«Abbiamo la possibilità di cambiare le basi strutturali della condizione umana. Lo possiamo fare, non siamo degli idioti della storia senza nessuna speranza. Per la prima volta nella storia dell’umanità, in questo momento storico incredibile abbiamo la possibilità di mutare radicalmente le condizioni di vita e i rapporti di forza che regolano e opprimono le società da migliaia di anni…»
Rudi Dutschke abitava, insieme ad altri compagni, nella stessa vecchia palazzina dove aveva sede: “Sozialistischer deutscher Studentenbund”, la lega degli studenti socialisti, al numero 140 del Kurfuerstendamm. L’11 aprile 1968, il giovedì prima di Pasqua, usci a comprare una medicina per il figlio di tre mesi. Lo aveva chiamato Hosea Che, come Guevara e come il profeta fustigatore della corruzione dei capi politici e religiosi di Israele, e dell’idolatria del popolo. La farmacia era chiusa per la pausa pomeridiana, C’era da aspettare un po’, Dutschke rimase sulla via, in sella alla bicicletta, un piede sul marciapiede e l’altro sulla carreggiata. Un ragazzo attraversò la strada e venne verso di lui. Ad una distanza di due metri chiese: “È lei Rudi Dutschke?”. Rudi, che pure era guardingo in quei giorni di caccia al rosso, e aveva preferito fermarsi ad una certa distanza dalla sede del Sds per non essere subito riconosciuto; alla domanda rispose di sì, senza esitare. L’altro ebbe il tempo di dire “Lurido porco comunista” prima di estrarre la pistola dalla giacca. Dutschke accennò un passo verso di lui. Il primo colpo lo raggiunse alla guancia. Era già a terra quando arrivarono altre due pallottole: una perforò la tempia sinistra e penetrò nel cervello, l’altra lo ferì al petto, poco sotto la spalla.
Josef Backmann, così si chiamava l’agressore, s’asseragliò in un cantiere a 200 metri di distanza. Aprì il fuoco sui poliziotti che lo circondavano e lo bombardavano con lacrimogeni, rimase anche lui ferito e s’arrese dopo aver inghiottito 20 pasticche di sonnifero. Salvato dai medici, in carcere riprovò più volte il suicidio. Voleva morire e alla fine ci riuscì, nel febbraio del 1970.
Quando sparò al leader degli studenti berlinesi, Backmann aveva 23 anni. Era venuto con il treno da Monaco, dove lavorava come imbianchino. Oltre alla pistola aveva un ritaglio del giornale neonazista Deutsche Nationalzeitungf con un articolo del 22 marzo 1968 intitolato: “Fermate Dutschke, subito! Altrimenti c’è la guerra civile”.
La sera di quell’11 aprile la confusione è enorme. Duemila studenti sbigottiti si raccolgono nell’aula magna dell’Università tecnica, poi si muovono in corteo verso il palazzo di Axel Springer per bloccare l’uscita dei giornali, ci saranno scontri per tutta la notte. Nel giorno di Pasqua la rivolta si diffonde in 27 città della Rft, con scontri che durano fino al lunedì seguente. Complessivamente la polizia denunciò alla magistratura 827 persone. È interessante notare che tra i fermati 286 hanno più di 25 anni, tra loro si contano 185 impiegati, 150 operai, 31 professioni varie, 97 disoccupati. Il movimento non è più solo studentesco.
Rudi Dutschke sopravvisse all’attentato, ma rimase esposto a ricorrenti attacchi epilettici. Una di queste crisi lo colpì e lo uccise la sera del 24 dicembre 1979.
La novità che è al centro del pensiero politico di Rudi Dutschke, l’elemento che lo distingue dal marxismo classico, è l’attenzione per la cosiddetta sovrastruttura, cioè l’insieme degli elementi del mondo che sono determinati dalla struttura economica come il mondo dell’arte, della cultura, della scienza; nella dottrina marxiana classica la rivoluzione si svolge solo nella e per la struttura economica, e tutta la sovrastruttura dovrà necessariamente cambiare una volta che si sarà sovvertito il sistema economico; ogni tentativo di modificare direttamente la cultura, la scienza, la socialità risulta così nel migliore dei casi inutile. Rudi Dutschke invece conduce la sua lotta anche in mezzo alla sovrastruttura. E’ un tipo di lotta molto moderna, non solo lotta di classe, ma anche lotta contro l’autoritarismo, per la pace, per la libertà della cultura e dell’informazione.
«La nostra idea di rivoluzione è un processo di consapevolezza da raggiungere in un percorso a lungo termine. Se oggi non esistono le condizioni domani certamente sì».
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 26 aprile 2018
SEVENTEEN SECONDS The Cure
Il tempo scivola via
e la luce inizia a svanire
e tutto è calmo adesso
quella sensazione se n'è andata
e l'immagine scompare
e tutto è freddo adesso
il sogno doveva finire
il desiderio non diviene mai realtà
e la ragazza
inizia a cantare
diciassette secondi
una misura di vita
diciassette secondi
e la luce inizia a svanire
e tutto è calmo adesso
quella sensazione se n'è andata
e l'immagine scompare
e tutto è freddo adesso
il sogno doveva finire
il desiderio non diviene mai realtà
e la ragazza
inizia a cantare
diciassette secondi
una misura di vita
diciassette secondi
Ma cosa è oggi la sinistra?
"La sinistra" è un concetto importante fin dai tempi della Rivoluzione Francese ma ha assunto un significato ancora maggiore con lo sviluppo del socialismo, dell'anarchismo e del comunismo. La Rivoluzione Russa ha portato al potere un governo di sinistra, almeno dal punto di vista teorico; destra e sinistra si sono scontrate in Spagna e l'hanno ridotta a pezzi; i partiti democratici in Europa e Nord America si sono schierati tra i due poli; le caricature si sinistra mostravano i loro nemici come grassi capitalisti con il sigaro in bocca mentre i reazionari hanno demonizzato i "comunisti" negli anni Trenta e durante la Guerra Fredda. Da oltre due secoli la contrapposizione fra destra e sinistra, per quanto rappresenti spesso una semplificazione, è servita per delineare e ricordare l'equilibrio dei rapporti di forza.
Nel XXI secolo continuiamo ad usare queste parole; ma cosa è oggi la sinistra? Il fallimento del comunismo di Stato, il limitato innesto del socialismo nei governi democratici e l'inarrestabile deriva verso destra delle politiche guidate dal "capitalismo corporativo" danno l'impressione che il pensiero di sinistra sia ormai antiquato, ripetitivo o illusorio. La sinistra è emarginata nel suo stesso pensiero, frammentata nei suoi obbiettivi, insicura sulla possibilità di restare unita.
