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giovedì 7 maggio 2015

QUESTA TERRA È LA MIA TERRA di Hal Ashby

Il film si apre nel luglio 1936, quando la crisi economica spinge la gente del Texas a sognare la fertile California e induce anche Woody Guthrie, pittore di insegne con supposte doti da guaritore, a piantare la famiglia e partirsene in cerca di fortuna. Senza un soldo in tasca, viaggia come clandestino sul tetto dei treni: preannuncio di quel tema del vagabondaggio, insidiato da mille minacce, che poi sarà al centro della sua esperienza di bardo braccato ma sempre ottimista.  Superati alla meglio gli ostacoli che gli pongono le guardie ferroviarie e di frontiera, sfamatosi strimpellando a favore di scioperanti e avventurieri, quando riesce a raggiungere la terra promessa ha subito le sue brave delusioni, perché anche la California è colpita dalla crisi.  Il mestiere d’imbianchino lo aiuta, e una dama di carità che a suo tempo gli offrirà il proprio letto. La vocazione più vera di Woody si rivela però quando un cantante della radio, che alterna le prestazioni professionali ai sopralluoghi nei campi per incitare i braccianti a costituirsi in sindacato, scopre la sua bravura di chitarrista. Gli sgherri dei padroni cercano di impedire alla copia di fare opera di sovversione, sicché le feste tra le baracche finiscono a colpi di manganello, ma non sanno fermare la carriera di Woody. Che prima suona e canta per i lavoratori chini sui campi e per i carcerati, poi a una radio locale, accolto con la simpatia che suscita sempre chi procura buoni affari. Fatta venire dal Texas la famiglia, Woody sarebbe ora ricco, oltreché famoso: basterebbe ubbidisse ai padroni della radio, che gli chiedono di togliere dal suo repertorio tutte le canzoni di protesta sociale. È proprio il contrario di quello che egli vuole, ormai persuaso di dover partecipare in quel modo alla lotta per la giustizia. Sicché, con gran rabbia della moglie che se ne torna nel Texas, dà un calcio al benessere borghese e va in giro per fabbriche e campi a cantare la rivolta. Pestato dai vigilantes torna alla radio promettendo ubbidienza, ma la trasgressione è oramai il suo pane quotidiano. Nemmeno quando un agente gli procura un contratto per una rete radiofonica nazionale Woody accetta censure o di essere venduto come un cantante camuffato da contadino. Perciò chitarra in braccio se ne va verso New York, dove i sindacati hanno già una solida struttura. Va in treno, s’intende, sdraiato sul tetto, perché chi suda e lavora riconosca se stesso nelle sue melodie da giramondo.
“Questa macchina ammazza i fascisti”. Con questa avvertenza incisa sulla chitarra, il cantautore Woody Guthrie ribelle vagabondo della musica folk, ha oggi, agli occhi degli storici il ruolo di interprete schietto dell’anima proletaria e di difensore degli oppressi. Portatore di speranza, rabbia e rivolta nei cuori di tutti gli emarginati e gli sfruttati e dal capitalismo americano.
  

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