Antifascismo oggi è anche impedire il saldarsi del fascismo e della miseria. È portare le ragioni della rivolta e della sovversione sociale là dove il potere prova a diffondere razzismo, discriminazione e lotte fra poveri. Senza esitazione, perché viviamo già nella catastrofe e il punto di non ritorno potrebbe anche essere alle nostre spalle.
Per muoversi, in prospettiva, verso una “buona vita” occorre mettere in campo molteplici azioni.
Da un lato un’iniziativa di carattere culturale il cui obiettivo sia ridare senso alle parole: quelle con le quali delineare lo stato di cose esistente e attraverso le quali immaginarci una società diversa.
Dall’altro lato – e come premessa necessaria –un’iniziativa di carattere sociale tendente a sottrarre le individualità all’anomia e infonder fiducia laddove c’è uno scoramento diffuso, mirando a de-segmentare il sociale: dare vita, cioè, a reti di solidarietà, alleanze e sinergie tra gruppi e individualità fondate su relazioni non autoritarie.
Come fare? Nel quotidiano, è bene continuare a resistere e a opporsi alle politiche del dominio, mettendo in collegamento l’antifascismo con tutte le altre attività e lotte che portano avanti, con l’obiettivo di produrre un ribaltamento si senso.
L’antagonismo anche nelle sue espressioni più lucide ed efficaci, non riesce ancora a innescare questo ribaltamento di senso. Anzi, rischia di creare ulteriore segmentazione nel momento in cui dà luogo a forme di auto-ghettizzazione, riproducendo politiche identitarie che nulla hanno a che fare con pratiche di liberazione e lotta al dominio.
Contemporaneamente, appare sempre più evidente come non ci sia spazio per ipotesi di riforma – per quanto radicale – dell’ordine delle cose. È necessario lavorare per una prospettiva rivoluzionaria che inverta la devastante direzione di marcia della società contemporanea.
(Tratto da un documento su “A” dei compagni e le compagne del circolo anarchico C. Berneri di Bologna)
E' già da qualche tempo che i nostri fascisti
si fan vedere poco e sempre più tristi,
hanno capito forse, se non son proprio tonti,
che sta arrivare la resa dei conti.
Forza che è giunta l'ora, infuria la battaglia
per conquistare la pace, per liberare l'Italia;
scendiamo giù dai monti a colpi di fucile;
evviva i partigiani! è festa d'Aprile.
Nera camicia nera, che noi abbiam lavata,
non sei di marca buona, ti sei ritirata;
si sa, la moda cambia quasi ogni mese,
ora per il fascista s'addice il borghese.
Forza che è giunta l'ora, infuria la battaglia...
Quando un repubblichino omaggia un germano
alza il braccio destro al saluto romano,
ma se per caso incontra partigiani
per salutare alza entrambe le mani.
Forza che è giunta l'ora, infuria la battaglia...
In queste settimane, miei cari tedeschi,
maturano le nespole persino sui peschi;
l'amato Duce e il Fuhrer ci davano per morti
ma noi partigiani siam sempre risorti.
Forza che è giunta l'ora, infuria la battaglia...
Ma è già da qualche tempo che i nostri fascisti
si fan vedere spesso, e non certo tristi;
forse non han capito, e sono proprio tonti,
che sta per arrivare la resa dei conti.
Forza che è giunta l'ora, infuria la battaglia...
12 gennaio: Inquadrato nel I Corpo d’Armata canadese (VI Armata GB) entra in linea il gruppo di combattimento Cremona del gen. Clemente Primieri che sostituisce la 1a Divisione canadese nel settore tra Alfonsine (Ravenna) e la costa adriatica. Il gruppo è la prima delle sei grandi unità (le altre sono i gruppi Friuli, Legnano, Folgore, Mantova e Piceno) costituite dall'esercito italiano nella seconda metà del 1944, in stretta collaborazione con la missione militare alleata in Italia. Nel settore dell’VIII Armata GB, entrerà successivamente (8 febbraio) in linea il gruppo di combattimento italiano Friuli al comando del gen. Arturo Scattini, in sostituzione della Divisione polacca "Kresowa", schierata sul Senio di fronte a Riolo dei Bagni.
25 febbraio: nel settore della V Armata USA termina la prima fase della limitata offensiva del IV Corpo ad ovest della Statale 64. Sul fianco destro del fronte alleato, i primi reparti del gruppo di combattimento italiano Folgore prendono posizione nel settore del XIII Corpo (VIII Armata GB). Il nuovo esercito italiano completerà entro il 3 marzo lo schieramento a cavallo del fiume Santerno, assumendo la responsabilità del settore già tenuto dalla 6a Divisione GB.
28 febbraio: la 10a Divisione motorizzata USA e la 1a Divisione del Corpo di spedizione brasiliano (IV Corpo della V Armata USA) completano il raggruppamento per la seconda fase dell’offensiva contro i rilievi ad ovest della Strada Statale 64.