Certamente oggi il pensiero filosofico e sociale deve confrontarsi con l'irreversibile degrado ambientale prodotto da un capitalismo senza freni: un fatto evidente di cui la scienza ci parla da più di cinquanta anni, mentre i progressi della tecnica cercano solo di mascherarlo. Ogni vantaggio che ci hanno portato l'industrializzazione e il capitalismo, ogni miglioramento nella scienza, nella salute, nella comunicazione e nel benessere getta ormai la stessa onda letale.
Tutto ciò che abbiamo lo abbiamo preso dalla terra; lo abbiamo preso con sempre maggiore velocità e avidità, e ora quel poco che restituiamo è sterile e avvelenato. Tuttavia possiamo ancora fermare il decorso di questa patologia. Il capitalismo si fonda per definizione sulla crescita; come dice Bookchin: "per il capitalismo desistere dalla sua crescita insensata significherebbe commettere un suicidio sociale". Evidentemente abbiamo semplicemente preso i cancro come modello del nostro sistema sociale.
L'imperativo capitalista di "crescere o morire" si scontra radicalmente con gli imperativi ecologici dell'interdipendenza e della sussistenza. Queste due visioni non possono più coesistere tra loro, né potrà sopravvivere una società fondata sul mito di questa coesistenza impossibile. O sapremo realizzare una società ecologica o non ci sarà più una società per nessuno, indipendentemente dal suo status.
Nel XXI secolo continuiamo ad usare queste parole; ma cosa è oggi la sinistra? Il fallimento del comunismo di Stato, il limitato innesto del socialismo nei governi democratici e l'inarrestabile deriva verso destra delle politiche guidate dal "capitalismo corporativo" danno l'impressione che il pensiero di sinistra sia ormai antiquato, ripetitivo o illusorio. La sinistra è emarginata nel suo stesso pensiero, frammentata nei suoi obbiettivi, insicura sulla possibilità di restare unita.
Certamente oggi il pensiero filosofico e sociale deve confrontarsi con l'irreversibile degrado ambientale prodotto da un capitalismo senza freni: un fatto evidente di cui la scienza ci parla da più di cinquanta anni, mentre i progressi della tecnica cercano solo di mascherarlo. Ogni vantaggio che ci hanno portato l'industrializzazione e il capitalismo, ogni miglioramento nella scienza, nella salute, nella comunicazione e nel benessere getta ormai la stessa onda letale.
Tutto ciò che abbiamo lo abbiamo preso dalla terra; lo abbiamo preso con sempre maggiore velocità e avidità, e ora quel poco che restituiamo è sterile e avvelenato. Tuttavia possiamo ancora fermare il decorso di questa patologia. Il capitalismo si fonda per definizione sulla crescita; come dice Bookchin: "per il capitalismo desistere dalla sua crescita insensata significherebbe commettere un suicidio sociale". Evidentemente abbiamo semplicemente preso i cancro come modello del nostro sistema sociale.
L'imperativo capitalista di "crescere o morire" si scontra radicalmente con gli imperativi ecologici dell'interdipendenza e della sussistenza. Queste due visioni non possono più coesistere tra loro, né potrà sopravvivere una società fondata sul mito di questa coesistenza impossibile. O sapremo realizzare una società ecologica o non ci sarà più una società per nessuno, indipendentemente dal suo status.
giovedì 19 aprile 2018
Ragionare
La ragione è l'utilizzazione di una grande documentazione generale con la creazione di nuove vie che prolungano la realtà al di là del presente, costruendo mentalmente dall'esperienza vissuta per conoscere il termine finale e modificare così l'azione presente per ottenere di modificare questo fine. Il sapere si divide nettamente in due parti: da una parte le conoscenze obiettive,suscettibili di dimostrazioni sensibili e che possano determinare una mutua comprensione degli umani davanti all'evidenza dei fatti; dall'altra le conoscenze soggettive, strettamente limitate al sapere individuale. Le divergenze provengono, invariabilmente, dal miscuglio o dalla sostituzione, più o meno cosciente, di una delle due conoscenze con l'altra. Quanti ragionano male o sono in malafede, operano questa sostituzione e, credendo o facendo finta di credere di essere sempre sul terreno obiettivo e impersonale, argomentano al contrario soddisfacendo abbondantemente la loro logica personale, fonte di dispute senza limiti. Gli uomini non possono avvicinarsi gli uni agli altri che quando si tratta di punti comuni che interessano tutti, e la ragione non può esercitarsi che su questi punti.
L’insurrezione invisibile di un milione di menti
Alexander Trocchi, a Parigi elaborò al fianco di Guy Debord e Jacqueline de Jong le tesi rivoluzionarie e i primi manifesti di quella che sarebbe presto diventata l’Internazionale Situazionista. Nelle riunioni semiclandestine sulla riva sinistra della Senna veniva predisposta la technique du coupe du monde, una presa non cruenta del potere planetario attraverso la lenta infiltrazione nei mezzi di produzione culturale di massa. Per anni ancora, ben oltre la plausibilità dei suoi piani, Trocchi portò in dibattiti e pubblicazioni sui due continenti il suo Sigma Project, quella che sul numero della rivista dell’Internazionale Situazionista uscito nel gennaio 1963 lui prospettava come l’insurrezione invisibile di un milione di menti. "Il colpo di stato mondiale deve essere culturale nel più vasto senso del termine". Con i suoi mille tecnici, Trotsky occupò i viadotti e i ponti e gli snodi telefonici e le centrali elettriche. La polizia, vittima delle convenzioni, contribuì alla sua brillante impresa montando la guardia ai vecchi chiusi nel Cremlino. Loro stessi non avevano avuto la necessaria elasticità mentale per cogliere che la loro presenza nelle tradizionali sedi del governo era irrilevante. La Storia li aveva aggirati. Trotsky aveva le stazioni ferroviarie e le centrali elettriche, e all’atto pratico il “governo” veniva chiuso fuori dalla Storia da parte delle sue stesse guardie. Così l’insurrezione culturale deve impossessarsi delle reti della comunicazione e delle centrali della mente”. Per la presa dei mezzi di produzione culturali i tecnici silenziosi avrebbero dovuto essere un milione, e il nome del progetto, il sigma simbolo algebrico della somma, voleva forse contenere anche l’enorme forza dell’unione.
