Quanta carta dovremo ancora riempire, e quante parole dovremo ancora spendere per cercare di convincere tutti e tutte che la liberazione animale non può essere un’opzione, ma è invece una necessità? Com’è possibile parlare di libertà, senza includere tra gli oppressi tanti esseri senzienti, coscienti di sé, capaci di provare dolore e piacere, e di scegliere tra dolore e piacere?
La libertà è libertà: o è per tutti, oppure non è. In questo senso l’antispecismo, la lotta per la liberazione animale, è la più alta pratica e forma di libertà. Come si sa, l’emancipazione non può in alcun modo coincidere con il potere: l’una esclude l’altro e viceversa. Porsi dalla parte del potere dunque, rivendicando al contempo la libertà, altro non produce che contraddizioni teoriche e nelle pratiche di lotta. A tal proposito, è evidente che ogni specista si pone dalla parte del potere; perché dunque escludere tutti quegli anarchici e anarchiche specisti che confondono la liberazione umana con quella totale, dunque per tutti? No, cari compagni e care compagne: lo specismo è potere e l’antispecismo anarchico combatte contro ogni forma di dominio e di sfruttamento. Il potere dello specismo si costituisce a partire dalla possibilità di riconoscere o non riconoscere, su base assolutamente discrezionale, la libertà anche agli animali non umani. Lo specismo infatti altro non è che un potere istituzionale, legale, tribunalesco e fortemente tradizionalista secondo cui la possibilità di disporre della vita di miliardi di soggetti non umani in tutto il mondo diviene la normalità e ogni altra possibilità una mera alternativa. Sulla base di ciò il potere specista risiede proprio in quella libera discrezionalità la quale legittima l’animale umano a decidere nei confronti di chi e quando il diritto a non soffrire può essere riconosciuto all’animale non umano. Volendo trasporre questo potere in metafora – la quale, a dire il vero, è molto meno che una semplice metafora –, è come se ognuno di noi avesse un fucile puntato alle spalle e da un momento all’altro, in base alle sue volontà, un cecchino potesse decidere di sparare o risparmiarci. Cosa ancora più paradossale, però, è che in tutti quegli istanti in cui il cecchino decide di non sparare, dovremmo essergli grati perché la normalità è nello sparo, l’alternativa è nel risparmiarci. Bene, l’antispecismo non è l’alternativa di niente (mettiamocelo bene in testa!), ma molto semplicemente l’antispecismo, quale può intenderlo un anarchico, è la libertà totale nei confronti di tutti, indipendentemente dall’appartenenza di specie e di genere. Nicholas Tomeo si chiedeva qual è il confine che legittima l’anarchismo specista e non l’anarchismo nazionalista, posto che entrambi si reggono su discriminazioni sulla base di differenze di appartenenza, seppur diverse sono le vittime. Potrei porre la stessa domanda in riferimento a qualsiasi tipo di sfruttamento, sia esso sessista, classista, schiavista, colonialista o più in generale capitalista.
La domanda è posta leggendo la realtà dei fatti: le lotte per la liberazione totale sono inevitabilmente identiche perché le stesse sono le basi su cui poggiano oggi tutti i domini.
Lo specismo, o meglio lo sfruttamento animale, non regge da nessun punto di vista, e ogni teoria che cerchi di giustificarlo appare inesorabilmente insufficiente e artificiosa. Che si prenda a pretesto la tradizione, la storia, la biologia, la medicina, l’antropologia o le scienze umane, lo sfruttamento animale è sempre e comunque contestabile e fragile in tutte le sue argomentazioni.
La necessità di un confronto serio sull’argomento all’interno del movimento anarchico italiano e internazionale è più che necessario perché la discussione non è di poco valore, tutt’altro: qui si sta discutendo di quale significato vogliamo dare alla nostra idea e alle nostre pratiche di libertà. Discutere in questo senso di libertà e della sua accezione, non coinvolge solo il fine, ma anche i mezzi che vogliamo adoperare per arrivare alla costruzione di una società libertaria. Perciò, in tal senso, posto che in un futuro dove la convivenza pacifica, costruttiva e collaborativa tra gli esseri risulterà come logica e ordinaria, innegabilmente ci saranno forti divisioni se non si discute già da adesso del significato che vogliamo attribuire alla libertà che perseguiamo perché nessun antispecista sarà disposto a vivere in comunità “orizzontali” dove anche un solo animale non umano continuerà ad essere dominato, sfruttato e schiavizzato e dove la libertà e il diritto ad essere libero dalla sofferenza andrà solo a vantaggio della specie umana.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 29 agosto 2019
CORPO DI DONNA ... di Pablo Neruda
Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d'abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.
Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli e in me la notte entrava con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiato come un'arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.
Ma cade l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell'assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d'abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.
Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli e in me la notte entrava con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiato come un'arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.
Ma cade l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell'assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.
Le inestinguibili virtualità di riutilizzo
Le due leggi fondamentali del détournement sono la perdita di importanza (che giunge fino alla dispersione del suo significato primo) di ogni elemento autonomo detourné e, allo stesso tempo, l'organizzazione di un altro insieme significante, che conferisce ad ogni elemento la sua nuova portata. Vi è una forza specifica nel détournement,che attiene evidentemente all'arricchimento della maggior parte dei termini attraverso la coesistenza in essi del loro significato antico e immediato: il loro doppio fondo. Vi è un'utilità pratica attraverso la semplicità d'uso e le inestinguibili virtualità di riutilizzo; a proposito del minimo sforzo permesso dal détournement: «Il basso costo dei suoi prodotti è l'artiglieria pesante con la quale si battono in breccia tutte le muraglie cinesi dell'intelligenza.»
«Il détournement è un gioco dovuto alla capacità di devalorizzazione», scrive Jorn, nel suo studio Peinture détournée (maggio 1959) ed aggiunge che tutti gli elementi del passato culturale devono essere «reinvestiti» o scomparire. Il détournement si rivela così innanzitutto come la negazione del valore dell'organizzazione precedente dell'espressione. Nasce e si rafforza sempre più nel periodo storico del deperimento dell'espressione artistica. Ma, contemporaneamente, i tentativi di riutilizzo del «blocco détournable», come materiale per un altro insieme esprimono la ricerca di una costruzione più vasta ad un livello di riferimento superiore, come una nuova unità monetaria della creazione.
Si tratta di liberare dapprima i desideri esistenti e di svolgerli nelle nuove dimensioni di una realizzazione sconosciuta.
Nel movimento mentale, il détournement è immediatamente il capovolgimento di una catena di associazioni normali, attraverso lo spostamento completo del concetto possibile legato all'oggetto imposto (impossibilità di identificazione precisa). È così che il détournement permette di leggere testi di cui l'abitudine dominante impediva la comprensione elementare.
Nella fase di guerra civile in cui ci troviamo, l'arte e la creazione in generale dovrebbero servire esclusivamente motivi partigiani, e ciò è necessario per finirla con qualsiasi nozione di proprietà privata in queste aree. Detournement è la libera appropriazione delle creazioni altrui. Detournement è decontestualizzazione. Va da sé che uno non è limitato al correggere lavori esistenti o integrare diversi frammenti di lavori scaduti in una nuova opera: si può altresì alterare il significato di questi frammenti in qualunque modo, lasciando gli imbecilli al loro profuso mantenimento delle virgolette.
«Il détournement è un gioco dovuto alla capacità di devalorizzazione», scrive Jorn, nel suo studio Peinture détournée (maggio 1959) ed aggiunge che tutti gli elementi del passato culturale devono essere «reinvestiti» o scomparire. Il détournement si rivela così innanzitutto come la negazione del valore dell'organizzazione precedente dell'espressione. Nasce e si rafforza sempre più nel periodo storico del deperimento dell'espressione artistica. Ma, contemporaneamente, i tentativi di riutilizzo del «blocco détournable», come materiale per un altro insieme esprimono la ricerca di una costruzione più vasta ad un livello di riferimento superiore, come una nuova unità monetaria della creazione.