2 marzo: nel settore dell’VIII Armata GB, il gruppo di combattimento Cremona (V Corpo) con l’appoggio dei partigiani della 24a Brigata Garibaldi, inizia l'offensiva verso Comacchio.
3 marzo: inizia la seconda fase dell’offensiva limitata e locale del IV Corpo (V Armata USA) verso le alture a nord-est dei monti Torraccia e Castello. Nel settore del V Corpo (VIII Armata GB), la 56a Divisione conquista un solido caposaldo sulla riva orientale del Senio, nei pressi di San Severo mentre il gruppo Cremona continua la battaglia per Comacchio.
4 marzo: prosegue l’offensiva del IV Corpo della V Armata USA che raggiunge Monte Acidola, Madonna di Brasa e Monte della Croce. Sul fianco destro dello schieramento alleato (V Corpo dell’VIII Armata GB), il gruppo di combattimento Cremona entra a Torre di Primaro.
29 marzo: il CLNAI decreta l'unificazione delle forze partigiane (che non ci sarà il tempo di attuare realmente) e nomina un Comitato insurrezionale composto da Valiani (Partito d'Azione), Pertini (Partito Socialista) e Sereni (Partito Comunista).
1 aprile: durante la notte nel settore del V Corpo (VIII Armata GB) la 2a Brigata Commandos dà il via all’Operazione Roast per liberare la zona di Comacchio.
5 aprile: nel settore della V Armata USA, la 92a Divisione dà il via a un attacco in direzione di Massa.
10 aprile: dopo cinque giorni di scontri la 92a Divisione della V Armata USA entra a Massa. Continua l’offensiva delle unità dell’VIII Armata GB sul fianco orientale dello schieramento alleato. L’attacco in forze in questo settore coglie di sorpresa la X Armata tedesca del gen. Herr che si aspettava un’offensiva al centro e sul fianco destro del suo schieramento.
11 aprile: nel settore occidentale dello schieramento alleato, la 92a Divisione della V Armata USA conquista Carrara. Sul fianco orientale, dove operano le unità dell’VIII Armata GB, il II Corpo polacco raggiunge il fiume Santerno.
12 aprile: Hitler ordina la difesa ad oltranza delle città tedesche, decretando la pena di morte per i trasgressori. Sul fronte italiano la V Armata USA è costretta a rimandare l’offensiva, prevista per questa data, a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Prosegue l’avanzata delle unità del V Corpo (VIII Armata GB) verso Bastia, sulla riva settentrionale del fiume Reno.
13 aprile: alle formazioni partigiane impegnate con la "Direttiva n.16" di Luigi Longo (tenersi pronti per l'insurrezione finale) arrivò il perentorio comunicato di Clark (comandante delle forze Alleate in Italia).Il nuovo generale avuto sentore dell’iniziativa insurrezionale dei partigiani (infuriati gli alti comandi e lo stesso Truman), invia l'ordine a tutte le forze partigiane di astenersi da qualsiasi operazione militare, insurrezionale e politica. Il comando della V Armata USA rimanda ulteriormente l’inizio dell’offensiva a causa del persistere del tempo sfavorevole. Nel settore dell’VIII Armata GB, il II Corpo polacco espande la testa di ponte oltre il fiume Santerno.
15 aprile: nel settore della V Armata USA, mentre il IV Corpo procede nei settori di Suzzano e di Vergato, nella notte il II Corpo lancia l’attacco in direzione di Bologna, a est della Statale 64, dopo un intenso bombardamento aereo. Partecipa all’attacco anche il gruppo di combattimento italiano Legnano. Sul fianco orientale dello schieramento alleato, le unità del II Corpo polacco (VIII Armata GB) iniziano ad attraversare il fiume Sillaro.
17 aprile: l’avanzata delle forze Alleate prosegue senza soste. Nel settore occidentale, la 92a Divisione (V Armata USA) punta verso Sarzana, mentre il IV Corpo raggiunge i monti Ferra e Moscoso. Sul fianco orientale dello schieramento, il II Corpo polacco (VIII Armata GB) avanza ad ovest di Medicina mentre il XIII Corpo raggiunge il fiume Gaiana.
18 aprile: Torino non attende la data fissata dell'insurrezione impartita dalla «Direttiva n.16». Gli eventi incalzano con la ritirata dei tedeschi i cui reparti dovrebbero attraversare Torino. Le formazioni partigiane prima riescono a promuovere un grande sciopero generale nelle grandi fabbriche che sono, infatti, occupate, poi scatenano l'offensiva che si estende in tutte le valli piemontesi, soprattutto nel Cuneese, nel Biellese e nella Valsesia. Raggiungendo la zona Sulmonte-San Chierlo, la 10a Divisione da montagna del IV Corpo (V Armata USA) cattura circa 3000 prigionieri del XIV Corpo corazzato tedesco. Sul fianco destro dello schieramento alleato, il V Corpo (VIII Armata GB) conquista Argenta. All’azione partecipa il gruppo di combattimento italiano Cremona.
