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giovedì 15 gennaio 2015

LA FINE DI OGNI UOMO

Vi scrivo dai paesi dell’ATROCE, vi scrivo dalla capitale di folla addormentata. È venuta per me la fine di ogni uomo: perché bisogna produrre, bisogna, con tutti i mezzi di attività possibili, sostituire la natura ovunque possa essere sostituita, occorre trovare all’inerzia umana un campo più vasto, bisogna che l’operaio abbia di che occuparsi, bisogna creare nuovi campi di attività, e finalmente questo sia il regno di tutti i falsi prodotti fabbricati, di tutti gli ignobili surrogati sintetici, in cui non ha niente a che fare la bella vera natura, e deve cedere il posto una volta per tutte e vergognosamente a tutti i trionfali prodotti della sofisticazione, in cui lo sperma di tutte le fabbriche di fecondazione artificiale sarà finalmente utilizzato.
Le macchine sono diventate i corpi visibili di titani partoriti dal cervello di eroi decaduti, così gli uomini sono ormai incamminati senza scampo sul cammino che li porterà gradatamente e magicamente a trasformarsi in macchine, finché un giorno spogli di tutto si troveranno ad essere come meccanismi a orologeria cigolanti in perenne febbrile agitazione,  come ciò che da sempre cercano di inventare: un infelice moto perpetuo.
Il vero volto della morte moderna, fatta dalla connessione oggettiva, senza difetto, rapida, di tutti i termini di un sistema.
Le nostre vere necropoli non sono più i cimiteri, gli ospedali, le guerre, le ecatombi: sono le sale del laboratori elettronici, spazi bianchi, depurati da qualsiasi rumore umano – bara di vetro dove si congela tutta la memoria sterilizzata del mondo – una quintessenza del mondo che oggigiorno si sogna di seppellire sottoforma di microfilm e d’archivi (Paesaggi per abolire le grida).
Alla scienza piacciono i piccioni decerebrati, le macchine tristi e precise, tristi e precise come un termocauterio che seziona un viscere, mentre l’ammalato appiattito dall’etere giace in un fondo indifferente e remoto.
Non più frutta, alberi, legumi, piante farmaceutiche o no e di conseguenza non più alimenti, ma prodotti sintetici, a sazietà, nei vapori, negli umori speciali dell’atmosfera, su particolari assi delle atmosfere ricavate di forza e per sintesi dalle resistenze di una natura che la guerra e che della guerra ha conosciuto solo la paura.
E viva la guerrà, non è così?
Perché è proprio la guerra che gli americani hanno preparato e preparano giorno dopo giorno.
Non sappiamo più. Nessuno di noi sa qualcosa più dell’altro.
Questo è scombussolato. Quello è confuso. Tutti sono smarriti. La calma non c’è più.
La saggezza non dura il tempo di un’ispirazione.
Chi sul nostro suolo riceve ancora il bacio della gioia in fondo al cuore?
Si vive indifferenti nell’orrore. Non abbiamo più le nostre parole. Sono indietreggiate dentro di noi.
In verità vive, erra fra noi, la faccia della bocca perduta.

I RIBELLI DI CAPITAN NEMO e LAME DI LUNA  

(Volantino distribuito a Torino negli anni ’90)

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