La rivoluzione culturale si sarebbe contemporaneamente impadronita delle università, ne avrebbe ridisegnato la funzione e i metodi. “Le burocrazie delle università si mescolano con la burocrazia di stato, vi si specchiano in piccolo. […] Le università sono divenute fabbriche per la produzione di funzionari qualificati. Il sistema competitivo incoraggia le tattiche diligenti, ben oliate, quelle più plausibili. È certamente una sofferenza e forse perfino un pericolo per uno studente interessarsi profondamente alla sua materia, o dovrà sempre essere pronto a dimostrare le sue competenze; gli studenti nelle nostre università sono talmente occupati a esercitarsi nell’apparenza che si incontra raramente qualcuno che si preoccupi della realtà. L’intero sistema è un esiziale anacronismo. […] L’Università Spontanea – un luogo dove inventare efficaci moduli comportamentali, dove gli allievi possano imparare come dovremo essere se dovremo essere e fare insieme. […] La secessione unanime delle menti più vitali è la sola risposta. Il basilare cambiamento di condotta descritto finora deve accadere. STA ACCADENDO. Il nostro problema è rendere gli uomini consci di questo fatto, e ispirarli a partecipare. L’uomo deve prendere il controllo del suo futuro: solo così potrà mai sperare di ereditare la Terra”.
La rivoluzione culturale si sarebbe contemporaneamente impadronita delle università, ne avrebbe ridisegnato la funzione e i metodi. “Le burocrazie delle università si mescolano con la burocrazia di stato, vi si specchiano in piccolo. […] Le università sono divenute fabbriche per la produzione di funzionari qualificati. Il sistema competitivo incoraggia le tattiche diligenti, ben oliate, quelle più plausibili. È certamente una sofferenza e forse perfino un pericolo per uno studente interessarsi profondamente alla sua materia, o dovrà sempre essere pronto a dimostrare le sue competenze; gli studenti nelle nostre università sono talmente occupati a esercitarsi nell’apparenza che si incontra raramente qualcuno che si preoccupi della realtà. L’intero sistema è un esiziale anacronismo. […] L’Università Spontanea – un luogo dove inventare efficaci moduli comportamentali, dove gli allievi possano imparare come dovremo essere se dovremo essere e fare insieme. […] La secessione unanime delle menti più vitali è la sola risposta. Il basilare cambiamento di condotta descritto finora deve accadere. STA ACCADENDO. Il nostro problema è rendere gli uomini consci di questo fatto, e ispirarli a partecipare. L’uomo deve prendere il controllo del suo futuro: solo così potrà mai sperare di ereditare la Terra”.
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critica radicale,
internazionale situazionista
lunedì 16 aprile 2018
Il 68’ … il 19 aprile 1968 a Valdagno (capitolo XVI)
Il 19 aprile 1968 vede a Valdagno (in provincia di Vicenza) una rivolta operaia contro Marzotto e contro l'esasperante repressione politica padronale che impediva una gestione normale di una vertenza sindacale. Già il mercoledì della settimana precedente era stato indetto uno sciopero selvaggio dichiarato solamente la sera prima. In quella mattinata gli operai avevano picchettato i gradini della fabbrica impedendo agli impiegati l'entrata anche violentemente dove necessario.
Quando il 19 aprile altra data di sciopero gli operai alle 7 di mattina si recarono davanti alla fabbrica per picchettare trovarono un'amara sorpresa, i carabinieri si erano posizionati sui gradoni. Immediatamente gli animi si scaldarono, in particolare quelli delle donne che reagirono violentemente urlando e imprecando contro i carabinieri schierati. A un certo punto un brigadiere dei CC in borghese tirò fuori una catena legata con un lucchetto ed iniziò a picchiare con questa. Le donne presenti sui gradini quindi vennero caricate dalla polizia e subito gli operai accorsero per opporsi alla carica. Per protestare contro l'uso delle catene fatto dai carabinieri volarono in loro direzione una serie di uova.
“Alle sette usciamo noi del primo turno, in sciopero dopo un’ora di lavoro. Ci fermiamo sui gradini e tentiamo di occupare anche noi la portineria.
Siamo quasi tutte donne, ma i carabinieri non si fanno intenerire e ci scacciano colpendoci con i cinturoni. Cominciano così i primi tafferugli. Poi, mi pare verso le nove, arrivano centinaia di studenti delle superiori in corteo. Tra le nove e mezzogiorno le cariche della Celere non si arrestano mai. I poliziotti non risparmiano botte e pestaggi e usano sia i manganelli che il calcio dei fucili. Vengono lanciati lacrimogeni a centinaia.
Ma davanti alla fabbrica un picchetto di un migliaio di operai non fugge e continua a resistere.”
Alle 9:15 arrivò la celere cercando di disperdere la folla lanciando lacrimogeni e caricando violentemente. Gli operai antistanti i gradini si trovarono quindi imbottigliati tra la celere ed i carabinieri che scesero dalle scalinate.
La situazione rimase calma fino alle 14 quando sulla porta della fabbrica spuntò il direttore amministrativo della Marzotto. La folla alla sua vista iniziò a premere sui cancelli riuscendo a sfondarli.
I dirigenti dei sindacati CGIL, CISL e UIL a quel punto
arbitrariamente senza consultarsi con gli operai concordarono con la polizia il rilascio dei due operai in cambio dello scioglimento della manifestazione.
Al rifiuto degli operai di accettare il compromesso sindacale, la polizia immediatamente caricò e lanciò nuovi lacrimogeni, a quel punto gli operai iniziarono a rispondere con un fitto lancio di sassi. Gli operai lentamente guadagnarono terreno, ma iniziarono immediatamente tutti una serie di caroselli con le camionette. A questo punto alcuni manifestanti attrezzarono un'auto con un altoparlante e iniziarono a girare per la città invitando la gente a scendere in piazza in favore degli operai. In moltissimi risposero unendosi alla protesta. Tra questi molti furono gli studenti delle medie inferiori che infervorati dalla voglia di ribellarsi buttarono giù la statua di Marzotto padre e attaccarono direttamente tutti gli esercizi commerciali che i Marzotto avevano in città. Alle 22, 23 arrivarono i caschi blu da Padova e rastrellarono la città fermando 200 operai e disperdendo le folle con bombe lacrimogene e a volte vere e proprie bombe a mano.
Bilancio finale: 47 arresti, moltissimi fermi, 4 operai feriti. Il giorno dopo la popolazione di Valdagno risponde con una manifestazione pacifica all’azione della polizia.
Il prefetto di Vicenza, che il giorno prima ha emanato un’ordinanza con divieto di manifestare per più giorni, è indotto a revocarla.
Quando il 19 aprile altra data di sciopero gli operai alle 7 di mattina si recarono davanti alla fabbrica per picchettare trovarono un'amara sorpresa, i carabinieri si erano posizionati sui gradoni. Immediatamente gli animi si scaldarono, in particolare quelli delle donne che reagirono violentemente urlando e imprecando contro i carabinieri schierati. A un certo punto un brigadiere dei CC in borghese tirò fuori una catena legata con un lucchetto ed iniziò a picchiare con questa. Le donne presenti sui gradini quindi vennero caricate dalla polizia e subito gli operai accorsero per opporsi alla carica. Per protestare contro l'uso delle catene fatto dai carabinieri volarono in loro direzione una serie di uova.