19 aprile: A Bologna i partigiani organizzano e fanno scattare l'insurrezione che avrà momenti drammatici con centinaia di morti per le strade sia di fascisti che tedeschi con le rappresaglie verso i partigiani, che ormai affrontano i nemici in campo aperto in vere e proprie battaglie militari. Un'epopea della città rossa, dove i suoi partigiani inseguono i tedeschi in ritirata, li precedono per tagliare loro la strada, li accerchiano, li catturano, o li mettono precipitosamente in fuga. Il tutto accadde mentre 1673 missioni di bombardieri alleati sganciano sulla città e in periferia, sul Serio e sul Santerno, 100.000 bombe e spezzoni incendiari. Quando arrivarono gli americani, la città era già stata liberata, ma fumava ancora per i loro bombardamenti, nel frattempo vengono emanate le direttive del comando della V Armata USA per il proseguimento dell’offensiva verso il Po: il piano prevede l’avanzata della 92a Divisione in direzione della Spezia, del IV Corpo verso il Panaro e successivamente oltre il Po tra Ostiglia e Borgoforte, e infine del II Corpo in direzione di Bologna con l’attraversamento del Po tra Ostiglia e Sermide.
20 aprile: la V Armata USA scende dagli Appennini nella pianura padana: il suo IV Corpo raggiunge Casalecchio, nei pressi di Bologna e il II conquista la regione tra Casalecchio e Gesso. Nel settore dell'VIII Armata GB, il X Corpo raggiunge il fiume Idice oltre il quale riescono a stabilire delle teste di ponte il II Corpo polacco e il XIII britannico. Il gen. Vietinghoff, comandante del Gruppo di armate C, ordina il ripiegamento delle forze tedesche (X e XIV Armata) sulla linea del Po: mossa tardiva perché le divisioni corazzate alleate si stanno avventando sulle truppe tedesche lungo tutta la linea del fronte.
21 aprile: il II Corpo Polacco, gruppi del CIL e la 28a Brigata Garibaldi "Bulow", entrano a Bologna e dilagano nella pianura padana: il 30 raggiungono Milano, Torino e Venezia, il 2 maggio entrano a Trieste.
22 aprile: mentre il IV Corpo della V Armata USA raggiunge il Panaro, superando successivamente Modena, il V Corpo dell'VIII Armata GB raggiunge Ferrara.
23 – 27 aprile: il segnale insurrezionale del "Piano A" per la liberazione di Genova scatta nelle prime ore del 23. I partigiani scendono dalle colline, assaltano il porto, dilagano nelle strade, bloccano i reparti in ritirata, procedendo alla cattura di quasi diecimila tedeschi, mentre la lotta continua per cinque giorni. Quando il 27, alle ore 21.20, entrarono i primi reparti della V Armata Alleata, Genova era già una città libera.23 aprile: Himmler e Goering cercano contatti con gli Alleati per una pace separata, ottenendo un rifiuto. Scoperti da Hitler, vengono espulsi dal partito nazista e destituiti da ogni carica. In Italia il IV Corpo della V Armata USA supera il Po nei pressi di Guastalla e di Luzzara. Nel settore dell'VIII Armata GB, il XIII Corpo stabilisce alcune teste di ponte oltre il Reno, mentre l’8a Divisione del V Corpo raggiunge Ferrara e il Po a Pontelagoscuro.
24 aprile: nel settore della V Armata USA, mentre la 92a Divisione riceve l’ordine di procedere in direzione di Genova, il IV Corpo punta sull’aeroporto di Villafranca, a sud di Verona. Reggio Emilia viene raggiunta dai reparti della 34a Divisione. Anche il XIII e il V Corpo britannico (VIII Armata GB) riescono a stabilire alcune teste di ponte oltre il Po, rispettivamente a Gaiaba e Stienta, e a ovest di Pontelagoscuro. Il Comitato di Liberazione Nazionale ordina l’insurrezione generale nell’Italia settentrionale. Le colonne tedesche in ritirata vengono attaccate dai partigiani che il 25 assumono il controllo di Milano. In Germania le truppe sovietiche accerchiano Berlino.
