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giovedì 18 aprile 2019

La primogenitura anarchica nell'antifascismo torinese

Organizzati nel corpo delle Guardie rosse con gli ordinovisti e nei Gruppi rivoluzionari d'azione, promossi dalla Unione anarchica italiana e aperti alla base operaia delle altre forze sovversive, gli antiautoritari torinesi sono tra i primi ad esporsi per difendere le industrie autogestite dai lavoratori dalla repressione governativa e dalle prime provocazioni e violenze delle squadre fasciste, sorte anche a Torino dall'arditismo di guerra con il patrocinio padronale.
Proprio due giovani miliziani dell'Usi, Raffele van Dijck, anarchico belga, e Alfonso Garamella, emigrato pugliese, operai calzaturieri di presidio allo stabilimento chimico Capamianto, cadono vittime il 12 di Settembre 1920 in uno scontro a fuoco con l'industriale Francesco De Benedetti, finanziatore del Fascio torinese, capo squadrista e proprietario della attigua omonima fonderia, tra i ritrovi delle prime bande nere. Già a questi tragici episodi sarebbe dunque possibile fare risalire la primogenitura anarchica dell'antifascismo d'azione torinese.
La smobilitazione delle occupazioni, concertata dai vertici riformisti di Psi e Cgl con il governo Giolitti e gli industriali, sancisce la sconfitta dei movimento dei Consigli di fabbrica e chiude il Biennio rosso rivoluzionario. Dalle pagine del quotidiano anarchico Umanità Nova Errico Malatesta aveva lanciato il monito ai lavoratori: "Se abbandonate le fabbriche sarà la reazione". Dall'ottobre 1920 dilagano infatti la repressione statale e il terrore borghese contro gli operai, sempre più esercitato attraverso lo strumento della violenza squadrista, inaugurando il tragico Biennio nero. Presto si scatena la caccia agli arsenali messi al sicuro dalle avanguardie di fabbrica in vista della resistenza e di una nuova rottura rivoluzionaria, con una infruttuosa perquisizione al circolo libertario "Francisco Ferrer" di Barriera di Milano e con successivi sequestri di armi, arresti e denunce a carico di diversi attivisti. 

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