“Alle sette usciamo noi del primo turno, in sciopero dopo un’ora di lavoro. Ci fermiamo sui gradini e tentiamo di occupare anche noi la portineria.
Siamo quasi tutte donne, ma i carabinieri non si fanno intenerire e ci scacciano colpendoci con i cinturoni. Cominciano così i primi tafferugli. Poi, mi pare verso le nove, arrivano centinaia di studenti delle superiori in corteo. Tra le nove e mezzogiorno le cariche della Celere non si arrestano mai. I poliziotti non risparmiano botte e pestaggi e usano sia i manganelli che il calcio dei fucili. Vengono lanciati lacrimogeni a centinaia.
Ma davanti alla fabbrica un picchetto di un migliaio di operai non fugge e continua a resistere.”
Alle 9:15 arrivò la celere cercando di disperdere la folla lanciando lacrimogeni e caricando violentemente. Gli operai antistanti i gradini si trovarono quindi imbottigliati tra la celere ed i carabinieri che scesero dalle scalinate.
La situazione rimase calma fino alle 14 quando sulla porta della fabbrica spuntò il direttore amministrativo della Marzotto. La folla alla sua vista iniziò a premere sui cancelli riuscendo a sfondarli.
I dirigenti dei sindacati CGIL, CISL e UIL a quel punto
arbitrariamente senza consultarsi con gli operai concordarono con la polizia il rilascio dei due operai in cambio dello scioglimento della manifestazione.
Al rifiuto degli operai di accettare il compromesso sindacale, la polizia immediatamente caricò e lanciò nuovi lacrimogeni, a quel punto gli operai iniziarono a rispondere con un fitto lancio di sassi. Gli operai lentamente guadagnarono terreno, ma iniziarono immediatamente tutti una serie di caroselli con le camionette. A questo punto alcuni manifestanti attrezzarono un'auto con un altoparlante e iniziarono a girare per la città invitando la gente a scendere in piazza in favore degli operai. In moltissimi risposero unendosi alla protesta. Tra questi molti furono gli studenti delle medie inferiori che infervorati dalla voglia di ribellarsi buttarono giù la statua di Marzotto padre e attaccarono direttamente tutti gli esercizi commerciali che i Marzotto avevano in città. Alle 22, 23 arrivarono i caschi blu da Padova e rastrellarono la città fermando 200 operai e disperdendo le folle con bombe lacrimogene e a volte vere e proprie bombe a mano.
Bilancio finale: 47 arresti, moltissimi fermi, 4 operai feriti. Il giorno dopo la popolazione di Valdagno risponde con una manifestazione pacifica all’azione della polizia.
Il prefetto di Vicenza, che il giorno prima ha emanato un’ordinanza con divieto di manifestare per più giorni, è indotto a revocarla.
giovedì 12 aprile 2018
Il 68’ … marzo 1968, cinquanta’anni fa (capitolo XV)
01 – 4.000 studenti romani raggiungono architettura, presidiata dalla polizia, a Valle Giulia. Dopo un tentativo d’occupazione, cominciano gli scontri (4 arresti, 228 fermi).
02 – Occupate molte università contro la repressione a Roma e Torino, dove Palazzo Campana è sgombrato e 13 studenti colpiti da mandato di cattura (1 arresto e 12 latitanti).
03 – Gli studenti romani manifestano a piazza di Siena: l’università è ancora chiusa ma Lettere e Fisica sono occupate da docenti solidali con il movimento.
04 – A Milano la Statale è chiusa dal rettore dopo un tentativo di attacco fascista. Una delegazione di studenti romani ricevuta a Palazzo Chigi (la piazza sottostante occupata da un sit-in).
05 – Manifestazioni e occupazioni a Lecce, Genova, Torino, Firenze, Urbino, Ancona, Cagliari, Venezia. A Milano entrano in lotta i medi che occupano il liceo Parini.
06 – Il preside del Parini rifiuta di chiedere l’intervento della polizia. Il giorno seguente è sospeso dal ministro Gui e la polizia sgombra il Parini e altri 14 licei.
07 – Alla Fiat lo sciopero per le pensioni è totale. Molti studenti partecipano ai picchetti: dopo aver tentato di rioccupare Palazzo Campana, il corteo si scontra con la polizia di fronte alla Stampa.
08 – Diecimila studenti medi milanesi manifestano sotto il provveditorato e rioccupano con la forza il Parini: immediato intervento della polizia.
09 – A Roma l’assemblea degli studenti medi e universitari, convoca una manifestazione nazionale per il 15. Continuano a Milano le manifestazione dei medi.
10 – Convegno nazionale delle Università in lotta alla Statale di Milano, occupata: nella relazione introduttiva Bassetti, dell’Intesa, attacca “l’estremismo sterile”.
11 – Un attacco fascista respinto dagli occupanti della Statale di Milano dopo un ora di violenti scontri. A Genova 107 denunciati per l’occupazione dei giorni precedenti.
12 – Riaperta l’università di Roma: il Movimento entra in corteo e si riunisce in assemblea nell’aula magna. Liberati i 4 arresti a Valle Giulia.
13 – Due studenti (Guelfo Guelfi e Marco Moraccini) arrestati a Pisa per un tafferuglio verificatosi il 4 marzo. Convegno nazionale del movimento a Roma.
15 – Studenti di molte università protestano a Pisa contro gli arresti del 12: occupata la stazione e paralizzato il traffico. Dopo l’intervento della polizia, durissimi scontri: 50 feriti e 7 arresti.
16 – Squadracce guidate dai deputati missini Caradonna e Anderson attaccano l’università romana: messe in fuga, si barricano a Legge e tirano mobili sugli studenti; ferito gravemente Oreste Scalzone.
17 – Manifestazione degli studenti medi romani di fronte al liceo Mamiani, occupato il 15 e sgombrato dalla polizia il 16.
18 – Si costituiscono i 12 latitanti torinesi: finiranno scarcerati nei giorni seguenti. A Roma riprendono gli esami in tutte le facoltà tranne che a Legge, devastata dai fascisti. L’Unità attacca i DJ Rai Arbore e Boncompagni accusandoli di paternalismo e di diseducare la gioventù. Arbore è anche colpevole di parlare in romanesco, Boncompagni di voler imporre a ogni costo la musica RB. A Parigi scontri tra manifestanti e polizia dopo la rimozione di Henri Langlois dalla direzione della Cinémathèque, il ministro degli affari culturali André Malraux lo ha sostituito con Pierre Barbin.