25 aprile: il CLNAI proclama l'insurrezione generale a Milano, a mezzanotte è scattata l'ora X della «Direttiva n.16», ed inizia lo sciopero generale tutte le fabbriche vengono occupate. Il CLNAI assume pieni poteri: s’insedia nell'amministrazione della giustizia, nel tribunale di guerra, nei consigli di gestione delle grandi aziende, nei posti chiave del governo della città. Dalla pianura e dalle valli tutti i partigiani convergono nel capoluogo lombardo. Mussolini, dopo aver tentato di trattare la resa con i rappresentanti del CLNAI, fugge con i suoi collaboratori verso la Svizzera. Nella notte, fascisti e tedeschi iniziano l'evacuazione della città. Le unità del IV Corpo (V Armata americana) conquistano l’aeroporto di Villafranca di Verona (10a Divisione da montagna) e Parma (3a Divisione), l'88a Divisione del II Corpo libera Verona. Nel settore dell'VIII Armata GB, la 56a Divisione e il gruppo di combattimento Cremona attraversano il Po presso Polesella e nei pressi della costa. Gli alleati entrano a Mantova, Parma e Verona. A Torgau (120 km a sud di Berlino), "Incontro sull’Elba" tra le forze sovietiche e quelle americane.
Organizzati nel corpo delle Guardie rosse con gli ordinovisti e nei Gruppi rivoluzionari d'azione, promossi dalla Unione anarchica italiana e aperti alla base operaia delle altre forze sovversive, gli antiautoritari torinesi sono tra i primi ad esporsi per difendere le industrie autogestite dai lavoratori dalla repressione governativa e dalle prime provocazioni e violenze delle squadre fasciste, sorte anche a Torino dall'arditismo di guerra con il patrocinio padronale.
Proprio due giovani miliziani dell'Usi, Raffele van Dijck, anarchico belga, e Alfonso Garamella, emigrato pugliese, operai calzaturieri di presidio allo stabilimento chimico Capamianto, cadono vittime il 12 di Settembre 1920 in uno scontro a fuoco con l'industriale Francesco De Benedetti, finanziatore del Fascio torinese, capo squadrista e proprietario della attigua omonima fonderia, tra i ritrovi delle prime bande nere. Già a questi tragici episodi sarebbe dunque possibile fare risalire la primogenitura anarchica dell'antifascismo d'azione torinese.
La smobilitazione delle occupazioni, concertata dai vertici riformisti di Psi e Cgl con il governo Giolitti e gli industriali, sancisce la sconfitta dei movimento dei Consigli di fabbrica e chiude il Biennio rosso rivoluzionario. Dalle pagine del quotidiano anarchico Umanità Nova Errico Malatesta aveva lanciato il monito ai lavoratori: "Se abbandonate le fabbriche sarà la reazione". Dall'ottobre 1920 dilagano infatti la repressione statale e il terrore borghese contro gli operai, sempre più esercitato attraverso lo strumento della violenza squadrista, inaugurando il tragico Biennio nero. Presto si scatena la caccia agli arsenali messi al sicuro dalle avanguardie di fabbrica in vista della resistenza e di una nuova rottura rivoluzionaria, con una infruttuosa perquisizione al circolo libertario "Francisco Ferrer" di Barriera di Milano e con successivi sequestri di armi, arresti e denunce a carico di diversi attivisti.
Così sei stato a scuola per un anno o due,
e credi di avere visto tutto.
Nell'auto di papà pensando che andrai lontano,
laggiù all'est i tipi come te non strisciano.
Suoni jazz etnico per mostrare il tuo gusto
sul tuo stereo di lusso,
spiegando che sai bene quanto i negri abbiano freddo
e come nelle baracche ci sia così tanta sofferenza.
E' tempo di provare ciò che più temi,
e la right guard qui non ti aiuterà.
Tieniti stretto mio caro,
tieniti stretto mio caro.
E' una vacanza in Cambogia,
e' dura ragazzo, ma questa e' la vita.
E' una vacanza in Cambogia,
non dimenticare di portarti una moglie.
Sei proprio un fottuto porco, succhi come una sanguisuga,
vuoi che tutti si comportino come te.
Bacia il culo mentre ti lamenti, così puoi diventare ricco,
ma il tuo boss diventa più ricco su di te.
Beh lavorerai di più con un fucile alla schiena
per una scodella di riso al giorno,
schiavo dei soldati finché non morirai di fame
poi la tua testa sarà infilata su di un palo.
Ora puoi andare dove la gente e' unita,
ora puoi andare dove fanno funzionare le cose.
Quello di cui tu hai bisogno figlio mio......
e' una vacanza in Cambogia,
dove la gente veste in nero.
Una vacanza in Cambogia,
dove baci il culo o muori.
Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot.
Ed e' una vacanza in Cambogia,
dove farai ciò che ti viene detto.
E' una vacanza in Cambogia,
dove nelle baracche c’è così tanta sofferenza.
Viviamo tempi strani, dove poche bussole non risultano impazzite e le strade della libertà non sono asfaltate. Scegliere la pista dell’anarchismo è in primo luogo, una precisa scelta di campo.
E se il movimento libertario, nella sua molteplicità di approcci e tendenze, offre disponibilità al confronto e riconosce come compagni di lotta anche chi non condivide le idee anarchiche, questo non significa affatto che sia un ombrello sotto cui porre qualsiasi interpretazione personale dell’anarchia.
