Si costituisce il Partito dei Lavoratori sotto la guida di Filippo Turati, di vaga ispirazione marxista e con l'intenzione di organizzare politicamente le classi più povere e sfruttate. Contadini e operai italiani si trovano, in questo periodo, indietro di parecchie lunghezze rispetto agli standard salariali dei loro equivalenti di Francia, Inghilterra e Germania (per fare qualche esempio). All'interno del partito trovano spazio innumerevoli correnti (da quella riformista parlamentare a quella rivoluzionaria passando per quella anarchica) e nel 1893 il nome cambia ufficialmente in Partito Socialista Italiano. Il partito raccoglie da subito grandi consensi nelle masse cosiddette proletarie, impotenti di fronte alla repressione selvaggia e alle disposizioni antisindacali del governo presieduto da Francesco Crispi che, dal canto suo, cercherà di ostacolare in ogni modo il PSI e l'operato dei suoi membri.
1894
Nel tentativo si sedare la rivolta dei cavatori di marmo in Lunigiana, appoggiata dai numerosi anarchici attivi nella zona, il presidente del Consiglio Crispi dichiara lo stato d'assedio e fa emanare le cosiddette "tre leggi anti-anarchiche" di stampo dittatoriale, molto più severe di quelle emanate in seguito dal fascismo.
1898
A Milano, durante una grande manifestazione di protesta contro i continui rincari sul prezzo del pane, il generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ha l'ordine di porre fine ai tumulti, ordina di fare fuoco con i cannoni sulla folla provocando ottanta morti. Il generale sarà in seguito decorato dal re per l'omicida fermezza dimostrata in quell'occasione.
1900
A Monza, il 29 luglio l'anarchico Gaetano Bresci uccide con tre colpi di pistola il re Umberto I, ritenuto simbolo dell'ingiustizia e massimo complice delle numerose repressioni statali a danno del popolo.
1904
Il governo presieduto di Giovanni Giolitti si dichiara disposto ad elargire concessioni e a collaborare attivamente con socialisti e sindacalisti organizzati e moderati, nel tentativo di creare un clima di dialogo ed armonia fra le parti sociali.
Il 16 settembre si svolge il primo sciopero generale della storia italiana. Coordinato dalle varie Camere del Lavoro presenti sul territorio, l'agitazione è l'esasperata risposta della gente ai ripetuti eccidi di lavoratori (242 morti in tre anni) perpetrati dai regi carabinieri durante scioperi e manifestazioni. Tra gli episodi più gravi sicuramente i fatti di Buggerru, Sardegna, dove il 4 settembre le pallottole statali lasciarono sul terreno tre minatori e numerosi feriti.
Lo sciopero generale si svolge senza grossi incidenti anche per l'ordine di Giolitti di non provocare o caricare i manifestanti. Lo sciopero perde lo slancio dei primi giorni anche per la profonda disorganizzazione delle varie Camere del Lavoro, e così le agitazioni cessano il 21 settembre senza aver ottenuto nessun sostanziale risultato.
1906
29 settembre. A Milano nasce la CGdL (Confederazione Generale del Lavoro). La Confederazione riunisce tutte le Organizzazioni di Mestiere e le Camere del Lavoro preesistenti sul territorio nazionale. Lo scopo dichiarato è quello di formare un fronte compatto dei lavoratori, che agisca a livello nazionale in modo organizzato e capillare nell'interesse di tutti. L'impronta generale è comunque di stampo riformista che preferisce il dialogo tra le varie parti sociali, anche se l'ala rivoluzionaria rimane attiva e numerosa ma sostanzialmente isolata.
La CGdL, forte di un apparato direttivo accentrato e burocratico, si assume da quel momento l'organizzazione e la direzione degli scioperi e delle vertenze sindacali, stabilendo in più un rapporto speciale col PSI che, se da un lato si impegna a farsi portavoce in Parlamento delle istanze sindacali, dall'altro si riserva l'ultima parola sull'effettiva valenza politica che avranno tutti i futuri scioperi.
A livello locale, nelle Camere del Lavoro, rimanevano ugualmente elementi anarchici o comunque favorevoli all'intransigenza rivoluzionaria e ad una concezione di sciopero "alla Sorel".
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