19 – Al termine del convegno degli universitari comunisti, Occhetto riconosce l’autonomia del movimento.
20 - Serrata al Mamiani di Roma dopo altri due giorni di manifestazioni. A Pisa 32 studenti denunciati per gli scontri del 15.
21 – Il preside del Mamiani riapre il liceo e riconosce l’assemblea degli studenti. Occupate Lettere, Architettura, Fisica, Economia e Commercio a Roma.
22 – Occupata la Cattolica di Milano.
23 – La polizia sgombra la Cattolica, chiusa subito dopo dal rettore.
24 – Dopo un assemblea nella Statale occupata, gli studenti della Cattolica di Milano chiedono le dimissioni del rettore e del consiglio d’amministrazione.
25 – All’alba, la polizia, chiamata dalla magistratura, sgombra la Statale di Milano. Nel pomeriggio sit-in di fronte alla Cattolica, caricato dalla polizia che ferma 60 studenti.
26 – Assemblea e cortei nel centro di Milano. A Roma gli studenti respingono un ultimatum del rettore (denuncia dei responsabili delle occupazioni e invalidazione dei corsi). Catturato in Sardegna il ricercato n. 1 Graziano Mesina: fermato a un posto di blocco.
27 – Sit-in, degli studenti milanesi in piazza Duomo: 5 studenti e 5 assistenti iniziano uno sciopero della fame di fronte alla Cattolica.
28 – Cento pittori occupano la galleria nazionale d’arte moderna. Scarcerati i 52 fascisti arrestati dopo l’aggressione del 16 marzo a Roma.
29 – Il Comitato Centrale del PCI appoggia le lotte degli studenti ma attacca l’interpretazione dell’autonomia del movimento come contrapposizione alle forze politiche esistenti.
30 – Sciopero di 24 ore alla Fiat: la lotta, imposta dalla base operaia, verte su revisione dei cottimi e riduzione dell’orario. La polizia carica un picchetto alla porta 7 di Mirafiori.
31 – Dopo un incendio divampato ad Architettura gli studenti romani sgomberano le facoltà occupate.
02 – Occupate molte università contro la repressione a Roma e Torino, dove Palazzo Campana è sgombrato e 13 studenti colpiti da mandato di cattura (1 arresto e 12 latitanti).
03 – Gli studenti romani manifestano a piazza di Siena: l’università è ancora chiusa ma Lettere e Fisica sono occupate da docenti solidali con il movimento.
04 – A Milano la Statale è chiusa dal rettore dopo un tentativo di attacco fascista. Una delegazione di studenti romani ricevuta a Palazzo Chigi (la piazza sottostante occupata da un sit-in).
05 – Manifestazioni e occupazioni a Lecce, Genova, Torino, Firenze, Urbino, Ancona, Cagliari, Venezia. A Milano entrano in lotta i medi che occupano il liceo Parini.
06 – Il preside del Parini rifiuta di chiedere l’intervento della polizia. Il giorno seguente è sospeso dal ministro Gui e la polizia sgombra il Parini e altri 14 licei.
07 – Alla Fiat lo sciopero per le pensioni è totale. Molti studenti partecipano ai picchetti: dopo aver tentato di rioccupare Palazzo Campana, il corteo si scontra con la polizia di fronte alla Stampa.
08 – Diecimila studenti medi milanesi manifestano sotto il provveditorato e rioccupano con la forza il Parini: immediato intervento della polizia.
09 – A Roma l’assemblea degli studenti medi e universitari, convoca una manifestazione nazionale per il 15. Continuano a Milano le manifestazione dei medi.
10 – Convegno nazionale delle Università in lotta alla Statale di Milano, occupata: nella relazione introduttiva Bassetti, dell’Intesa, attacca “l’estremismo sterile”.
11 – Un attacco fascista respinto dagli occupanti della Statale di Milano dopo un ora di violenti scontri. A Genova 107 denunciati per l’occupazione dei giorni precedenti.
12 – Riaperta l’università di Roma: il Movimento entra in corteo e si riunisce in assemblea nell’aula magna. Liberati i 4 arresti a Valle Giulia.
13 – Due studenti (Guelfo Guelfi e Marco Moraccini) arrestati a Pisa per un tafferuglio verificatosi il 4 marzo. Convegno nazionale del movimento a Roma.
15 – Studenti di molte università protestano a Pisa contro gli arresti del 12: occupata la stazione e paralizzato il traffico. Dopo l’intervento della polizia, durissimi scontri: 50 feriti e 7 arresti.
16 – Squadracce guidate dai deputati missini Caradonna e Anderson attaccano l’università romana: messe in fuga, si barricano a Legge e tirano mobili sugli studenti; ferito gravemente Oreste Scalzone.
17 – Manifestazione degli studenti medi romani di fronte al liceo Mamiani, occupato il 15 e sgombrato dalla polizia il 16.
18 – Si costituiscono i 12 latitanti torinesi: finiranno scarcerati nei giorni seguenti. A Roma riprendono gli esami in tutte le facoltà tranne che a Legge, devastata dai fascisti. L’Unità attacca i DJ Rai Arbore e Boncompagni accusandoli di paternalismo e di diseducare la gioventù. Arbore è anche colpevole di parlare in romanesco, Boncompagni di voler imporre a ogni costo la musica RB. A Parigi scontri tra manifestanti e polizia dopo la rimozione di Henri Langlois dalla direzione della Cinémathèque, il ministro degli affari culturali André Malraux lo ha sostituito con Pierre Barbin.
19 – Al termine del convegno degli universitari comunisti, Occhetto riconosce l’autonomia del movimento.
20 - Serrata al Mamiani di Roma dopo altri due giorni di manifestazioni. A Pisa 32 studenti denunciati per gli scontri del 15.
21 – Il preside del Mamiani riapre il liceo e riconosce l’assemblea degli studenti. Occupate Lettere, Architettura, Fisica, Economia e Commercio a Roma.
22 – Occupata la Cattolica di Milano.
23 – La polizia sgombra la Cattolica, chiusa subito dopo dal rettore.
24 – Dopo un assemblea nella Statale occupata, gli studenti della Cattolica di Milano chiedono le dimissioni del rettore e del consiglio d’amministrazione.
25 – All’alba, la polizia, chiamata dalla magistratura, sgombra la Statale di Milano. Nel pomeriggio sit-in di fronte alla Cattolica, caricato dalla polizia che ferma 60 studenti.
26 – Assemblea e cortei nel centro di Milano. A Roma gli studenti respingono un ultimatum del rettore (denuncia dei responsabili delle occupazioni e invalidazione dei corsi). Catturato in Sardegna il ricercato n. 1 Graziano Mesina: fermato a un posto di blocco.
