tutti gli effetti fino a trovare il proprio posto e mettere le radici. Questo cambiamento spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l’unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall’autogestione territoriale generalizzata, cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso assemblee comunitarie. La città deve generare un’aria che renda liberi gli abitanti che la respirano.
Biocentrismo, ecologia profonda, antioppressione, solidarietà = Eco-Liberazione!
Siamo sull'orlo del baratro tra esistenza e annientamento e il cataclisma dell'estinzione generale all'orizzonte, il tempo per le creature terrestri. Gli echi del collasso delle biodiversità causano una reazione a catena per ogni specie. Siamo coinvolti nell'ultimo anelito di un impero morente, scavando disperatamente per ottenere le ultime gocce di combustibile fossile, dragando, infustando e bruciando, celebrando la veglia funebre della distruzione che ha attanagliato la storia del mondo senza precedenti. L'acqua, la nostra fonte vitale, sta per essere completamente privatizzata. Le pipeline serpeggiano lungo tutti i continenti, gli impianti nucleari si fondono, le raffinerie esplodono, le cime delle montagne sono rimosse, le loro viscere scavate, il genocidio è il mezzo e la schiavitù globale è il fine.
Mentre un tempo i cieli si oscuravano per giorni al passaggio degli uccelli migratori, ora sono oscurati da colonne di fumo di miasmi ed estrazioni pericolose. La brutale militarizzazione delle multinazionali realizzata dal neoliberismo ci ha imprigionati a questo pianeta morente sotto la minaccia delle armi. Anche le nostre informazioni alternative non ci hanno salvato dal collasso inevitabile perpetrato dall'industrializzazione, mentre metà delle lingue del mondo muoiono sotto i nostri occhi. Il prodotto finale della nostra civiltà moderna è perciò il silenzio tombale.
Ma c'è speranza per le voci resilienti della nostra lotta, usando le parole del subcomandante Marcos: “Non dimentichiamo che anche le idee sono armi”.
Ed è tempo di affilare le nostre armi.
“Se qualcuno indaga su quale libertà rivendichi, digli: «Io sono libero grazie alla mia verità. Nessun uomo e nessuna creatura può essermi d’ostacolo.»”
“Se ti domandano: «Qual è il fondamento della libertà e della verità, e come giungervi?», rispondi: «Io appartengo alla libertà di natura. La soddisfo in tutto ciò che esige da me e le concedo tutto a sufficienza.»”
“Se richiamo l’attenzione di una donna durante la più santa delle notti, placo in tal modo i miei appetiti senza il minimo scrupolo di coscienza. Non vedo alcun peccato in ciò, perché, grazie alla mia libertà di spirito, io sono un uomo secondo natura. È quindi mia prerogativa soddisfare liberamente le opere della natura."
“La perfetta libertà, eccola: tutto ciò che l’occhio vede e desidera, la mano l’ottenga! Se un ostacolo si erge davanti ad essa, che lo sopprima a buon diritto. Poiché, se un uomo tiene testa a ciò che lo contraria, la sua libertà non è intaccata."
“Fratello, quando colpisci chi ti colpisce, uccidi chi ti vuole uccidere, non averne cattiva coscienza, non confessarti ad un prete. Quello che hai ucciso, ti sei soltanto accontentato di rimandarlo al suo principio iniziale, da cui proveniva”. Una volta giunti a un simile grado di perfezione nella libertà, i fratelli che vivono nello spirito si trovano totalmente e corporalmente trasmutati: essi sono resi uno con Dio e Dio è totalmente e corporalmente con essi. A causa di una siffatta unione, gli angeli sono incapaci di distinguere, nello specchio della Trinità, fra Dio e l’anima che ha vissuto in libero spirito.
Bisogna ritrovare il senso di quella prima tecnica al servizio della felicità che la società industriale tende ad annichilire definitivamente. Bisogna criticare il sistema tecnico che pretende di sostituirsi alla natura opponendogli quello che si appoggia si di lei, seguendo due criteri: uno secondo il quale un oggetto o un sistema tecnico devono umanizzare la natura, l’altro, suo complemento, secondo il quale devono umanizzare l’uomo stesso, rendendolo padrone della sua attività.
L’uomo biologico deve conquistare la possibilità di scegliere liberamente ascoltando la melodia delle cose.