Si può essere individualisti o comunisti, organizzatori o antiorganizzatori, educazionisti o insurrezionalisti, ma comunque certi presupposti sono fuori discussione perché definiscono l’anarchismo stesso.
Nessuno/a è obbligato a condividerli, ma sia chiaro che alcuni punti sono fondamentali per l’anarchismo. Il rifiuto coerente di ogni potere (politico, militare, religioso ecc.), di ogni sfruttamento (sia questo capitalista o statale), di tutte le discriminazioni (razziste, di genere ecc.), delle diverse forme di coercizione (polizie, leggi, carceri, lager, sedie elettriche, torture, repressione, proibizionismo ecc.) non sono un di più, bensì punti fermi di un pensiero davvero alternativo e antagonista al dominio.
Un metodo incentrato sull’auto-emancipazione, attraverso l’impegno per l’autoformazione individuale, l’azione diretta e l’autogestione collettiva. Perché la liberazione è rivoluzione quotidiana, a partire dal proprio intessere relazioni e vivere in un mondo che certo non è il migliore possibile.
La libertà non ammette limitazioni da parte dei suoi nemici. Fuori da questi paletti c’è l’autoritarismo comunque mascherato o l’illusione riformista, ossia la convinzione di poter pacificamente umanizzare l’inumano. D’altra parte la libertà non è obbligatoria, così come nessuna/o è tenuto ad essere sovversivo.
Operaio tipografo, nasce a Torino il 17 marzo 1879. Ancora adolescente, compie le prime esperienze lavorative come apprendista tipografo. Accostatosi allo studio delle grandi figure anarchiche del passato, acquista una profonda conoscenza dei fondamenti teorici e dei lineamenti dottrinari del pensiero libertario. Durante gli anni del giolittismo, inizia a frequentare varie associazioni e sedi culturali. Tra il 1907 e il 1909 aderisce al gruppo libertario "Guerra sociale", al gruppo anarchico "Studi sociali" e al Fascio Libertario torinese distinguendosi come abile oratore e ottimo propagatore di idee. Prende parte a tutte le agitazioni del movimento operaio locale, divenendo in breve tempo uno degli esponenti più influenti dell'anarchismo torinese. Si adopera per la diffusione del materiale propagandistico durante i comizi e le riunioni pubbliche indette dal movimento. Nel 1909, la Questura di Torino lo segnala quale "Elemento fermo, deciso e di seri propositi, da ritenersi pericoloso per l'ordine pubblico in quanto capace di azioni dirette e violente". Nel giugno 1917, partecipa al convegno anarchico piemontese, tenutosi a Torino, entrando in duro contrasto con alcuni membri del Fascio libertario torinese, insieme ad un altro gruppo di compagni, decide allora di distaccarsi dal Fascio e di fondare l'Associazione Anarchica Piemontese. Come segretario della nuova organizzazione, prende parte al Convegno anarchico contro la guerra, tenutosi a Pisa nel 1915. Rientrato a Torino, viene arrestato dopo poche settimane nel corso di una manifestazione di protesta antimilitarista. Rilasciato nell'agosto del 1916 per trascorso periodo di carcerazione preventiva, viene mantenuto in stato di stretta vigilanza. Durante i moti contro il carovita e la guerra dell'agosto 1917, è tra quei militanti del "nucleo ribellista" che innalza la barricate alla "Barriera di Milano".
Fermato nel corso degli scontri è deferito al Tribunale militare di Torino che, nell'agosto del 1918, lo assolve per non provata reità dall'imputazione di tradimento indiretto. Nei turbinosi anni del primo dopoguerra, Acutis aderisce alla protesta operaia che si diffonde nelle principali fabbriche e officine della città. Nel frattempo, partecipa come delegato della frazione anarchica torinese al congresso dell'UAI, tenutosi a Bologna dal primo al quattro luglio del 1920. Al suo ritorno in città, si scontra subito con la dura realtà del nascente fascismo locale. Sorvegliato dalle autorità e ben noto negli ambienti dello squadrismo torinese, decide allora di emigrare clandestinamente dall'Italia. Nel 1923 riesce a eludere tutti i controlli di frontiera e a entrare in territorio francese. Nel 1926 va a vivere a Parigi dai fratelli Edoardo e Giovanni. Dopo aver partecipato ad alcune iniziative antifasciste predisposte dai gruppi anarchici della regione parigina, comincia gradualmente ad allontanarsi dalla attività militante che abbandona definitivamente alla fine degli anni venti. Muore a Parigi nel 1967.