27 – Sit-in, degli studenti milanesi in piazza Duomo: 5 studenti e 5 assistenti iniziano uno sciopero della fame di fronte alla Cattolica.
28 – Cento pittori occupano la galleria nazionale d’arte moderna. Scarcerati i 52 fascisti arrestati dopo l’aggressione del 16 marzo a Roma.
29 – Il Comitato Centrale del PCI appoggia le lotte degli studenti ma attacca l’interpretazione dell’autonomia del movimento come contrapposizione alle forze politiche esistenti.
30 – Sciopero di 24 ore alla Fiat: la lotta, imposta dalla base operaia, verte su revisione dei cottimi e riduzione dell’orario. La polizia carica un picchetto alla porta 7 di Mirafiori.
31 – Dopo un incendio divampato ad Architettura gli studenti romani sgomberano le facoltà occupate.
ISTANTI di Jorge Luis Borges
Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.
L'alternativa anarchica è quella che propone la diversità al posto dell'unità
L'anarchismo contemporaneo capovolge l'interpretazione classica secondo cui la società anarchica è una meta, un fine, un utopia, a favore di una lettura anarchica del presente.
"Lo stato non è qualcosa che può essere distrutto da una rivoluzione, è una condizione, un rapporto fra gli esseri umani, un modo di comportarsi. Può essere distrutto contraendo altri rapporti, comportandosi in modo diverso."
Nella vita quotidiana le società possono andare avanti esclusivamente grazie a due fenomeni spontanei, ovvero l'associazione volontaria e il mutuo soccorso: "Gli anarchici derivano una filosofia sociale e politica dalla tendenza naturale e spontanea degli esseri umani a raggrupparsi per il beneficio comune." L'anarchia è dunque una teoria dell'organizzazione basata non tanto su di un idea predefinita di natura umana, o su postulati dogmatici e immutabili, quanto sulla convinzione che esiste una spontanea capacità, tra gli esseri umani, di darsi un ordine e un organizzazione: "Dato un comune bisogno, le persone sono in grado, tentando e sbagliando, con l'improvvisazione e l'esperienza, di sviluppare le condizioni per il suo ordinato soddisfacimento; e l'ordine cui si approda per questa via è di gran lunga più duraturo, e funzionale a quel bisogno, di qualsiasi altro imposto da un'autorità esterna".
Lo scontro costante nella storia dell'umanità è tra chi sostiene la soluzione autoritaria e chi auspica e pratica quella libertaria rispetto a ogni problema che la società si trova ad affrontare. Lo scopo, in ossequio a una visione pluralista delle caratteristiche umane e in vista di una grande valorizzazione delle diversità naturali, è quello di pensare una società auto-organizzata in continua autotrasformazione: "L'alternativa anarchica è quella che propone la frammentazione e la scissione al posto della fusione, la diversità al posto dell'unità, quella che propone, insomma, una massa di società e non una società di massa."
"Lo stato non è qualcosa che può essere distrutto da una rivoluzione, è una condizione, un rapporto fra gli esseri umani, un modo di comportarsi. Può essere distrutto contraendo altri rapporti, comportandosi in modo diverso."
Nella vita quotidiana le società possono andare avanti esclusivamente grazie a due fenomeni spontanei, ovvero l'associazione volontaria e il mutuo soccorso: "Gli anarchici derivano una filosofia sociale e politica dalla tendenza naturale e spontanea degli esseri umani a raggrupparsi per il beneficio comune." L'anarchia è dunque una teoria dell'organizzazione basata non tanto su di un idea predefinita di natura umana, o su postulati dogmatici e immutabili, quanto sulla convinzione che esiste una spontanea capacità, tra gli esseri umani, di darsi un ordine e un organizzazione: "Dato un comune bisogno, le persone sono in grado, tentando e sbagliando, con l'improvvisazione e l'esperienza, di sviluppare le condizioni per il suo ordinato soddisfacimento; e l'ordine cui si approda per questa via è di gran lunga più duraturo, e funzionale a quel bisogno, di qualsiasi altro imposto da un'autorità esterna".
Lo scontro costante nella storia dell'umanità è tra chi sostiene la soluzione autoritaria e chi auspica e pratica quella libertaria rispetto a ogni problema che la società si trova ad affrontare. Lo scopo, in ossequio a una visione pluralista delle caratteristiche umane e in vista di una grande valorizzazione delle diversità naturali, è quello di pensare una società auto-organizzata in continua autotrasformazione: "L'alternativa anarchica è quella che propone la frammentazione e la scissione al posto della fusione, la diversità al posto dell'unità, quella che propone, insomma, una massa di società e non una società di massa."
giovedì 5 aprile 2018
Il ’68… Torino 7 marzo 1968, operai e studenti (capitolo XIV)
Il 1968 fu l’anno in cui il movimento degli studenti e quello operaio trovarono i punti d’incontro che permisero loro di diventare forza politica. I primi sintomi si vedono già negli scontri di piazza Statuto del luglio 1962, che rappresentano il primo vero scontro sociale del dopoguerra, la lotta per il rinnovo contrattuale che i lavoratori stavano sostenendo proprio in quell’anno e la semplice costatazione che Torino era stata ed era ancora in quel momento la città più operaia d’Italia. Va anche detto che negli anni che precedettero il ’68 la base di accesso all’istruzione si era allargata ed era diventata sempre più frequente soprattutto all’università, la figura dello studente lavoratore, proveniente da famiglie proletarie o di piccola borghesia impiegatizia, che dopo aver trascorso la giornata in fabbrica frequentava i corsi serali, nel frattempo organizzati proprio per questo genere di utente. Di sicuro questo fu determinante nel veicolare tra gli studenti le istanze provenienti dal mondo del lavoro.
Il 7 marzo 1968 per la prima volta le due forze agirono insieme in piazza.
Dopo lo sgombero del 1° marzo, complice il clima che nel frattempo si era venuto a creare sul piano nazionale, anche la contestazione degli studenti torinesi è costretta a fare i conti con autorità diverse da quella accademica. Allo sgombero segue infatti l'emissione, da parte della procura torinese, dei primi mandati di cattura per alcuni dei principali leader studenteschi del movimento di Palazzo Campana.
I mandati di cattura sono 13 vengono emessi dalla Procura della Repubblica sabato 2 marzo: il primo viene eseguito nella stessa serata nei confronti di Federico Avanzini, 24 anni, studente di Giurisprudenza.