Si tratta di liberare dapprima i desideri esistenti e di svolgerli nelle nuove dimensioni di una realizzazione sconosciuta.
Nel movimento mentale, il détournement è immediatamente il capovolgimento di una catena di associazioni normali, attraverso lo spostamento completo del concetto possibile legato all'oggetto imposto (impossibilità di identificazione precisa). È così che il détournement permette di leggere testi di cui l'abitudine dominante impediva la comprensione elementare.
Nella fase di guerra civile in cui ci troviamo, l'arte e la creazione in generale dovrebbero servire esclusivamente motivi partigiani, e ciò è necessario per finirla con qualsiasi nozione di proprietà privata in queste aree. Detournement è la libera appropriazione delle creazioni altrui. Detournement è decontestualizzazione. Va da sé che uno non è limitato al correggere lavori esistenti o integrare diversi frammenti di lavori scaduti in una nuova opera: si può altresì alterare il significato di questi frammenti in qualunque modo, lasciando gli imbecilli al loro profuso mantenimento delle virgolette.
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venerdì 23 agosto 2019
RENZO NOVATORE poeta e anarchico - parte settima
Mentre gli inquirenti indagavano per fornire un'identità al morto, nell'ambiente ormai clandestino degli anarchici circolavano già bigliettini che annunciavano di casolare in casolare, di tugurio in tugurio, la morte in circostanze violente di un certo compagno, uno dei più cari per gli amanti dell'azione diretta contro il sistema.
Le indagini scagionarono Giovanni Governato (sì, proprio il pittore futurista co-fondatore della rivista Vertice) e solo dopo pochi giorni si ebbe un nome per quel cadavere fornito di documenti falsi e sforacchiato dai proiettili dello Stato: Abele Ricieri Ferrari, militante anarchico individualista, già titolare di un corposo fascicolo presso le autorità, resosi irreperibile e ricercato dal giugno precedente. Novatore era morto, il suo cadavere identificato e sepolto i tutta fretta in una fossa del cimitero di Rivarolo. Chiarito il dubbio svaniva anche l'attenzione per Novatore da parte di giornalisti e sbirri, mentre su alcuni fogli libertari, tra cui L'Avvenire Anarchico e Il proletario , diversi anarchici e libertari resero commossi ed appassionati saluti ed elogi ad Abele Ferrari, a tutti noto come Renzo Novatore: polemista, scrittore, rivoluzionario, ribelle e bandito. Novatore era morto sul pavimento di un'osteria anonima, lontano dai clamori della battaglia, lontano dagli amici di lotta, lontano dalla donna in un qualche modo amata e dai figli. Perché al di là del bene e del male, Novatore, insieme a tutto quello che hanno rappresentato le sue parole e le sue azioni, rimane ancora davanti a noi con le armi in pugno e il sorriso sulla bocca, pronto a dirci come si può essere spietati ribelli senza mai perdere la poesia della vita. Abele Ferrari, innanzi tutto, proclamava e sperimentava
ogni giorno nella pratica della vita quotidiana il rifiuto di ogni autorità. È noto come negli anni il concetto di anarchia sia stato interpretato in decine di modi diversi, spesso associandolo ad altre dottrine (capitalismo, comunismo, sindacalismo ecc) col risultato di rendere sempre più oscuro il primo e più genuino significato di questa parola così evocativa e radicale. Diremo quindi che l'anarchia deve essere considerata una scelta intima e personale dell'individuo o, volendo usare le parole di Novatore, "un modo speciale di sentire la vita". L'anarchico, prima di essere militante di un qualsivoglia movimento o il teorico di un fantomatico divenire sociale, è una persona che ha posto la propria libertà fisica e spirituale oltre ogni Stato, ogni sistema di governo, ogni convenzione, ogni religione e insomma qualsiasi imposizione percepita come proveniente dall'alto di una gerarchia, di un re, di un presidente, di una camera di deputati, di un generale, di un papa o di un prete. Parliamo di un'inequivocabile negazione dell'autorità costituita da uomini per interferire nella vita di altri uomini, spesso senza nemmeno chiedere loro il permesso. Queste affermazioni sono così naturali e basilari per l'anarchico puro che egli non si preoccupa nemmeno di farvi seguire astruse considerazioni e trattati socio-economici, a lui basta sapere soltanto che l'anarchia realizzata non sarà assenza di ordine ma solo assenza di capi.
Affermava Novatore: "Noi dobbiamo tendere il nostro sforzo a tramutare la rivoluzione che si avanza in "delitto anarchico", per spingere l'umanità al di là dello Stato, al di là del socialismo. Verso l'Anarchia".
Purtroppo queste idee, che puntualmente suscitano sconcerto nella maggioranza della gente e compassione nei militanti delle sinistre istituzionali, fanno sì che l'anarchico rimanga l'incarnazione lampante del più perfetto Don Chisciotte, del perenne contestatore e combattente incazzato col mondo, incapace di godere della vittoria elettorale di qualsiasi fazione o partito politico.
Sappiamo bene quanto Novatore se la sia presa non solo con borghesi e fascisti della prima ora, ma anche con i socialisti più o meno rivoluzionari che negli anni '10 del secolo scorso monopolizzavano ampie fasce del movimento operaio e contadino in lotta. Ciò che maggiormente impediva a Novatore di sposare la causa socialista era che lo scopo di quest'ultima era sì combattere lo Stato monarchico-parlamentare, ma solo per rimpiazzarlo, e i fatti dell'ottobre 1917 in Russia lo confermarono, con un altro sistema che per quanto meno autoritario ed ingiusto avrebbe sempre conservato una sua matrice burocratica, poliziesca, accentratrice e collettivista. Soprattutto quest'ultimo termine turbava Novatore, perchè celava la terribile colpa di voler soffocare in nome di un bene comune le preziose individualità degli spiriti più vivaci, artistici e spregiudicati.
Quindi, pur senza rifiutare ai socialisti la sua cooperazione attiva durante le agitazioni politiche e sindacali, il "nostro" ribelle affermò che anche un'ipotetica venuta della dittatura del proletariato in Italia lo avrebbe trovato sempre ai margini della società, pronto a negare i nuovi dogmi dei vincenti, se ritenuti ingiusti e lesivi delle sue sacre libertà personali. Niente e nessuno lo avrebbe mai convinto ad abbandonare il suo personale stile di vita che, come sappiamo, prevedeva anche l'esproprio, l'uso della forza ed il rifiuto del lavoro salariato.
Le indagini scagionarono Giovanni Governato (sì, proprio il pittore futurista co-fondatore della rivista Vertice) e solo dopo pochi giorni si ebbe un nome per quel cadavere fornito di documenti falsi e sforacchiato dai proiettili dello Stato: Abele Ricieri Ferrari, militante anarchico individualista, già titolare di un corposo fascicolo presso le autorità, resosi irreperibile e ricercato dal giugno precedente. Novatore era morto, il suo cadavere identificato e sepolto i tutta fretta in una fossa del cimitero di Rivarolo. Chiarito il dubbio svaniva anche l'attenzione per Novatore da parte di giornalisti e sbirri, mentre su alcuni fogli libertari, tra cui L'Avvenire Anarchico e Il proletario , diversi anarchici e libertari resero commossi ed appassionati saluti ed elogi ad Abele Ferrari, a tutti noto come Renzo Novatore: polemista, scrittore, rivoluzionario, ribelle e bandito. Novatore era morto sul pavimento di un'osteria anonima, lontano dai clamori della battaglia, lontano dagli amici di lotta, lontano dalla donna in un qualche modo amata e dai figli. Perché al di là del bene e del male, Novatore, insieme a tutto quello che hanno rappresentato le sue parole e le sue azioni, rimane ancora davanti a noi con le armi in pugno e il sorriso sulla bocca, pronto a dirci come si può essere spietati ribelli senza mai perdere la poesia della vita. Abele Ferrari, innanzi tutto, proclamava e sperimentava
ogni giorno nella pratica della vita quotidiana il rifiuto di ogni autorità. È noto come negli anni il concetto di anarchia sia stato interpretato in decine di modi diversi, spesso associandolo ad altre dottrine (capitalismo, comunismo, sindacalismo ecc) col risultato di rendere sempre più oscuro il primo e più genuino significato di questa parola così evocativa e radicale. Diremo quindi che l'anarchia deve essere considerata una scelta intima e personale dell'individuo o, volendo usare le parole di Novatore, "un modo speciale di sentire la vita". L'anarchico, prima di essere militante di un qualsivoglia movimento o il teorico di un fantomatico divenire sociale, è una persona che ha posto la propria libertà fisica e spirituale oltre ogni Stato, ogni sistema di governo, ogni convenzione, ogni religione e insomma qualsiasi imposizione percepita come proveniente dall'alto di una gerarchia, di un re, di un presidente, di una camera di deputati, di un generale, di un papa o di un prete. Parliamo di un'inequivocabile negazione dell'autorità costituita da uomini per interferire nella vita di altri uomini, spesso senza nemmeno chiedere loro il permesso. Queste affermazioni sono così naturali e basilari per l'anarchico puro che egli non si preoccupa nemmeno di farvi seguire astruse considerazioni e trattati socio-economici, a lui basta sapere soltanto che l'anarchia realizzata non sarà assenza di ordine ma solo assenza di capi.