Cella che i tuoi muri
Sono scritti con le scritte della Lotta
a quanti verranno dopo di me
ricorda
tutti gli istanti che ho vissuto qui dentro
Se i miei pugni adesso non piegano le sbarre
e se il sangue che gocciola è il mio sangue
Non è questo che mi fa vergognare
Non hanno sangue le sbarre
Diglielo tu
Le sbarre erano dure
deboli i miei pugni
E per i giorni che mi hai visto soffrire la fame
Tanti giorni
E per i miei occhi che hai visto piangere
e le mani contratte
E per quanto ho lottato contro la morte
(ospite così subdola nella mia cella)
E per le ore di solitudine infinita
E i giorni gelati dell'Inverno
E per gli scatti d'Ira
e soprusi e il dolore
E per i tanti sforzi
e i bruciori incessanti della febbre
E per il mio disprezzo
Che così evidente dimostro ai tiranni
Ricorda
Non c'è istante che voglio che si dimentichi
E non c'è un istante che mi vergogni
(Fondatore dell’organizzazione Resistenza Greca e con i suoi stretti collaboratori, organizza il tentativo di omicidio del dittatore Papadopoulos il 13 agosto 1968 vicino a Varkiza. L'attentato fallisce e Panagulis, autore materiale del piazzamento degli ordigni che non si innescarono al passaggio della limousine del dittatore, viene arrestato e sottoposto ad atroci torture fisiche e mentali.
Giudicato dai tribunali militari il 3 novembre 1968, venne condannato a morte il 17 novembre 1968 ma la sentenza non viene eseguita. La sua difesa al tribunale, in cui dichiarò di accettare il processo ma non i metodi, e soprattutto le dichiarazioni false fatte passare per sue, fece il giro del mondo, insieme alla rivendicazione della liceità del tirannicidio:
«Chiaro che accetto l'accusa. Non l'ho mai respinta, io. Né durante l'interrogatorio né dinanzi a voi. E ora ripeto con orgoglio: sì, ho sistemato io gli esplosivi, ho fatto saltare io le due mine. Ciò allo scopo di uccidere colui che chiamate presidente. E mi dolgo soltanto di non esser riuscito ad ucciderlo. Da tre mesi quella è la mia pena più grande, da tre mesi mi chiedo con dolore dove ho sbagliato e darei l'anima per tornare indietro, riuscirvi. Quindi non è l'accusa in sé che provoca la mia indignazione: è il fatto che attraverso quei fogli si tenti di infangarmi dichiarando che sarei stato io a coinvolgere gli altri imputati, a fare i nomi che sono stati pronunciati in quest'aula»
Le categorie di classe si sono ormai fuse con le categorie gerarchiche basate su razza, gender, preferenze sessuali e specifiche differenziazioni nazionali o regionali. Differenze di status e caratteristiche gerarchiche tendono a convergere con differenze di classe, e sta emergendo un mondo capitalistico diffuso in cui per l'opinione pubblica le differenze etniche, nazionali, e di genere spesso sono più importanti delle differenze di classe.
Allo stesso tempo, il capitalismo ha prodotto una nuova contraddizione, forse la più importante: lo scontro tra una economia basata sulla Crescita infinita e la distruzione dell'ambiente naturale. Questo tema e le sue vaste conseguenze non possono essere ulteriormente sottovalutate, per non dire ignorate; sono essenziali quanto la necessità, per gli esseri umani, di disporre di cibo e di aria.
Le lotte più interessanti nel mondo occidentale, dove è nato il socialismo, sono sempre più combattute su temi come l'energia nucleare, l'inquinamento, la deforestazione, il declino urbano, l'educazione, la salute, la vita comunitaria e sempre meno sul tema dei rapporti di lavoro. C'è poi il problema dell'oppressione delle popolazioni che vivono nel mondo non sviluppato - come testimoniato dai movimenti contro la globalizzazione in cui i lavoratori marciano assieme a militanti della classe media e sono motivati dalle stesse preoccupazioni sociali. I membri della classe lavoratrice e quelli della classe media si presentano con molte e differenti caratterizzazioni sociali, confrontandosi con il capitalismo in modo trasversale oltre che in modo diretto sui temi culturali ed economici.
In effetti, il capitalismo ha aumentato la sua minaccia nei confronti della umanità, in particolare per quanto riguarda il cambiamento climatico - che può letteralmente mutare la faccia del pianeta - lo sviluppo di istituzioni oligarchiche globali, e l'urbanizzazione selvaggia che distrugge drammaticamente la stessa vita municipale alla base delle politiche sociali dei cittadini.
Il nuovo proletariato è “l’intiero della persona”, poiché la fabbrica totale ha realizzato una continuità che ne ha capovolti i desideri e i bisogni, trasformandoli nei desideri e nei bisogni del processo di produzione.