Gli altri 12 si rendono latitanti. Dalle indagini svolte dalle autorità sembra che la latitanza fosse stata decisa di comune accordo tra i ricercati. Nel corso della perquisizione eseguita nell’abitazione di una delle persone da arrestare, è stato rinvenuto un biglietto del seguente tenore: “C’è pericolo di parecchi arresti qui a Torino. Probabilmente 13 – non si sa ancora chi sono Dobbiamo sparire per qualche giorno per poter eventualmente decidere una linea di difesa comune prima di …. Se non sai dove andare, vai allo PSIUP, chiedendo di Rino Maina che ti spiegherà la situazione. Non ti do altre indicazioni perché è pericoloso. Arrivederci, Wilma.” Gli altri dodici (Luigi Bobbio, Guido Viale, Laura De Rossi, Vittorio Rieser, Gianguido Dragoni, Alberto Friedmann, Giuliano Mochi-Sismondi, Sergio Lenite, Luciano Bosio, Brunello Mantelli, Mirko Vaglio e Carlo Donat Cattin) si consegnano spontaneamente alle autorità in due turni. Sei si costituiscono sabato 16 marzo, sono:
Bobbio Luigi, studente, Rieser Vittorio, assistente universitario, Viale Guido, studente, Dragoni Gianguido, studente, Friedmann Alberto, studente, Mochi-Sismondi Giuliano, studente. Gli altri sei lunedì 18.
A Torino gli studenti delle università in agitazione si ritrovano il 7 marzo alle 14 in un'assemblea al Politecnico, per poi partire in corteo. Dopo circa due ore davanti al Politecnico ci sono già più di cinquemila persone, studenti universitari di tutte le facoltà, studenti medi, ma anche lavoratori che hanno aderito allo sciopero sindacale. Piove, ma il corteo finalmente parte, le prime file sono composte completamente da studentesse universitarie: una volta raggiunto Corso Vittorio, e la struttura carceraria Le Nuove, i manifestanti si siedono a terra, e richiedono a gran voce la liberazione di Avanzini, studente arrestato alcuni giorni prima per l'occupazione dell'università. Il corteo prosegue poi per tutto il centro della città, fino a raggiungere Piazza Castello: gli studenti hanno intenzione di riprendere l'occupazione della sede universitaria di Palazzo Campana. Migliaia di persone superano correndo i mezzi delle forze dell'ordine e si dirigono verso Via Principe Amedeo.Qui scoppiano i primi scontri, i carabinieri a presidio della facoltà caricano gli studenti, che rispondono con un fitto lancio di uova, monete, bottigliette, e che poi fanno un rapido dietro front, per concentrarsi nuovamente in Piazza Castello. Il corteo si dirige verso la sede della testata giornalistica La Stampa in via Roma, per occuparla, ma continuano violentissime le cariche di carabinieri e polizia, decisi a disperdere il corteo: proseguono gli scontri con gli studenti, due vetrate della "Busiarda" (La Stampa) sono divelte. La situazione in centro città si normalizzerà solo a serata inoltrata, quando tra le forze dell'ordine si cominceranno a contare i feriti: sedici tra le file della polizia, tra cui due vicequestori, e otto tra i carabinieri.
Il 7 marzo 1968 per la prima volta le due forze agirono insieme in piazza.
Dopo lo sgombero del 1° marzo, complice il clima che nel frattempo si era venuto a creare sul piano nazionale, anche la contestazione degli studenti torinesi è costretta a fare i conti con autorità diverse da quella accademica. Allo sgombero segue infatti l'emissione, da parte della procura torinese, dei primi mandati di cattura per alcuni dei principali leader studenteschi del movimento di Palazzo Campana.
I mandati di cattura sono 13 vengono emessi dalla Procura della Repubblica sabato 2 marzo: il primo viene eseguito nella stessa serata nei confronti di Federico Avanzini, 24 anni, studente di Giurisprudenza.
Bobbio Luigi, studente, Rieser Vittorio, assistente universitario, Viale Guido, studente, Dragoni Gianguido, studente, Friedmann Alberto, studente, Mochi-Sismondi Giuliano, studente. Gli altri sei lunedì 18.
A Torino gli studenti delle università in agitazione si ritrovano il 7 marzo alle 14 in un'assemblea al Politecnico, per poi partire in corteo. Dopo circa due ore davanti al Politecnico ci sono già più di cinquemila persone, studenti universitari di tutte le facoltà, studenti medi, ma anche lavoratori che hanno aderito allo sciopero sindacale. Piove, ma il corteo finalmente parte, le prime file sono composte completamente da studentesse universitarie: una volta raggiunto Corso Vittorio, e la struttura carceraria Le Nuove, i manifestanti si siedono a terra, e richiedono a gran voce la liberazione di Avanzini, studente arrestato alcuni giorni prima per l'occupazione dell'università. Il corteo prosegue poi per tutto il centro della città, fino a raggiungere Piazza Castello: gli studenti hanno intenzione di riprendere l'occupazione della sede universitaria di Palazzo Campana. Migliaia di persone superano correndo i mezzi delle forze dell'ordine e si dirigono verso Via Principe Amedeo.Qui scoppiano i primi scontri, i carabinieri a presidio della facoltà caricano gli studenti, che rispondono con un fitto lancio di uova, monete, bottigliette, e che poi fanno un rapido dietro front, per concentrarsi nuovamente in Piazza Castello. Il corteo si dirige verso la sede della testata giornalistica La Stampa in via Roma, per occuparla, ma continuano violentissime le cariche di carabinieri e polizia, decisi a disperdere il corteo: proseguono gli scontri con gli studenti, due vetrate della "Busiarda" (La Stampa) sono divelte. La situazione in centro città si normalizzerà solo a serata inoltrata, quando tra le forze dell'ordine si cominceranno a contare i feriti: sedici tra le file della polizia, tra cui due vicequestori, e otto tra i carabinieri.
IL BACIO DELLA DONNA-RAGNO di Hector Babenco
Ambientato in una prigione dell’America latina, in una capitale di lingua portoghese. Nella stessa cella sono chiusi l'omosessuale Molina, condannato per corruzione di minori, e il sovversivo Valentin. Mentre quest’ultimo è un militante che vuole mettere tutta la propria virilità al servizio della causa, Molina rivendica con dolcezza la propria diversità e l’incanto delle pene d’amore. L’uno si arrovella pensando ai compagni di lotta, l’altro evade dal carcere con la fantasia. Racconta la trama di vecchi film e d’uno in particolar modo, di passione e di morte, in cui una cantante francese durante la Resistenza s’invaghiva d’un cupo nazista e finiva uccisa. Dopo un iniziale disprezzo verso il compagno di cella, Valentin inizia ad apprezzarlo, cede il passo alla simpatia: guidato sulle vie dell’assurdo, confessa che anch’egli tradì la propria coerenza politica amando perdutamente una donna borghese, dichiara di non voler essere un martire, e comincia a comprendere quanto calore umano, quanta pietà e gentilezza d’animo possa nutrire quell’infelice effeminato. Egli non sa, che per anticipare la propria liberazione Molina ha promesso al direttore del carcere di strappare al compagno di cella i nomi dei complici.