Per esempio tra una casa in pietra o mattoni ben orientata e ventilata e un appartamento dotato di aria condizionata; tra la cottura di alimenti attraverso un dosaggio controllato del fuoco e del calore e la performance del forno a microonde; tra la rete ferroviaria e telefonica da un lato e, dall’altro, le reti autostradali di onde hertziane e di satelliti che ricoprono la terra. E come non distinguere nel campo della salute tra una medicina che osserva il paziente con occhio affettuoso, previene i sintomi della malattia, ne deduce le cause e vi apporta rimedi diversi dalle molecole di sintesi da ingurgitare e una medicina che si intestardisce soltanto ad analizzare la chimica del corpo e vuole correggerne gli squilibri con l’addizione di prodotti industriali?
È un logos ben preciso della tèchne che deve essere oggetto di un rifiuto accanito. La tecnologia dominante è quella che garantisce i profitti ma non l’emancipazione dell’uomo nella natura, L’ideologia scientifica che la giustifica si applica alla civiltà del lavoro e dell’economia per perpetuarla e aggravarla. Essa imprigiona la persona a vantaggio dell’economia ma niente, se non una reazione fobica irrazionale, può escludere a priori che l’utilizzazione radicalmente altra di una tecnica adattata a obiettivi diversi potrebbe contribuire al rovesciamento di prospettiva del senso della vita.
Lo spirito dei morti pesa grandemente sulla tecnologia dei vivi. Una logica completamente diversa, così come una prassi totalmente differente, possono essere messe: tutto ciò comporterebbe altri obiettivi, altri livelli di intensità, rispettosi della sovranità biologica della vita umana e della vita in generale, sensibili all’arte del saper vivere e capaci di evitare le trappole di un progresso mitico, inquinato e inquinante.
Quando slogan e gesti non ottengono più alcun risultato bisogna passare all’azione e all’attacco. Crediamo che solo un movimento rivoluzionario di Sinistra possa produrre un cambiamento!
Il movimento anarchico olandese sta languendo dalla fine della guerra. Vogliamo rinnovare l’anarchismo e diffondere il verbo specialmente tra le giovani generazioni.
In che modo? Con PROVO, che apparirà mensilmente a partire dal luglio 1965.
PROVO è una nuova rivista (come se non ce ne fossero abbastanza). Comunque è l’unica che si oppone radicalmente a questa società. Perché?
Perché questa società capitalista si sta avvelenando da sola con una morbosa sete di denaro. I suoi membri sono portati ad adorare l’Avere e a disprezzare l’Essere.
Perché questa società burocratica si sta soffocando da sola con il conformismo e sopprimendo ogni forma di spontaneità. L’unico modo in cui i suoi membri possono diventare creativi e sviluppare la propria individualità è attraverso una condotta anti-sociale.
Perché questa società militarista si sta scavando la propria tomba da sola fabbricando paranoiche armi atomiche. I suoi membri hanno come unica prospettiva la morte per radiazioni atomiche.
PROVO deve fare una scelta tra una disperata rivolta e una tremante sconfitta. PROVO incoraggia la ribellione ovunque sia possibile.
PROVO sa che alla fine perderà, ma non può lasciarsi sfuggire la possibilità di provocare totalmente questa società per l’ennesima volta.
PROVO riconosce nell’anarchismo una fonte di ispirazione.
PROVO vuole rinnovare l’anarchismo e portarlo tra i giovani.
PROVO prenderà l’iniziativa in ogni genere di azione diretta.
PROVO vuole riunire attorno a sé un nocciolo duro di gioventù anarchica.
PROVO è pronta a cooperare con altri gruppi anarchici.
DATECI UNA CHANCE!
(PROVO, estratto volantino, Amsterdam, maggio – giugno 1965)
Se la scienza è una lotta, l’anarchia ne è il fronte più avanzato, e in questo senso l’originalità dei geografi anarchici è che l’affermazione dei valori solidaristici nella società non avviene a partire da una scissione che la biologia, ma dalla applicazione alla società degli stessi metodi. “L’Anarchia è una concezione dell’Universo, basata sull’interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita delle società. Il suo metodo è quello delle scienze naturali; e secondo questo metodo ogni conclusione scientifica dev’essere verificata.” Ma questo implica che cadano i dogmi a causa dei quali una serie di pregiudizi impedisce, per gli scienziati anarchici dell’Ottocento, di considerare la vera natura dell’uomo. Uno di questi pregiudizi è legato alla presunta perversità naturale del genere umano, ispirata all’idea dello stato di natura hobbesiano, ancora affermato ai tempi di Kropotkin da vari scienziati positivisti: “Tutta la filosofia del secolo XIX continuò a considerare i popoli primitivi come branchi di bestie feroci, che vivevano in piccole famiglie isolate e si battevano contendendosi il cibo e le femmine.” Secondo Kropotkin, questo pregiudizio non è altro che un retaggio delle idee di peccato originale o colpa originaria propagandate dalle diverse chiese, mentre lo studio delle società primitive, da parte dei geografi anarchici, dimostra che contrariamente quanto insito nella nostra educazione religiosa e giuridica, l’uomo lasciato a se stesso non diventa affatto una bestia feroce pronta a sbranare i suoi simili, ma tenta di sviluppare strategie di adattamento alla sua situazione anche e soprattutto tramite la cooperazione coi medesimi.