Il proletariato detiene tuttavia il fondamento di una possibile critica dall’esterno del meccanismo: i propri bisogni reali che possono essere riconosciuti coscientemente come bisogni altri. La spontaneità è l’atto della riscoperta dei bisogni reali e, superando ogni mediazione ideologica o politica, si esprime nella prassi del movimento reale: sintetizzata dall’”unica radicale rivendicazione che abbiano espresso i giovani hippie: la rivendicazione alla vita”. Il proletario “o è rivoluzionario o non è nulla”, è il movimento stesso che tende verso la totalità, producendo la propria organizzazione-autogestione nella lotta contro l’economia e la politica. I nuovi contenuti che ha saputo esprimere sono soprattutto: la libertà erotica, le “comuni”, il rifiuto del lavoro, il furto e il saccheggio praticati dagli hippie e dai giovani disadattati-criminali, il rifiuto della specializzazione e della parcellizzazione del sapere espresso dai tecnici e dagli studenti in rivolta, l’abolizione della gerarchia e del lavoro e la creazione dei consigli affermati dal fondamentale slancio degli operai e degli impiegati. Sarà la prassi del movimento rivoluzionario a strappare la teoria dal ghetto classista della cultura e a fare del materialismo storico e dialettico il metodo di verifica che il movimento applica a se stesso. La contraddizione fondamentale è ormai tra gli uomini nel loro insieme e la società; la sua incontenibile esplosione genera un movimento che sbocca nel comunismo come regno della possibilità impregiudicata.
Siamo a fine Ottocento, a Machine in Arizona arriva il contabile William ben vestito, con occhialini, cappello e valigetta per lavorare in una società dove è stato assunto, solo che il suo posto non c'è più e il padrone e boss del paese, tale John Dickinson lo caccia via in malo modo. Senza un soldo William vaga stralunato e finisce in un saloon dove beve e vien invitato a casa sua da una giovane prostituta, ex-fidanzata di Charlie il figlio di Dickinson che sorprende i due e ne nasce una sparatoria. Charlie estrae la pistola per uccidere Blake, ma la ragazza gli si para innanzi e viene uccisa. Il colpo arriva anche nel petto di Blake, che a sua volta uccide Charlie con la pistola che trova sotto il cuscino. Gravemente ferito, la pallottola si è fermata vicino al cuore, a Blake non resta altro da fare che fuggire dalla finestra e poi mettersi in marcia il più lontano possibile da quella strana città, inseguito da una taglia e da tre avventurieri assoldati da Dickinson per vendicare l’uccisione del figlio e il furto di un proprio cavallo pezzato.
Nel corso di questo viaggio Blake ha la fortuna di incontrare un indiano, chiamato Nessuno “cane sciolto” dalle varie tribù, che gli racconta la sua storia: è stato portato per lungo tempo in Inghilterra ove ha conosciuto la cultura europea e poi di nuovo in America ed è convinto che egli sia il poeta inglese William Blake.La fuga del giovane si trasforma in un viaggio iniziatico verso la morte, attraverso buffi incontri e paesaggi insoliti ed una vena poetica.
Il viaggio verso il villaggio dell’indiano è lento, lungo, inframmezzato dagli incontri più strani, malviventi, villaggi bruciati dai bianchi e bianchi uccisi dagli indiani, finché ad un certo punto si accorgono che affisso agli alberi c’è il ritratto e il nome di William Blake con tanto di taglia per i due omicidi. Tre cacciatori di taglie inviati da Dickinson li stanno seguendo: personaggi, orribili,crudeli e pervertiti, uno dei quali ha violentato i genitori, li ha uccisi e mangiati. Nel frattempo Nessuno in base alla cultura indiana prepara la morte di William adagiandolo su una canoa, costruita apposta per l’estremo viaggio nell’oltretomba.
Viaggio al termine della morte.
Filmato in uno splendido bianco e nero, "Dead Man" è un film western atipico, a momenti psichedelico, è un percorso interiore, un'allegoria esistenziale ambientata casualmente nel Far West ma in realtà senza tempo né spazio, solenne tentativo di visualizzare l'assenza della vita e, in contemporanea, perfezionare i canoni estetici di una poetica intera.
Dead Man sprofonda nelle radici stesse degli Stati Uniti. Torna alle origini, che parlano di una terra conquistata a suon di dollari, ma soprattutto a colpi di fucile. Una terra presa, ghermita con atto ferino, privo di pietà. Un’America che sta assaggiando il frutto del Capitale non si può perdere tempo, perché come insegna Paperon de’ Paperoni “il tempo è denaro” –, è pronto a puntare il fucile contro tutti quelli che gli si parano davanti, uno sguardo disilluso su una nazione che si è costruita sul sangue e attraverso il sangue, sulla prevaricazione continua, incessante, sull’eliminazione capillare del più debole e del non allineato economicamente, fisicamente, culturalmente.
La civiltà è angoscia, potere, violenza.
Lo humour nero, ai limiti del demenziale, il killer che dorme con l'orsacchiotto; quello cannibale, vuole dissacrare capisaldi come la famiglia (rappresentata con ferocia bunueliana da tre pederasti assassini, fra cui un Iggy Pop); il capitalismo (il crudele figuro di Robert Mitchum/John Dickinson, al suo ultimo film) e l'ipocrisia del cristianesimo, che pare aver recepito dalla Bibbia solo i passi brutali, vendicativi (simbolica la scena in cui Lance Henriksen schiaccia la testa dello sceriffo morto che assomiglia ad un'icona sacra). Il resto è magia di un cammino iniziatico dell’anima e del cinema.