Affermava Novatore: "Noi dobbiamo tendere il nostro sforzo a tramutare la rivoluzione che si avanza in "delitto anarchico", per spingere l'umanità al di là dello Stato, al di là del socialismo. Verso l'Anarchia".
Purtroppo queste idee, che puntualmente suscitano sconcerto nella maggioranza della gente e compassione nei militanti delle sinistre istituzionali, fanno sì che l'anarchico rimanga l'incarnazione lampante del più perfetto Don Chisciotte, del perenne contestatore e combattente incazzato col mondo, incapace di godere della vittoria elettorale di qualsiasi fazione o partito politico.
Sappiamo bene quanto Novatore se la sia presa non solo con borghesi e fascisti della prima ora, ma anche con i socialisti più o meno rivoluzionari che negli anni '10 del secolo scorso monopolizzavano ampie fasce del movimento operaio e contadino in lotta. Ciò che maggiormente impediva a Novatore di sposare la causa socialista era che lo scopo di quest'ultima era sì combattere lo Stato monarchico-parlamentare, ma solo per rimpiazzarlo, e i fatti dell'ottobre 1917 in Russia lo confermarono, con un altro sistema che per quanto meno autoritario ed ingiusto avrebbe sempre conservato una sua matrice burocratica, poliziesca, accentratrice e collettivista. Soprattutto quest'ultimo termine turbava Novatore, perchè celava la terribile colpa di voler soffocare in nome di un bene comune le preziose individualità degli spiriti più vivaci, artistici e spregiudicati.
Quindi, pur senza rifiutare ai socialisti la sua cooperazione attiva durante le agitazioni politiche e sindacali, il "nostro" ribelle affermò che anche un'ipotetica venuta della dittatura del proletariato in Italia lo avrebbe trovato sempre ai margini della società, pronto a negare i nuovi dogmi dei vincenti, se ritenuti ingiusti e lesivi delle sue sacre libertà personali. Niente e nessuno lo avrebbe mai convinto ad abbandonare il suo personale stile di vita che, come sappiamo, prevedeva anche l'esproprio, l'uso della forza ed il rifiuto del lavoro salariato.
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Renzo Novatore
L’arte del mentire o del non dire
Non si vede perché l'immagine, una volta liberata, non dovrebbe avere il diritto di mentire. E' anzi probabilmente questa una delle sue funzioni vitali, ed è ingenuo pensare che si è liberata a profitto della verità.
L’immagine, e con essa l'informazione, non è legata ad alcun principio di verità o di realtà.
Il vero problema delle società attuali, allora non è più la sovrapposizione di beni, ma l'eccesso di produzione di informazioni nel sociale, che rovescia paradossalmente "la società dell'informazione in una società afasica”, sempre più incapace di parlare.
Il flusso incessantemente in crescita delle informazioni nel sociale instaura quindi il dominio di una forma circolatoria pura, votata radicalmente alla circolazione forzata e sempre più ravvicinata delle informazioni.
La comunicazione non si basa necessariamente sull'informazione, ma costituisce una dimensione a sé; è il puro collegamento, il contatto, tutte quelle forme di combinatoria relazionale che non hanno bisogno di messaggio. L’essenziale è essere collegati, anche se non si ha nulla da "dire".
Nell'informazione e nella comunicazione, il valore del messaggio è quello della sua circolazione pura, del fatto stesso che esso passa da immagine a immagine, da schermo a schermo.
L'informazione invece di fare comunicare si esaurisce nella messa in scena della comunicazione. Si gioca a parlarsi, a sentirsi, a comunicare, si gioca con i meccanismi più sottili di messa in scena della comunicazione.
L’immagine, e con essa l'informazione, non è legata ad alcun principio di verità o di realtà.
Il vero problema delle società attuali, allora non è più la sovrapposizione di beni, ma l'eccesso di produzione di informazioni nel sociale, che rovescia paradossalmente "la società dell'informazione in una società afasica”, sempre più incapace di parlare.
Il flusso incessantemente in crescita delle informazioni nel sociale instaura quindi il dominio di una forma circolatoria pura, votata radicalmente alla circolazione forzata e sempre più ravvicinata delle informazioni.
La comunicazione non si basa necessariamente sull'informazione, ma costituisce una dimensione a sé; è il puro collegamento, il contatto, tutte quelle forme di combinatoria relazionale che non hanno bisogno di messaggio. L’essenziale è essere collegati, anche se non si ha nulla da "dire".
Nell'informazione e nella comunicazione, il valore del messaggio è quello della sua circolazione pura, del fatto stesso che esso passa da immagine a immagine, da schermo a schermo.
L'informazione invece di fare comunicare si esaurisce nella messa in scena della comunicazione. Si gioca a parlarsi, a sentirsi, a comunicare, si gioca con i meccanismi più sottili di messa in scena della comunicazione.
Un'altra geografia possibile
Liberare lo spazio da questa innaturale sovrapposizione è il compito di una geografia che voglia essere anarchica. Natura contro storia significa spazio contro Stato, armonia tra uomo e natura significa, invece, spazio riconciliato con la storia. E questa è esattamente, per Reclus, la società anarchica: la riorganizzazione. senza autorità, dello spazio. La disarticolazione della logica gerarchica che irregimenta il territorio statale deve avvenire individuando i gangli politici, militari ed economici che costituiscono le basi stesse del "sistema nervoso" del dominio. Liberato lo spazio dalla sovrapposizione autoritaria dello Stato, e quindi dai suoi rapporti di forza del tutto innaturali, gli uomini dovranno organizzare la società secondo quella unica "legge" che legittima un'osservanza universale: la legge di natura.
Ma poiché. come abbiamo visto, la natura si modifica nel tempo a causa dell' azione umana (è, appunto, la Storia che interviene sullo spazio), allora occorre trovare una sintesi tra queste due istanze, sintesi capace di riportare il sociale all' interno del naturale.
La via indicata da Reclus parte dall' idea federalistica della aggregazione spontanea delle comunità umane.
In altri termini, lo spazio viene riorganizzato senza l'intervento dell' autorità perché gli uomini che vi abitano non hanno bisogno di coercizioni per vivere, visto che, «ad onta della violenza, la natura tende a rimettere ciascun popolo dentro i confini naturali». Confini, beninteso, che non hanno nulla a che fare con quelli rivendicati dalle varie culture nazionalistiche e patriottiche; questi confini, infatti non esistono in natura, come invece pretendono tali ideologie.
La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e artificiali del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura, ovviamente,non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte sue manifestazioni esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se si instaura correttamente con essa un rapporto capace di cogliere l'intima razionalità che pervade la necessità del tutto.