Il punto centrale dell’odierna fase tecno scientifica è la maggior dinamicità e convergenza delle tecnologie dell’infinitamente piccolo, con conseguenze quasi illimitate, dato che tutti gli ambiti di produzione lavorano ormai sulla stessa materia prima, la vita sottile e invisibile di atomi, molecole e particelle. È in atto il tentativo di decifrare il funzionamento cellulare e atomico della macchina natura, adattarlo alle esigenze di produzione industriale e creare il MERCATO DEL CORPO DA LABORATORIO. Questo già avviene con gli altri esseri viventi da molto tempo, ma ora le tecniche si affinano, non solo quelle propriamente tecnologiche, ma anche quelle di persuasione, disinformazione, convincimento, per consentire più agevolmente di centrare l’obiettivo: l’uomo. Il passaggio dell’uomo in uomo altro non è solo un passaggio in termini culturali o sociali; questo è il presente, ultima fase di una concezione ideologica della vita in cui l’uomo nuovo nasce da una rivoluzione politica/sociale, da un ferreo controllo culturale o da timidi esperimenti di eugenetica o da tutte queste cose insieme: è l’uomo del ‘900, l’uomo della fase industriale del capitale, in parte di quella informatica, ma non di quella nanotecnologica diffusa. Il futuro ci riserva una formidabile mutazione antropologica, una diversificazione – di carattere genetico programmato – tra gli umani in un contesto profondamente manipolato adatto ad accoglierlo. Ora viviamo in metropoli sempre più invisibili, metà vita nel traffico e l’altra metà in un’insicurezza diffusa, dovuta al lavoro, alla solitudine, all’ansia dei consumi. Se non reggeremo a tutto questo sono pronti a cambiarci dentro, nel cuore, nel fegato, nei polmoni, nelle ossa, nel cervello, nel DNA: un’evoluzione forzata per adattarci allo sfruttamento e resistere al disastro.
Chi gestisce e finanzia le nanotecnologie non sembra avere alcuna difficoltà a investire cifre colossali nella ricerca e nella produzione, in previsione di un aumento vertiginoso del loro uso. Le nanotecnologie sono pervasive, trovano applicazione in ogni settore: s’infiltrano nel cibo, nei cosmetici, nei materiali, nei sistemi di controllo, nel corpo umano. Non è facile sapere dove sono utilizzate; soltanto pochi specialisti potrebbero informarci seriamente sul loro uso nell’alimentazione, nella produzione di farmaci, di armi o negli esperimenti sul clima.
Il progresso di un uomo diventato appendice viva di un sistema nanotecnologico, che non è assolutamente in grado di controllare, conoscere, gestire, è nullo. La dipendenza è totale, la libertà tendente a zero, la vita anche.
Senza immagine Dio vaga in paradiso
ma preferirebbe fumarsi un sigaro
o mangiarsi le unghie, e così via.
Dio è il proprietario del paradiso
ma agogna la terra, le grotticelle
assonnate della terra, l’uccellino
alla finestra di cucina, perfino
gli assassini in fila come sedie scassate,
perfino gli scrittori che si scavano
l’anima col martello pneumatico,
o gli ambulanti che vendono i loro
animaletti per soldi, anche i loro
bambini che annusano la musica
e la fattoria bianca come un osso,
seduta in braccio al suo granturco e anche
la statua che ostenta la sua vedovanza,
e perfino la scolaresca in riva all’oceano.
Ma soprattutto invidia i corpi, Lui che non l’ha.
Gli occhi apri-e-chiudi come una serratura
che registrano migliaia di ricordi,
e il cranio che include l’anguilla cervello
- tavoletta cerata del mondo -
le ossa e le giunture che si giungono
e si disgiungono – e c’è il trucco -, i genitali,
zavorra dell’eterno, e il cuore, certo,
che ingoia le maree rendendole monde.
Lui non invidia più di tanto l’anima.