E infatti Molina sfiora la soglia della delazione. Se non la oltrepassa è perché si è innamorato di Valentin, che gli ha ceduto, e come Valentin si è ricreduto sul conto dell’amico, ha sua volta ha acquistato la virile concezione della vita propria dell’altro. Sicché, uscito di prigione, trova il coraggio di contattare i rivoluzionari, e muore ucciso mentre Valentin torturato in galera, con l’aiuto della morfina fugge nell’isola di sogno in cui si svolgeva uno dei film raccontati dall’amico, abitata da una mitica donna-ragno.
Esilarante e tragicomico l’aspro confronto tra un omosessuale che insegna ad un etero quanto siano importanti nella vita la fantasia e l’immaginazione. Noi creiamo noi stessi così come creiamo il mondo che ci circonda. Se rifiutiamo il mondo interiore tutto diventa un inferno.
I due protagonisti sono detentori e al contempo depositari di due verità essenziali che albergano nel cuore dell’ uomo, l’una è il bisogno dell’immaginazione per migliorare la qualità della vita e viene rappresentata da Molina, l’ altra è la necessità di scontrarsi con il mondo e con le sue brutture per cambiare la medesima e viene rappresentata da Valentin.
Due verità che non si escludono a vicenda e che forse indicano allo spettatore, seppur sotto un ottica drammatica, il bisogno di sondarle entrambi.
Il regista Babenco, nei 120 minuti della durata del film, riesce ad unire una serie di suggestioni che portano lo spettatore a viaggiare su piani paralleli: il mondo reale e crudo del carcere, il mondo fittizio costituito dalle scene del film di propaganda nazista che Luis Molina racconta a Valentin Arregui, il mondo onirico rappresentato dalla fantomatica storia della donna-ragno e dal finale enigmatico, una sotto-trama spy necessaria alla narrazione ma soprattutto una costruzione dei personaggi eccellente, sopraffine e poetica.
Hector Babenco ha voluto rappresentare un affresco di diversità e minoranze, dove il dissidente politico e l’omosessuale rappresentano qualsiasi minoranza ostacolata, osteggiata, messa alla prova, condotta al compromesso o alla tentazione, posta davanti alla via più semplice per ottenere una sorta di lasciapassare per il mondo dei “normali”, quel mondo fatto di etichette che questo film tenta di scardinare.
E infatti Molina sfiora la soglia della delazione. Se non la oltrepassa è perché si è innamorato di Valentin, che gli ha ceduto, e come Valentin si è ricreduto sul conto dell’amico, ha sua volta ha acquistato la virile concezione della vita propria dell’altro. Sicché, uscito di prigione, trova il coraggio di contattare i rivoluzionari, e muore ucciso mentre Valentin torturato in galera, con l’aiuto della morfina fugge nell’isola di sogno in cui si svolgeva uno dei film raccontati dall’amico, abitata da una mitica donna-ragno.
Esilarante e tragicomico l’aspro confronto tra un omosessuale che insegna ad un etero quanto siano importanti nella vita la fantasia e l’immaginazione. Noi creiamo noi stessi così come creiamo il mondo che ci circonda. Se rifiutiamo il mondo interiore tutto diventa un inferno.
Due verità che non si escludono a vicenda e che forse indicano allo spettatore, seppur sotto un ottica drammatica, il bisogno di sondarle entrambi.
Il regista Babenco, nei 120 minuti della durata del film, riesce ad unire una serie di suggestioni che portano lo spettatore a viaggiare su piani paralleli: il mondo reale e crudo del carcere, il mondo fittizio costituito dalle scene del film di propaganda nazista che Luis Molina racconta a Valentin Arregui, il mondo onirico rappresentato dalla fantomatica storia della donna-ragno e dal finale enigmatico, una sotto-trama spy necessaria alla narrazione ma soprattutto una costruzione dei personaggi eccellente, sopraffine e poetica.
Hector Babenco ha voluto rappresentare un affresco di diversità e minoranze, dove il dissidente politico e l’omosessuale rappresentano qualsiasi minoranza ostacolata, osteggiata, messa alla prova, condotta al compromesso o alla tentazione, posta davanti alla via più semplice per ottenere una sorta di lasciapassare per il mondo dei “normali”, quel mondo fatto di etichette che questo film tenta di scardinare.
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il bacio della donna ragno
La meravigliosa solitudine dei combattenti disperati
Questa tendenza a sopprimere (debilitare, soffocare) la Differenza si può notare anche nella sfera quotidiana, in ciò che concerne l'intimità di ogni individuo. E' come se esistesse una "polizia sociale anonima", una vigilanza su ciascuno da parte di tutti gli altri, che indaga sulle nostre decisioni, investiga sulle nostre azioni e preme affinché i nostri comportamenti si adattino sempre alla Norma, obbediscano ai dettami del "senso comune" e seguano la linea tracciata dalle abitudini. Una polizia sociale anonima che si sforza, senza lesinare risorse, di far si che non si osi essere differente, che non ci si permetta di disertare, non si rischi di guadagnarsi una cattiva fama, che non ci si senta sedotti da questa terribile e meravigliosa solitudine dei combattenti disperati; la solitudine di tutti gli uomini rari che concepiscono la loro vita come una opera e affrontano il futuro come lo scultore la pietra, cercando di fare arte con i loro giorni; solitudine degli uomini che resistono, coscienti perfino dell'inutilità della loro battaglia, che combattono senza aggrapparsi a nessuna Illusione, a nessuna Chimera, che lottano semplicemente perché percepiscono che in gioco c'è la cosa più preziosa, se non l'unica, che custodiscono: la loro dignità.
Non si può dubitare della verità di questa "repressione anonima". Per esempio nei manicomi ci sono molti uomini che l'hanno affrontata per scelta o per fatalità. Questa "polizia degli occhi di tutti gli altri" lavora anche per fare si che la Differenza di dissolva in Diversità e gli irriducibili si consumino nella reclusione o nella marginalità.
Non si può dubitare della verità di questa "repressione anonima". Per esempio nei manicomi ci sono molti uomini che l'hanno affrontata per scelta o per fatalità. Questa "polizia degli occhi di tutti gli altri" lavora anche per fare si che la Differenza di dissolva in Diversità e gli irriducibili si consumino nella reclusione o nella marginalità.
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Pedro Garcìa Olivo
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