Ma poiché. come abbiamo visto, la natura si modifica nel tempo a causa dell' azione umana (è, appunto, la Storia che interviene sullo spazio), allora occorre trovare una sintesi tra queste due istanze, sintesi capace di riportare il sociale all' interno del naturale.
La via indicata da Reclus parte dall' idea federalistica della aggregazione spontanea delle comunità umane.
In altri termini, lo spazio viene riorganizzato senza l'intervento dell' autorità perché gli uomini che vi abitano non hanno bisogno di coercizioni per vivere, visto che, «ad onta della violenza, la natura tende a rimettere ciascun popolo dentro i confini naturali». Confini, beninteso, che non hanno nulla a che fare con quelli rivendicati dalle varie culture nazionalistiche e patriottiche; questi confini, infatti non esistono in natura, come invece pretendono tali ideologie.
La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e artificiali del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura, ovviamente,non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte sue manifestazioni esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se si instaura correttamente con essa un rapporto capace di cogliere l'intima razionalità che pervade la necessità del tutto.
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giovedì 15 agosto 2019
RENZO NOVATORE poeta e anarchico - parte sesta
Proprio in quei giorni le squadracce fasciste del Nord Italia si organizzavano e si collegavano tra loro: aumentavano gli episodi intimidatori, le bastonature e le visite notturne in casa altrui, durante le quali spesso ci scappava il morto.
Nella notte del 5 giugno del 1922 alcuni camion carichi di imbecilli arrancarono sino a Fresonara, la frazione di Arcola nella quale abitava Novatore. Certe cronache parlano di fascisti riunitisi all'ordine di qualche capoccia locale, altre invece ci riferiscono di regi poliziotti ben organizzati.
Il gruppo scese dagli automezzi con pessime intenzioni e cominciò a schiamazzare. Gli imbecilli impugnavano bastoni, spranghe, forse qualche fucile. Cominciarono a picchiare alla porta della casa di Abele Ricieri Ferrari. L'intenzione era quella di confiscare i pochi beni e le carte sovversive in possesso dell'anarchico ma soprattutto spaventarlo, spaventare la sua famiglia, fargli capire che nell'ordine futuro non ci sarebbe stato posto per quelli come lui.
Ad un tratto la risposta di Novatore: qualche colpo di rivoltella dall'alto. Gli aggressori si misero in allarme, ma alla fine almeno una bomba a mano modello S.I.P.E. volò giù dalla finestra, esplodendo e creando un ottimo diversivo per Novatore che scappò in fretta perdendosi nelle campagne circostanti.
Fu l'ultima volta che la famiglia lo vide.
Nel giugno di quell'anno Novatore, vagabondo tra Appennino e basso Piemonte, si aggregò con modalità ancora misteriose alla banda di Sante Pollastro, classe 1899, famoso rapinatore di Novi Ligure di ispirazione anarchica e già allora ricercato dalla polizia.
Da quel momento le notizie si fanno scarsissime. Nessuna segnalazione della polizia, nessun contatto con la famiglia, nessun articolo inviato a qualche rivista.
Il 14 luglio del 1922 cioè trentanove giorni dopo l'assalto poliziesco-fascista alla sua casa, Renzo Novatore, Sante Pollastro ed altri due componenti della banda tendono un agguato nei pressi di Tortona al ragionier Achille Casalegno, cassiere della locale Banca Agricola Italiana, che stava percorrendo la strada con una borsa piena di denaro. Durante la colluttazione che seguì al tentativo di rapina, Novatore sparò un colpo con la sua arma uccidendo il ragionier Casalegno. Gli assalitori riuscirono poi a dileguarsi col bottino.
Questa versione dei fatti va accettata col beneficio del dubbio perché resa dal Pollastro stesso nel 1931 in sede di processo e non è da escludere che il bandito piemontese, davanti ai giudici, avesse attribuito l'omicidio al già defunto Novatore soltanto per difendere un complice che invece si trovava ancora in vita.
Sempre nel 1922, Novatore compose una poesia intitolata “Ballata crepuscolare – preludio sinfonico di DINAMITE”. Si tratta di un componimento estremamente triste, dal sapore amaro e carico di oscuri presagi. L'instancabile istinto ribelle appare frustrato, non c'è più traccia di quel famoso sorriso beffardo da portare sempre sulle labbra.
Il 29 novembre del 1922 tra mezzogiorno e l'una il maresciallo Lupano da tempo sulle tracce del bandito Pollastro, assieme ai carabinieri Corbella e Marchetti, entrarono in abiti civili nell'Osteria della Salute, piena di avventori. Ad un tavolo sedevano il pregiudicato ventitreenne Sante Pollastro, ricercato per rapina, ed un individuo sconosciuto. Mentre i carabinieri fingevano di prendere posto, preparandosi in realtà all'arresto, Pollastro si accorse dei loro gesti sospetti ed impugnò una pistola, come fece anche il suo compagno. Probabilmente quest'ultimo aprì improvvisamente il fuoco sul maresciallo che cadde a terra, colpito gravemente. Lupano sparò a sua volta e morì, mentre gli altri due carabinieri si buttavano sui banditi: nell'osteria risuonarono altri terribili colpi. Sul pavimento rimasero il cadavere dell'amico di Pollastro e il corpo ferito del milite Corbella. Nella confusione Sante Pollastro riuscì ad infrangere una vetrata a rivoltellate e buttarsi con estrema agilità in strada, e su questa si dileguò in pochi attimi.
Maresciallo Lupano: morto. Carabiniere Corbella: gravemente ferito. Carabiniere Marchetti: illeso.
Compagno ignoto di Pollastro: morto.
A parte il cordoglio ufficiale per i militari morti e l'imponente quanto inutile caccia all'uomo organizzata nei paraggi per stanare Pollastro, un'altra questione attirò l'attenzione degli inquirenti e dei cronisti di nera interessati al caso. L'identità del misterioso bandito ucciso. Nelle sue tasche erano state ritrovati, oltre a dei documenti intestati ad un certo Giovanni Governato, una pistola Browning, due caricatori di riserva, una bomba a mano ed un anello con spazio nascosto contenete una dose letale di cianuro.
Nella notte del 5 giugno del 1922 alcuni camion carichi di imbecilli arrancarono sino a Fresonara, la frazione di Arcola nella quale abitava Novatore. Certe cronache parlano di fascisti riunitisi all'ordine di qualche capoccia locale, altre invece ci riferiscono di regi poliziotti ben organizzati.
Il gruppo scese dagli automezzi con pessime intenzioni e cominciò a schiamazzare. Gli imbecilli impugnavano bastoni, spranghe, forse qualche fucile. Cominciarono a picchiare alla porta della casa di Abele Ricieri Ferrari. L'intenzione era quella di confiscare i pochi beni e le carte sovversive in possesso dell'anarchico ma soprattutto spaventarlo, spaventare la sua famiglia, fargli capire che nell'ordine futuro non ci sarebbe stato posto per quelli come lui.
Ad un tratto la risposta di Novatore: qualche colpo di rivoltella dall'alto. Gli aggressori si misero in allarme, ma alla fine almeno una bomba a mano modello S.I.P.E. volò giù dalla finestra, esplodendo e creando un ottimo diversivo per Novatore che scappò in fretta perdendosi nelle campagne circostanti.
Fu l'ultima volta che la famiglia lo vide.
Nel giugno di quell'anno Novatore, vagabondo tra Appennino e basso Piemonte, si aggregò con modalità ancora misteriose alla banda di Sante Pollastro, classe 1899, famoso rapinatore di Novi Ligure di ispirazione anarchica e già allora ricercato dalla polizia.
Da quel momento le notizie si fanno scarsissime. Nessuna segnalazione della polizia, nessun contatto con la famiglia, nessun articolo inviato a qualche rivista.