Lui è tutto anima, ma vorrebbe accasarla
in un corpo e scendere quaggiù per farle
fare un bagno ogni tanto.
Nato nel 1864, morto nel 1930. Fondatore di En-Dehors, rivista che come scrive Jean Maitron: "è talmente nichilista da andare perfino oltre l'anarchia, difendendone però le idee e gli uomini". Ecco la definizione del personaggio, data dallo stesso Zo d'Axa: "Colui che nessuno governa e che è guidato esclusivamente da una natura impulsiva, un passionale pieno di complessi, un fuorilegge, estraneo a ogni scuola, un isolato che cerca l'aldilà". Jean Maitron precisa inoltre: " L'En-Dehors di Zo d'Axa, ha totalizzato, per i primi sei mesi di pubblicazione del 1892, sette anni e quattro mesi di prigione, e 13.150 franchi di multa, ha come collaboratori: Emile Verhaeren, Saint-Pol Roux, Octave Mirbeau, Camille Mauclair, Victor Barrucand, Georges Lecomte, Lucien Descavers, Tristan Bernard, Paul Adam, Jean Ajalbert".Il vero nome di Zo d'Axa era Alphonse Galland de la Pèrouse, discendente del celebre navigatore. Sua nipote era l'attrice e cantante Bèatrice Arnac, figlia dello scrittore Marcel Arnac. Alla morte di Zo d'Axa, Emile Armand continuò a far uscire En-Dehors, fino al 1940, facendone uno degli organi dall'anarchismo individualista.
L'ambizione di Zo d'Axa era quella di creare un giornale in cui fosse possibile parlare liberamente di tutto e di tutti: un giornale ed un gruppo di persone senza una linea politica precisa, senza gerarchia e di assoluta libertà artistica. Rivista dal titolo insolito, portava un'impaginazione detta "all'americana" e la seguente epigrafe:
«Colui che nessuno arruola e che è guidato soltanto da una natura impulsiva, il passionale complesso, il fuorilegge, il fuori da ogni scuola, l'isolato ricercatore dell'aldilà»
"A leggere certi giornali in cui lavoravano i semi-assoldati della polizia e della stampa, si evidenzia che i sostegni della società temono, più della violenza, la semplice esposizione dei fatti"
«Vivere al di fuori delle leggi che asserviscono, al di fuori delle regole strette, al di fuori finanche delle teorie formulate per le generazioni a venire. Vivere senza credere al paradiso terrestre. Vivere per l’ora presente, al di là del miraggio delle società future. Vivere e palpare l’esistenza nel piacere fiero della battaglia sociale. È più di uno stato dello spirito: è una maniera di vivere, e subito»
Il lavoro è la fonte di quasi tutte le miserie del mondo.
Quasi tutti i mali che si possono enumerare traggono origine dal lavoro o dal fatto che si vive in un mondo finalizzato al lavoro. Per eliminare questa tortura, dobbiamo abolire il lavoro.
Questo non significa che si debba porre fine ad ogni attività produttiva.
Ciò vuol dire invece creare un nuovo stile di vita fondato sul gioco; in altre parole, compiere una rivoluzione ludica. Nel termine “gioco” includo anche i concetti di festa, creatività, socialità, convivialità, e forse anche arte.
Per quanto i giochi a carattere infantile siano già di per sé apprezzabili, i giochi possibili sono molti di più. Propongo un’avventura collettiva nella felicità generalizzata, in un’esuberanza libera e interdipendente. Il gioco non è un’attività passiva.
La vita diventerà un gioco, o piuttosto una molteplicità di giochi, ma non come accade ora un gioco a somma zero. Un’intesa ottimale sul piano sessuale è il paradigma di un gioco produttivo. I partecipanti esaltano il piacere l’uno dell’altro, non viene assegnato alcun punteggio, e ognuno vince. Più dai, più ottieni. Nella vita ludica, il meglio del sesso verrà integrato nella parte migliore della vita quotidiana. Il gioco generalizzato porta all’erotizzazione della vita. Il sesso, a sua volta, può diventare meno urgente e disperato, più giocoso. Se giochiamo bene le nostre carte, possiamo prendere dalla vita molto di più di quanto ci mettiamo; ma solo se giochiamo per davvero.
Nessuno dovrebbe mai lavorare. Lavoratori del mondo, rilassatevi.
