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giovedì 4 luglio 2019
Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile
Francesco Saverio Merlino nacque nel 1856 a Napoli, dove si laureò giovanissimo in giurisprudenza. Ancora studente aderì al movimento anarchico, divenendone in breve tempo uno degli esponenti di maggior rilievo. Per circa venti anni condusse una instancabile attività di militante e di organizzatore rivoluzionario, a cui affiancò lo studio e la elaborazione di opere che misero in luce la sua solida preparazione culturale e le non comuni qualità di teorico. Dal 1884 visse in esilio in Inghilterra, con frequenti viaggi e periodi di permanenza in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Nel 1894 rientrò clandestinamente in Italia, ma venne arrestato e dovette trascorrere in carcere due anni per scontare una vecchia condanna. Giunse a maturazione in questo periodo un processo di ripensamento e di revisione ideologica che lo portò nel 1897 a distaccarsi dal movimento anarchico, nel corso di una lunga e celebre polemica con Malatesta. Dopo una breve adesione al Partito Socialista, da cui si allontanò deluso dalla logica manovriera e rinunciataria di molti leader del partito, egli rimase per il resto della sua vita un senza partito ed anche se negli anni precedenti il fascismo si riavvicinò al movimento anarchico (del quale, comunque, come avvocato aveva sempre difeso gratuitamente i militanti) lo fece rimanendo un indipendente. Come teorico e intellettuale Merlino ebbe un ruolo di primissimo piano nei decenni a cavallo del passaggio fra l’800 e il 900 ed indubbiamente influenzò sia pensatori come Georges Sorel e Edward Bernstein, dei quali fu a lungo anche corrispondente, che tendenze politiche come il revisionismo marxista (non a caso, pur non essendo egli mai stato marxista, ritroviamo in molti dei cosiddetti "revisionisti" tesi originariamente enunciate proprio da Merlino) o il liberalsocialismo. Per tutta la sua vita Merlino fu "dalla parte giusta", come scrisse Malatesta nel necrologio per l’amico-avversario, e cercò di delineare quali potessero essere le forme di un socialismo non fondato, come il marxismo, su una filosofia della storia, e nemmeno necessariamente legato, come l’anarchismo, a concezioni palingenetiche della rivoluzione e della società da realizzare. Il socialismo che Merlino cercò di teorizzare è infatti un socialismo in cui la giustizia sociale passa anche attraverso la permanenza del mercato e di forme di iniziativa privata - sia questa opera di singoli individui o di cooperative - e si accompagna alla più ampia libertà politica e individuale, mentre l’organizzazione politico-giuridica, radicalmente democratizzata e decentralizzata anche se istituzioni come il parlamento vengono mantenute in forme nuove, ha come suo corollario necessario il fiorire di una molteplicità di associazioni popolari in grado di controllare quanto le istituzioni fanno. Questo socialismo, cui Merlino stesso si riferiva denominandolo "socialismo libertario" o "anarchia possibile", fu abbastanza discusso negli anni a ridosso della vittoria del fascismo, ma con essa venne messo a tacere ed anche nel dopoguerra, complice la predominanza politico-culturale del comunismo marxista sull’intera sinistra.
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