Il 14 luglio del 1922 cioè trentanove giorni dopo l'assalto poliziesco-fascista alla sua casa, Renzo Novatore, Sante Pollastro ed altri due componenti della banda tendono un agguato nei pressi di Tortona al ragionier Achille Casalegno, cassiere della locale Banca Agricola Italiana, che stava percorrendo la strada con una borsa piena di denaro. Durante la colluttazione che seguì al tentativo di rapina, Novatore sparò un colpo con la sua arma uccidendo il ragionier Casalegno. Gli assalitori riuscirono poi a dileguarsi col bottino.
Questa versione dei fatti va accettata col beneficio del dubbio perché resa dal Pollastro stesso nel 1931 in sede di processo e non è da escludere che il bandito piemontese, davanti ai giudici, avesse attribuito l'omicidio al già defunto Novatore soltanto per difendere un complice che invece si trovava ancora in vita.
Sempre nel 1922, Novatore compose una poesia intitolata “Ballata crepuscolare – preludio sinfonico di DINAMITE”. Si tratta di un componimento estremamente triste, dal sapore amaro e carico di oscuri presagi. L'instancabile istinto ribelle appare frustrato, non c'è più traccia di quel famoso sorriso beffardo da portare sempre sulle labbra.
Il 29 novembre del 1922 tra mezzogiorno e l'una il maresciallo Lupano da tempo sulle tracce del bandito Pollastro, assieme ai carabinieri Corbella e Marchetti, entrarono in abiti civili nell'Osteria della Salute, piena di avventori. Ad un tavolo sedevano il pregiudicato ventitreenne Sante Pollastro, ricercato per rapina, ed un individuo sconosciuto. Mentre i carabinieri fingevano di prendere posto, preparandosi in realtà all'arresto, Pollastro si accorse dei loro gesti sospetti ed impugnò una pistola, come fece anche il suo compagno. Probabilmente quest'ultimo aprì improvvisamente il fuoco sul maresciallo che cadde a terra, colpito gravemente. Lupano sparò a sua volta e morì, mentre gli altri due carabinieri si buttavano sui banditi: nell'osteria risuonarono altri terribili colpi. Sul pavimento rimasero il cadavere dell'amico di Pollastro e il corpo ferito del milite Corbella. Nella confusione Sante Pollastro riuscì ad infrangere una vetrata a rivoltellate e buttarsi con estrema agilità in strada, e su questa si dileguò in pochi attimi.
Maresciallo Lupano: morto. Carabiniere Corbella: gravemente ferito. Carabiniere Marchetti: illeso.
Compagno ignoto di Pollastro: morto.
A parte il cordoglio ufficiale per i militari morti e l'imponente quanto inutile caccia all'uomo organizzata nei paraggi per stanare Pollastro, un'altra questione attirò l'attenzione degli inquirenti e dei cronisti di nera interessati al caso. L'identità del misterioso bandito ucciso. Nelle sue tasche erano state ritrovati, oltre a dei documenti intestati ad un certo Giovanni Governato, una pistola Browning, due caricatori di riserva, una bomba a mano ed un anello con spazio nascosto contenete una dose letale di cianuro.
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Rivoluzione o ribellione
La rivoluzione ordina di creare nuove istituzioni, la ribellione spinge a sollevarsi, a insorgere.
La natura profondamente anarchica della ribellione è dunque chiara: essa è diretta ad ottenere una situazione in cui gli individui non siano più governati da istituzioni (cioè da poteri stabiliti), ma si autogovernino da se stessi (modello perfetto dell'anarchia).
La ribellione, dunque, non è alternativa o indifferente alla rivoluzione ma è molto di più. Essa è sempre comprensiva dell'avversità ad ogni dominio storico.
Tuttavia, ogni rivoluzione che vuoI essere veramente distruttiva dell' ordine esistente deve contenere almeno una parte della ribellione come superamento della storicità del dominio determinato; deve essere, in altri termini, pervasa da una dimensione metafisica. Rivoluzione e ribellione non devono essere considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o status, dello Stato o della società, ed è perciò un'azione politica e sociale; la seconda porta certo,come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni date, ma non parte di qui, bensì dalla insoddisfazione degli uomini verso se stessi, non è una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cioè un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mira a creare nuove istituzioni, la ribellione ci porta a non farci più governare da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perciò non ripone alcuna radiosa speranza nelle istituzioni. Essa non è una lotta contro il sussistente, poiché, se essa appena cresce, il sussistente crolla da sé, essa è solo un processo con cui mi sottraggo al sussistente. E se abbandono il sussistente, ecco che muore e si decompone. Ma siccome il mio scopo non è il rovesciamento di un certo sussistente, bensì il mio sollevarmi al di sopra di esso, la mia intenzione e la mia azione non hanno carattere politico e sociale, ma invece egoistico.
La natura profondamente anarchica della ribellione è dunque chiara: essa è diretta ad ottenere una situazione in cui gli individui non siano più governati da istituzioni (cioè da poteri stabiliti), ma si autogovernino da se stessi (modello perfetto dell'anarchia).
La ribellione, dunque, non è alternativa o indifferente alla rivoluzione ma è molto di più. Essa è sempre comprensiva dell'avversità ad ogni dominio storico.
Tuttavia, ogni rivoluzione che vuoI essere veramente distruttiva dell' ordine esistente deve contenere almeno una parte della ribellione come superamento della storicità del dominio determinato; deve essere, in altri termini, pervasa da una dimensione metafisica. Rivoluzione e ribellione non devono essere considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o status, dello Stato o della società, ed è perciò un'azione politica e sociale; la seconda porta certo,come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni date, ma non parte di qui, bensì dalla insoddisfazione degli uomini verso se stessi, non è una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cioè un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mira a creare nuove istituzioni, la ribellione ci porta a non farci più governare da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perciò non ripone alcuna radiosa speranza nelle istituzioni. Essa non è una lotta contro il sussistente, poiché, se essa appena cresce, il sussistente crolla da sé, essa è solo un processo con cui mi sottraggo al sussistente. E se abbandono il sussistente, ecco che muore e si decompone. Ma siccome il mio scopo non è il rovesciamento di un certo sussistente, bensì il mio sollevarmi al di sopra di esso, la mia intenzione e la mia azione non hanno carattere politico e sociale, ma invece egoistico.
La città e l’autogestione
Aria, tempo, spazio, piacere, terra, cibo sono sempre più motivo di conflitti e rivendicazioni.
La loro mancanza, il loro degrado, l'impossibilità di goderne liberamente stanno rimodellando velocemente i valori, le idee, le paure, le prospettive e con esse i modi e le ragioni stesse del fare politica.
Allora bisogna reagire e resistere, impostare la lotta contro la privatizzazione e la mercificazione dello spazio come lotta frontale, non necessariamente violenta, ma certamente coerente con il proprio sentire, autorganizzata e solidaristica, orientata a ottenere risultati tangibili e immediati in situazioni che valorizzino le caratteristiche di ognuno, rendano possibile e migliorino la qualità sociale. Ormai abbiamo capito che né il mercato né lo Stato agiscono per l'interesse collettivo tanto meno per quello dei singoli anzi affidarsi al mercato significa rendersi partecipi della trasformazione delle città in centri commerciali o musei a cielo aperto e chi la abita in polli in allevamento da far sopravvivere in una gabbia luccicante. Allora bisogna cambiare, contro il mercato praticare l'autoproduzione, la riutilizzazione dei materiali, l'autocostruzione, il baratto e il mutuo appoggio organizzato.
Introdurre il dono nei rapporti di scambio tra le persone; associarsi in gruppi di acquisto, in attesa, magari, di potersi organizzare autonomamente creando orti collettivi in città o nelle sue vicinanze. Opponendosi così alla speculazione edilizia, alla costruzione di edifici che trasformano la città in uno spazio espositivo per il marketing pubblicitario di banche e multinazionali, a infrastrutture ingombranti e inutili.