A Praga, durante l’occupazione tedesca, un impiegato del crematorio cittadino, il signor Kopfrkingl, cede agli allettamenti dell’ideologia hitleriana fino a diventarne esaltatore entusiasta. La sua idea fissa della cremazione è infatti pienamente soddisfatta dall’irrazionalismo e dal misticismo che del nazismo sono parte integrante. Uccisi la moglie e i figli in nome della purezza della razza, egli accetta la direzione dei forni crematori dei lager plaudendo alla soluzione finale.
Questo film è una commedia nera ambientata fra la fine degli anni trenta e i primi anni di guerra. Ciò che è singolare in questa commedia dell’orrore, è il contrasto tra le ambizioni proprie della classe media del protagonista e gli orrori ai quali egli si piega per realizzarli.
Il signor Kopfrkingl è il tipico borghese senza qualità, privo di autentici sentimenti ma attento al prestigio sociale, alle convenienze. Il lavoro è per lui l’unica ragione di vita, un rito che lo appassiona e che lo condiziona a un livello profondo. Impegnato in una attività poco apprezzata dal pubblico, il buon borghese esalta la propria opera come se fosse la più importante nell’ambito della società.
Come si conviene ad un buon marito, Kopfrkingl si rivolge premurosamente alla moglie con accenti zuccherosi, frequenta una prostituta ma ricorre regolarmente alle visite di un medico suo amico affinché le sue debolezze non compromettono l’immagine rispettabile che egli offre alle persone che lo conoscono. La sua più grande dimostrazione d’affetto per i figli consiste nel pettinarli di tanto in tanto, con quello stesso pettinino che usa per rendere presentabili i morti, prima di incenerirli. Tutto ciò che fa parte della sua vita deve essere in ordine, senza pecca apparente, e il pettine nel taschino è simbolo di questa falsa rispettabilità a tutti i costi. Non appena l’ideologia stabilisce che rispettabile è sinonimo di ariano, Kopfrkingl non esita ad uccidere la moglie e i figli, rei di disordine in quanto portatori di sangue ebreo.Non è un pazzo, un paranoico, è invece un borghese comune, debole e ipocrita frutto di una classe e di una cultura prodotta da un sistema per i suoi fini conservatori, repressivi e imperialisti.
Il film di Juraj Herz va quindi al di là non solo della vicenda particolare, ma anche del particolare momento storico, per cui il fascismo appare dentro il mondo borghese, come essenza della sua cultura, dei suoi valori.
Forma d'azione, controversa, invocata da alcuni individualisti della fine dell'ottocento e che giustifica soprattutto l'azione individuale. Nel 1894 il movimento anarchico ha rinunciato alle bombe della propaganda con i fatti. Ma il principio rimane: bisogna solo adattarlo. Non si può rinunciare a rimettere in causa, nei fatti e davanti all'opinione pubblica, la legittimità, la legalità del potere borghese basato sulla legge del profitto e l'ineguale distribuzione delle ricchezze. Si tratta di batterlo in breccia con atti, o attentati, che sfidino apertamente e deliberatamente la legalità dei costumi adottati. Il furto diventa un atto di giustizia e da giustiziere individuale, come pure la prova di un rifiuto di qualsiasi compromesso con l'ingiustizia di una società cattiva. Se il ladro viene preso, il vantaggio viene aumentato, il tribunale diventa la migliore tribuna di propaganda. Se il ladro riesce a scappare, sfidando la polizia e l'apparato coercitivo della borghesia, il morale di quest'ultima ne viene scosso. In questo caso non solo si utilizza la dialettica della repressione, ma la complicità delle masse risulta acquisita al beneamato brigante, secondo la vecchia tradizione popolare, dal Roman de Renard, a Cartouche e a Arsenio Lupin, i cui principali caratteri, a parte le motivazioni anarchiche, furono presi, dal suo autore Maurice Leblanc, al più celebre e al più intelligente degli illegali, Marius Jacob. La questione dell'illegalità fu iscritta nell'ordine del giorno della conferenza anarchica del 1 luglio 1879, a Parigi. Vennero presentate due tesi: la prima, sostenuta specie da Sèbastien Faure e Elisèe Reclus, vedeva nell'illegalità un atto rivoluzionario; la seconda quella di Jean Grave, rifiutava di: "perpetuare il furto, la menzogna, la truffa, le gherminelle, che costituiscono l'essenza della società che vogliamo distruggere". Duval, Pini e Jacob sostennero brillantemente la causa dell'illegalità, tanto con le loro azioni (svaligiando banche, le chiese e le abitazioni di lusso, e attaccando le tre categorie di beneficiari delle ingiustizie sociali: i ricchi, il clero e i potenti) che con la pubblicità da essi fatta alle idee anarchiche durante i loro processi.