La chitarra di Neil Young scandisce questo viaggio verso la morte, con un fascino nero e avvolgente.
Che contano solo la nostra rabbia e il nostro dolore?
Che importa solo il nostro coraggio?
Che mentre sussurriamo la nostra storia, non ascoltiamo il suo grido?
Ha tanti nomi la ingiustizia e sono tante le grida che provoca.
Ma il nostro dolore e la nostra rabbia non ci impediscono di ascoltare.
E i nostri sussurri non sono solo per lamentare la caduta dei nostri morti ingiustamente.
Sono per poter ascoltare ad altri dolori, fare nostre ad altre rabbie e continuare così nel complicato, lungo e tortuoso cammino di fare di tutto questo un grido che si trasformi in lotta liberatrice. E non dimenticare che, mentre qualcuno sussurra, qualcuno grida.
E solo l'udito attento può ascoltare.
Mentre adesso parliamo ed ascoltiamo, qualcuno grida di dolore, di rabbia. E così, come c'è da imparare a dirigere lo sguardo, anche l'udito deve incontrare la direzione che lo renda fertile. Però, mentre qualcuno riposa, c'è chi continua ad andare in salita. Per guardare questo dovere, basta abbassare lo sguardo ed alzare il cuore.
Potete? Potrete?
La piccola giustizia assomiglia alla vendetta. La piccola giustizia è quella che impartisce impunità, cioè punendo uno assolve ad altri. Quella che noi volgiamo, per la quale lottiamo, non finisce nell'incontrare gli assassini del compagno Galeano e vedere che ricevano la loro punizione (che così sarà, che nessuno si lasci ingannare).
La ricerca paziente ed ostinata cerca la verità, non il sollievo della rassegnazione.
La giustizia grande ha a che rivedere con il compagno Galeano sotterrato. Perché non non ci domandiamo cosa facciamo con la sua morte, ma cosa dobbiamo fare con la sua vita. Ci ha già detto il nostro compagno capo e portavoce dell'EZLN, il Subcomandante Moisés, che nell'uccidere Galeano, o chiunque altro degli zapatisti, quelli in alto volevano assassinare l'EZLN. Non come esercito, ma come ribelle testardo che costruisce ed alza la vita dove loro, quelli in alto, desiderano la landa desolata delle industrie minerarie, petroliere, turistiche, la morte della terra e di coloro che la abitano e la lavorano. Ho già detto che siamo venuti, come Comando Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, a dissotterrare Galeano.
Pensiamo che è necessario che uno di noi muoia perché Galeano viva.
E per fare in modo che questa impertinente che è la morte resti soddisfatta, nel posto di Galeano mettiamo un altro nome così che Galeano viva e la morte se porti via non una vita, ma solo un uomo, delle lettere vuote di ogni senso, senza storia propria, senza vita.
Così che abbiamo deciso che Marcos cessi di esistere oggi.
Lo porterà per mano sombra il guerriero e lucecita perché non si perda nel cammino, Don Durito se ne andrà con lui, lo stesso farà il Vecchio Antonio.
Non sentiranno la mancanza le bambine ed i bambini che prima si riunivano per ascoltare i suoi racconti, perché adesso sono grandi, hanno già giudizio, lottano di già per la libertà, la democrazia e la giustizia, che sono il compito di ogni zapatista.
Il gatto-cane, e non un cigno, intonerà adesso il canto di congedo.
Ed alla fine, coloro che capiscono, sapranno che non se ne va chi non c'è mai stato, né muore chi non ha vissuto.
E la morte se ne andrà ingannata da un indigeno col nome di battaglia di Galeano, e in quelle pietre che avete collocato sulla sua tomba tornerà ad andare e ad insegnare, a chi si conceda a questo, le basi dello zapatismo, cioè non vendersi, non arrendersi, non tentennare.
A noi? Bene, a noi la morte ci riguarda per ciò che ha di vita.
Così che siamo qui, ingannando la morte nella realtà.
Compagni: Detto tutto l'anteriore, essendo le 02:08 del 25 di maggio 2014 nel fronte di combattimento sud orientale dell'EZLN, dichiaro che cessa di esistere il conosciuto come Subcomandante Insurgente Marcos, l'autodenominato “subcomandante de acciaio inossidabile”
Questo è.
Dalla mia voce non parlerà più la voce dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Bene. Salute e a mai... o hasta siempre, chi ha compreso saprà che questo non importa più, che non ha mai importato.
Da la realtà zapatista.
Subcomandante Insurgente Marcos. Messico, 24 maggio 2014.