Occupare le case abbandonate per abitarci o condividerne gli spazi con chi vuol frequentarle. Utilizzare le strade, i marciapiedi, le piazze, i muri, i parchi al di là delle convenzioni e dei regolamenti sottraendole anche solo momentaneamente alle automobili, a un’estetica mediocre, a una tristezza uniforme.
I partiti e le istituzioni amministrative non possono rappresentare l'interesse pubblico perché fanno parte del sistema, perché rappresentano essi stessi interessi privati e perché sono strumenti avversi alla formazione di meccanismi di decisione collettivi e alla mobilitazione.
Non cedere alle prevaricazioni né alla seduzione. L’obiettivo irrinunciabile deve essere la liberazione del territorio dagli imperativi del mercato, e ciò significa farla finita con il territorio inteso come territorio dell'economia. Deve stabilire un rapporto di rispetto tra l'uomo e la natura, senza intermediari.
Questo compito spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l'unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall'autogestione territoriale generalizzata cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso assemblee comunitarie.
La loro mancanza, il loro degrado, l'impossibilità di goderne liberamente stanno rimodellando velocemente i valori, le idee, le paure, le prospettive e con esse i modi e le ragioni stesse del fare politica.
Allora bisogna reagire e resistere, impostare la lotta contro la privatizzazione e la mercificazione dello spazio come lotta frontale, non necessariamente violenta, ma certamente coerente con il proprio sentire, autorganizzata e solidaristica, orientata a ottenere risultati tangibili e immediati in situazioni che valorizzino le caratteristiche di ognuno, rendano possibile e migliorino la qualità sociale. Ormai abbiamo capito che né il mercato né lo Stato agiscono per l'interesse collettivo tanto meno per quello dei singoli anzi affidarsi al mercato significa rendersi partecipi della trasformazione delle città in centri commerciali o musei a cielo aperto e chi la abita in polli in allevamento da far sopravvivere in una gabbia luccicante. Allora bisogna cambiare, contro il mercato praticare l'autoproduzione, la riutilizzazione dei materiali, l'autocostruzione, il baratto e il mutuo appoggio organizzato.
Introdurre il dono nei rapporti di scambio tra le persone; associarsi in gruppi di acquisto, in attesa, magari, di potersi organizzare autonomamente creando orti collettivi in città o nelle sue vicinanze. Opponendosi così alla speculazione edilizia, alla costruzione di edifici che trasformano la città in uno spazio espositivo per il marketing pubblicitario di banche e multinazionali, a infrastrutture ingombranti e inutili.
Occupare le case abbandonate per abitarci o condividerne gli spazi con chi vuol frequentarle. Utilizzare le strade, i marciapiedi, le piazze, i muri, i parchi al di là delle convenzioni e dei regolamenti sottraendole anche solo momentaneamente alle automobili, a un’estetica mediocre, a una tristezza uniforme.
I partiti e le istituzioni amministrative non possono rappresentare l'interesse pubblico perché fanno parte del sistema, perché rappresentano essi stessi interessi privati e perché sono strumenti avversi alla formazione di meccanismi di decisione collettivi e alla mobilitazione.
Non cedere alle prevaricazioni né alla seduzione. L’obiettivo irrinunciabile deve essere la liberazione del territorio dagli imperativi del mercato, e ciò significa farla finita con il territorio inteso come territorio dell'economia. Deve stabilire un rapporto di rispetto tra l'uomo e la natura, senza intermediari.
Questo compito spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l'unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall'autogestione territoriale generalizzata cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso assemblee comunitarie.
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giovedì 8 agosto 2019
RENZO NOVATORE poeta e anarchico - parte quinta
Il solito Pasquale Binazzi coordinava gli sforzi per espandere e tenere in vita l'occupazione generale delle fabbriche di La Spezia avvenuta il 2 settembre 1920 organizzando comizi, assemblee e sistemi di comunicazione alternativi nella speranza che l'esproprio di qualche giorno si trasformasse in rivoluzione. Anche a Torino e Milano gli operai avevano cacciato i padroni fuori dai cancelli e sperimentavano per la prima volta l'autogestione, spronati dal sostegno di quei socialisti estremisti che ormai si chiamavano comunisti, e che parlavano per bocca di Antonio Gramsci.
Renzo Novatore elaborò una coraggiosa strategia di insurrezione che prevedeva persino l'assalto organizzato ai fortini militari che cingevano La Spezia e la presa delle corazzate che galleggiavano minacciose nel golfo.
Il movimento operaio, che aveva fatto dell'occupazione delle fabbriche il punto di partenza di una grandiosa rivoluzione, era nuovamente battuto e l'azione passava in mano alla borghesia e al governo che, scacciata la paura e lo smarrimento, tornavano all'assalto. L'ultima sfida era stata scioccamente persa, mentre l'orizzonte già si macchiava di tinte nere.
Fu l’ultimo colpo per Novatore, aveva definitivamente perso ogni traccia di fiducia nelle organizzazioni sindacali per quanto estremiste potessero essere, nella sollevazione delle masse proletarie, nel prossimo e, forse anche nell'Uomo. È in questo periodo che il nichilismo e l'individualismo di Novatore presero piede e si estremizzano concretizzandosi in un rafforzamento della volontà che poneva l'Io personale al di sopra di tutto. Abele decise di dedicarsi assieme a due amici il concittadino militante Auro D'Arcola e il pittore futurista Giovanni Governato alla realizzazione di una rivista anarchica di “ forza e bellezza ” che avrebbe accolto “ solamente l'opera di intelligenti spiriti liberissimi, scrittori ed artisti spregiudicati ”.
La rivista, chiamata “Vertice” ed uscita nell'aprile 1921, includeva alcuni articoli di Novatore, firmatosi come sempre con una serie di pseudonimi. Il tenore degli interventi era come al solito esplosivo e caratterizzato da argomentazioni politiche, comprendendo riflessioni sul significato dell'anarchia, dell'individualismo e della libertà dell'uomo, imperfetto, secondo l'autore, sia nell'inquadramento laico di cittadino, sia in quello cristiano di credente e seguace di Cristo. C'erano nelle sue parole i segni della delusione per l'occasione rivoluzionaria mancata nel biennio rosso, durante l'occupazione delle fabbriche.
Il foglio era completato da altri due scritti di carattere più artistico, in forma di racconto breve, uno dei quali portava il titolo “Il sogno della mia adolescenza” e rimane, tutt'oggi, un grande inno all'emancipazione femminile e all'indipendenza sentimentale.
Dopo l'uscita di quel primo ed ormai introvabile numero, del quale si ignora la diffusione e le impressioni del pubblico, Novatore decise di sospendere le pubblicazioni perché, riferisce sempre Auro d'Arcola, non riteneva ancora la rivista degna dei suoi autori.
Sempre nel 1921 scrisse anche uno dei suoi pochi lavori artistici completi. In quell'opera dai contenuti prettamente politici, intitolata “Verso il nulla creatore”, troviamo tutto il livore dell'anarchico che lotta armi in pugno contro tutti gli “-ismi”, tutte le “-archie”, contro il cristianesimo e la ragion politica, in una contrapposizione netta e fatale tra questi concetti, definiti “fantasmi”, e la difesa della sacra individualità di ognuno di noi come valore primario che acquista una valenza, oltre che filosofica, anche politica.
La rilettura strafottente del primo conflitto mondiale, come metafora dell'idiozia umana e dell'uso strumentale della guerra fatto dalla borghesia nei confronti del proletariato, ci consegnano preziose pagine di antimilitarismo ed opposizione che, in epoca fascista, finiranno tragicamente nel dimenticatoio.
Novatore fu uno dei primi ad intravedere le sciagure che avrebbe causato l'imminente ed immonda unione tra la vecchia borghesia spaurita e il nuovo fascismo baldanzoso. Il mostro nascente sarebbe stato terribilmente autoritario e massificatore nel suo spietato militarismo. Novatore lo sapeva bene proprio perché aveva provato sulla sua pelle i subdoli espedienti usati da borghesia e socialisti per mirare al soffocamento delle individualità ribelli: il fascismo avrebbe potuto solo amplificare tutto ciò, grazie anche all'impotenza del mummificato Partito Socialista.
