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giovedì 25 luglio 2019

RENZO NOVATORE poeta e anarchico - parte terza

Dopo l'entrata in guerra dell'Italia nel maggio 1915 a fianco di Inghilterra, Francia e Impero Russo l'attività anti-interventista di Novatore e compagni divenne illegale e pericolosa. Il cerchio delle autorità si strinse inevitabilmente attorno a quei contestatori tanto da impedire loro di fare spesso ritorno alle loro case, continuamente sottoposte a piantonamenti e perquisizioni.
Verso la fine del conflitto i vertici militari cercarono di rimpinguare le divisioni del regio esercito, decimate dalle tattiche ingenue e suicide di ufficiali dementi, schierando anche i giovanissimi (i famosi nati nell'anno 1899) e chi aveva ormai passato l'età di leva o era stato precedentemente congedato. In quest'ultima categoria figurava Novatore, che nel 1912 era già stato giudicato non idoneo a prestare servizio militare.
In quegli oscuri giorni di morte però si vide recapitare la cartolina di precetto. Il 26 aprile 1918 Abele Ferrari, 28 anni, si allontanava senza permesso dal suo reggimento in partenza per il fronte per non farvi più ritorno. In altre parole: diserzione.
Novatore, sparì dalla circolazione abbandonando anche la sua regione e rifugiandosi presumibilmente in Emilia-Romagna, tra la pianura e gli Appennini reggiani, sopravvivendo nell'ombra di casali abbandonati grazie ad espedienti frugali e all'aiuto di qualche vecchio militante e simpatizzante della causa antimilitarista.
Nel frattempo la legge marziale compiva il suo corso implacabile e veniva tempestivamente emessa una condanna a morte per diserzione ed alto tradimento a carico di Abele Ricieri Ferrari.
Il fuggiasco apprese la notizia ed agguantò carta e penna, buttò giù alcune righe che rimangono tuttora clamorosamente vere di fronte ad ogni guerra, ad ogni condanna a morte:
- La notizia giunse fredda, cinica, inesorabile… Condannato a morte! Ma come?! Condannato a morte! Ma per cosa? Per ordine di chi? Chi ha il diritto di uccidermi? Lo Stato? La Società? L'Umanità? Guardai gli uomini proprio giù dentro l'anima. Volli vederne l'intima verità. Molti plaudirono, altri furono indifferenti. Pochi, pochissimi, piansero. Ma coloro
che piansero, non piansero per solidarietà, per amicizia, per umanità. No: piansero per un'altra cosa. Ero solo. Solo colla morte! E pure era bella la vita. Bella, bella!.
Non riuscirono a catturarlo, Novatore. Il suo vecchio amico Auro raccontò in seguito che si arrivarono ad organizzare, tra Liguria ed Emilia, battute di caccia formate anche da centocinquanta armati intenti a perquisire casolari, pollai e fienili nel vano tentativo di scovare il “pericolosissimo bandito anarchico contro il quale avevano l'ordine di sparare a bruciapelo”.
Infatti, nonostante la guerra fosse finita e molti oppositori ritornavano al paesello natale dopo una lunga latitanza o dopo il confino, Novatore rimaneva irreperibile armato di due precise pistole Mauser per l'autodifesa, impegnato a scrivere i suoi soliti articoli sprezzanti su Il Libertario, intento a tramare nelle notti senza luna misteriosi piani sovversivi. Proprio in quel periodo, sul finire del 1918, morì per malattia uno dei suoi tre figli. Fu in quell'unica, tragica, occasione che Novatore abbandonò un attimo la sua proverbiale coerenza e corse a casa, sfidando soldati e polizia, per dare l'ultimo saluto alla piccola, pallida ed evidentemente amata salma del figlio. Nell'estate del 1919 scoppiarono in tutta Italia tumulti contro il carovita, la mancanza di lavoro, la fame. I sindacati erano in fermento ed in prima linea c'erano sempre gli anarchici; allo sfruttamento si rispondeva con lo sciopero, alla serrata padronale dello stabilimento si rispondeva con l'istituzione dei consigli operai di fabbrica e l'autogestione, alla violenza si rispondeva con la violenza. Su molte bocche, nelle piazze, serpeggiava la parola d'ordine “fare come in Russia” con evidente riferimento alla rivoluzione attuata dai bolscevichi di Lenin due anni prima. Novatore, che non poteva sopportare sindacalisti, socialisti e comunisti, decise senza pensarci troppo di unirsi a quelle prime scintille di rivolta perché, se anche il suo sogno non era riformare la società ma vederla scomparire per sempre dal mondo, un eventuale abbattimento dell'ordine costituito non poteva che renderlo felice.


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