Con i suoi scritti Novatore intendeva comunicare ai suoi lettori, generalmente collocati nella sinistra militante, che per definirsi sovversivi e rivoluzionari non bastava una tessera in tasca o partecipare attivamente agli scioperi e alle manifestazioni, bisognava agire e rispondere colpo su colpo ai prevaricatori anche con azioni individuali che, nella sua visione erano infinitamente meglio dell'attendismo dei politicanti e del qualunquismo della marmaglia.
Renzo Novatore elaborò una coraggiosa strategia di insurrezione che prevedeva persino l'assalto organizzato ai fortini militari che cingevano La Spezia e la presa delle corazzate che galleggiavano minacciose nel golfo.
Il movimento operaio, che aveva fatto dell'occupazione delle fabbriche il punto di partenza di una grandiosa rivoluzione, era nuovamente battuto e l'azione passava in mano alla borghesia e al governo che, scacciata la paura e lo smarrimento, tornavano all'assalto. L'ultima sfida era stata scioccamente persa, mentre l'orizzonte già si macchiava di tinte nere.
Fu l’ultimo colpo per Novatore, aveva definitivamente perso ogni traccia di fiducia nelle organizzazioni sindacali per quanto estremiste potessero essere, nella sollevazione delle masse proletarie, nel prossimo e, forse anche nell'Uomo. È in questo periodo che il nichilismo e l'individualismo di Novatore presero piede e si estremizzano concretizzandosi in un rafforzamento della volontà che poneva l'Io personale al di sopra di tutto. Abele decise di dedicarsi assieme a due amici il concittadino militante Auro D'Arcola e il pittore futurista Giovanni Governato alla realizzazione di una rivista anarchica di “ forza e bellezza ” che avrebbe accolto “ solamente l'opera di intelligenti spiriti liberissimi, scrittori ed artisti spregiudicati ”.
La rivista, chiamata “Vertice” ed uscita nell'aprile 1921, includeva alcuni articoli di Novatore, firmatosi come sempre con una serie di pseudonimi. Il tenore degli interventi era come al solito esplosivo e caratterizzato da argomentazioni politiche, comprendendo riflessioni sul significato dell'anarchia, dell'individualismo e della libertà dell'uomo, imperfetto, secondo l'autore, sia nell'inquadramento laico di cittadino, sia in quello cristiano di credente e seguace di Cristo. C'erano nelle sue parole i segni della delusione per l'occasione rivoluzionaria mancata nel biennio rosso, durante l'occupazione delle fabbriche.
Il foglio era completato da altri due scritti di carattere più artistico, in forma di racconto breve, uno dei quali portava il titolo “Il sogno della mia adolescenza” e rimane, tutt'oggi, un grande inno all'emancipazione femminile e all'indipendenza sentimentale.
Dopo l'uscita di quel primo ed ormai introvabile numero, del quale si ignora la diffusione e le impressioni del pubblico, Novatore decise di sospendere le pubblicazioni perché, riferisce sempre Auro d'Arcola, non riteneva ancora la rivista degna dei suoi autori.
Sempre nel 1921 scrisse anche uno dei suoi pochi lavori artistici completi. In quell'opera dai contenuti prettamente politici, intitolata “Verso il nulla creatore”, troviamo tutto il livore dell'anarchico che lotta armi in pugno contro tutti gli “-ismi”, tutte le “-archie”, contro il cristianesimo e la ragion politica, in una contrapposizione netta e fatale tra questi concetti, definiti “fantasmi”, e la difesa della sacra individualità di ognuno di noi come valore primario che acquista una valenza, oltre che filosofica, anche politica.
La rilettura strafottente del primo conflitto mondiale, come metafora dell'idiozia umana e dell'uso strumentale della guerra fatto dalla borghesia nei confronti del proletariato, ci consegnano preziose pagine di antimilitarismo ed opposizione che, in epoca fascista, finiranno tragicamente nel dimenticatoio.
Novatore fu uno dei primi ad intravedere le sciagure che avrebbe causato l'imminente ed immonda unione tra la vecchia borghesia spaurita e il nuovo fascismo baldanzoso. Il mostro nascente sarebbe stato terribilmente autoritario e massificatore nel suo spietato militarismo. Novatore lo sapeva bene proprio perché aveva provato sulla sua pelle i subdoli espedienti usati da borghesia e socialisti per mirare al soffocamento delle individualità ribelli: il fascismo avrebbe potuto solo amplificare tutto ciò, grazie anche all'impotenza del mummificato Partito Socialista.
Con i suoi scritti Novatore intendeva comunicare ai suoi lettori, generalmente collocati nella sinistra militante, che per definirsi sovversivi e rivoluzionari non bastava una tessera in tasca o partecipare attivamente agli scioperi e alle manifestazioni, bisognava agire e rispondere colpo su colpo ai prevaricatori anche con azioni individuali che, nella sua visione erano infinitamente meglio dell'attendismo dei politicanti e del qualunquismo della marmaglia.
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Contesto storico nella breve esistenza di Renzo Novatore 3°
1919-1920-1921-1924
"Biennio Rosso", nascita e affermazione del fascismo.
Nell'estate 1919 scoppiano in tutta Italia tumulti per protestare contro la disastrosa situazione socio-economica nella quale versa il paese dalla fine della guerra. I primi a farne le spese sono principalmente contadini ed operai. Proprio questi ultimi, più organizzati ed inquadrati politicamente, si pongono alla guida della protesta dichiarando l'occupazione delle fabbriche e, organizzati in comitati autogestiti sul modello dei soviet russi, assumono il controllo di officine e cantieri. Si formano addirittura reparti di cosiddette "guardie rosse", col compito di presidiare gli stabilimenti e respingere eventuali attacchi delle autorità o delle bande al soldo dei padroni.
Dalla frangia posta all'estrema sinistra del PSI si forma la prima cellula del Partito Comunista nella quale si distingue Antonio Gramsci che teorizza l'occupazione delle fabbriche come punto di partenza per la rivoluzione che finalmente farà piazza pulita dell'odiato Parlamento borghese e della monarchia Savoia.
Intanto tra gli imprenditori, gli agrari e tutta quella che si definisce classe media circola preoccupazione per la pessima piega che stanno prendendo gli eventi, anche perchè sembra che stavolta il proletariato faccia sul serio. L'esempio russo incombe e non si può aspettare che, come sempre, tutto si esaurisca per autocombustione interna.
Nel frattempo l'incallito militante Benito Mussolini, già passato nelle file interventiste durante la guerra, taglia definitivamente i ponti con la militanza socialista di estrema sinistra avendo perso fiducia nel mito della rivoluzione, dell'internazionalismo e del modello marxista. Arroccandosi sempre più nel nazionalismo, Mussolini matura la convinzione che per stare al passo coi tempi e cambiare lo status quo in Italia deve porre fine alla sua aperta ostilità con borghesia, imprenditori ed agrari e sviluppare una serie di valori tradizionali, forti e comuni (Patria, disciplina, orgoglio, militarismo, obbedienza verso determinate figure simbolo) che sappiano cementare il disgregato tessuto sociale post-bellico. Grazie a queste idee che ispirano finalmente ordine, decisioni vantaggiose per la borghesia e una spiccata funzione antisocialista, Mussolini riesce a cavalcare il malcontento di una popolazione esasperata da una crisi profonda e, al contempo, guadagnarsi anche l'appoggio di agrari ed industriali che vedono finalmente nel futuro Duce un possibile fautore del cambiamento sociale a loro favore.
Tra i primi impieghi dei Fasci di Combattimento mussoliniani ci sono senza dubbio servizi di bastonatura e pestaggi ai danni di militanti di estrema sinistra e sindacalisti, così come la distruzione di numerose Camere del Lavoro, soprattutto al Nord.
Nella solita disorganizzazione, nella solita marea di esitazioni e polemiche interne, nella solita sottrazione di forze causata dagli attendisti, si andava concludendo agli inizi del 1921 l'occupazione delle fabbriche.
Svaniva nel nulla l'ultima grande offensiva "rossa" della storia italiana.
In un clima di crescente intimidazione e spacconeria le squadre fasciste si strutturano nel Partito Nazionale Fascista. Dopo essere entrato in Parlamento grazie all'accordo con i liberali, nel 1922 Mussolini ordinò ai suoi seguaci di attuare in forma paramilitare la famosa “marcia su Roma”, a seguito della quale il Re Vittorio Emanuele III, attuando uno stravolgimento delle norme costituzionali vigenti, lo incaricò di formare il nuovo governo, che fu di coalizione con i popolari ed i liberali moderati, a cui si opposero le sinistre ed alcuni liberaldemocratici.
Nel 1924 alcuni fascisti (che Mussolini stesso chiamò "teste calde") uccisero l'onorevole socialista Giacomo Matteotti che aveva denunciato i brogli commessi dagli uomini del Duce (così si faceva già chiamare Mussolini) nelle precedenti consultazioni elettorali. Questo provocò la crisi del governo di coalizione e l'uscita di molti partiti dal Parlamento (ritirata sull'Aventino); a quel punto Mussolini sciolse l'opposizioni ed attuò provvedimenti eccezionali che stroncarono ogni dissenso facendo delle vittime illustri tra le quali si ricordano Gramsci, don Minzoni, Gobetti e Amendola.
Era nato il regime.
"Biennio Rosso", nascita e affermazione del fascismo.
Nell'estate 1919 scoppiano in tutta Italia tumulti per protestare contro la disastrosa situazione socio-economica nella quale versa il paese dalla fine della guerra. I primi a farne le spese sono principalmente contadini ed operai. Proprio questi ultimi, più organizzati ed inquadrati politicamente, si pongono alla guida della protesta dichiarando l'occupazione delle fabbriche e, organizzati in comitati autogestiti sul modello dei soviet russi, assumono il controllo di officine e cantieri. Si formano addirittura reparti di cosiddette "guardie rosse", col compito di presidiare gli stabilimenti e respingere eventuali attacchi delle autorità o delle bande al soldo dei padroni.
Dalla frangia posta all'estrema sinistra del PSI si forma la prima cellula del Partito Comunista nella quale si distingue Antonio Gramsci che teorizza l'occupazione delle fabbriche come punto di partenza per la rivoluzione che finalmente farà piazza pulita dell'odiato Parlamento borghese e della monarchia Savoia.
Intanto tra gli imprenditori, gli agrari e tutta quella che si definisce classe media circola preoccupazione per la pessima piega che stanno prendendo gli eventi, anche perchè sembra che stavolta il proletariato faccia sul serio. L'esempio russo incombe e non si può aspettare che, come sempre, tutto si esaurisca per autocombustione interna.
Nel frattempo l'incallito militante Benito Mussolini, già passato nelle file interventiste durante la guerra, taglia definitivamente i ponti con la militanza socialista di estrema sinistra avendo perso fiducia nel mito della rivoluzione, dell'internazionalismo e del modello marxista. Arroccandosi sempre più nel nazionalismo, Mussolini matura la convinzione che per stare al passo coi tempi e cambiare lo status quo in Italia deve porre fine alla sua aperta ostilità con borghesia, imprenditori ed agrari e sviluppare una serie di valori tradizionali, forti e comuni (Patria, disciplina, orgoglio, militarismo, obbedienza verso determinate figure simbolo) che sappiano cementare il disgregato tessuto sociale post-bellico. Grazie a queste idee che ispirano finalmente ordine, decisioni vantaggiose per la borghesia e una spiccata funzione antisocialista, Mussolini riesce a cavalcare il malcontento di una popolazione esasperata da una crisi profonda e, al contempo, guadagnarsi anche l'appoggio di agrari ed industriali che vedono finalmente nel futuro Duce un possibile fautore del cambiamento sociale a loro favore.
Tra i primi impieghi dei Fasci di Combattimento mussoliniani ci sono senza dubbio servizi di bastonatura e pestaggi ai danni di militanti di estrema sinistra e sindacalisti, così come la distruzione di numerose Camere del Lavoro, soprattutto al Nord.
Nella solita disorganizzazione, nella solita marea di esitazioni e polemiche interne, nella solita sottrazione di forze causata dagli attendisti, si andava concludendo agli inizi del 1921 l'occupazione delle fabbriche.
Svaniva nel nulla l'ultima grande offensiva "rossa" della storia italiana.
In un clima di crescente intimidazione e spacconeria le squadre fasciste si strutturano nel Partito Nazionale Fascista. Dopo essere entrato in Parlamento grazie all'accordo con i liberali, nel 1922 Mussolini ordinò ai suoi seguaci di attuare in forma paramilitare la famosa “marcia su Roma”, a seguito della quale il Re Vittorio Emanuele III, attuando uno stravolgimento delle norme costituzionali vigenti, lo incaricò di formare il nuovo governo, che fu di coalizione con i popolari ed i liberali moderati, a cui si opposero le sinistre ed alcuni liberaldemocratici.
Nel 1924 alcuni fascisti (che Mussolini stesso chiamò "teste calde") uccisero l'onorevole socialista Giacomo Matteotti che aveva denunciato i brogli commessi dagli uomini del Duce (così si faceva già chiamare Mussolini) nelle precedenti consultazioni elettorali. Questo provocò la crisi del governo di coalizione e l'uscita di molti partiti dal Parlamento (ritirata sull'Aventino); a quel punto Mussolini sciolse l'opposizioni ed attuò provvedimenti eccezionali che stroncarono ogni dissenso facendo delle vittime illustri tra le quali si ricordano Gramsci, don Minzoni, Gobetti e Amendola.
Era nato il regime.
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Renzo Novatore
Kropotkin e l’espropriazione
Il suo scopo consiste nel restituire alle masse popolari tutta la ricchezza sociale esistente, non soltanto quella relativa alla sfera della produzione, ma anche quella pertinente al consumo.
L'espropriazione deve comprendere tutto ciò che permette a chicchesia - banchiere, industriale o coltivatore - di appropriarsi del lavoro altrui. In altri termini, la rivoluzione ha il compito di far ritornare alla collettività l'insieme materiale dei mezzi dello sfruttamento. Poiché l'espropriazione costituisce il momento decisivo della rivoluzione, ne deriva che se fosse fatta a metà risulterebbe controproducente perché provocherebbe soltanto un formidabile scompiglio nella società e una sospensione delle sue funzioni, non appagherebbe
nessuno, seminerebbe il malcontento generale e apporterebbe fatalmente il trionfo della reazione. Quindi il giorno che si colpirà la proprietà privata in una qualunque delle sue forme si sarà costretti a colpirla in tutte le altre.
L'espropriazione immediata e generalizzata permette di perseguire due finalità: dà la possibilità alle classi sfruttate di godere, fin da subito di una certa "agiatezza”, guadagnandole in tal modo alla causa rivoluzionaria; eleva il protagonismo popolare alla sua massima capacità, mentre pone in secondo piano l'azione del rivoluzionarismo politico «che le baionette giacobine non vengano ad interporsi; che i cosiddetti teorici scientifici non vengano a confonder nulla»
L'espropriazione deve comprendere tutto ciò che permette a chicchesia - banchiere, industriale o coltivatore - di appropriarsi del lavoro altrui. In altri termini, la rivoluzione ha il compito di far ritornare alla collettività l'insieme materiale dei mezzi dello sfruttamento. Poiché l'espropriazione costituisce il momento decisivo della rivoluzione, ne deriva che se fosse fatta a metà risulterebbe controproducente perché provocherebbe soltanto un formidabile scompiglio nella società e una sospensione delle sue funzioni, non appagherebbe
nessuno, seminerebbe il malcontento generale e apporterebbe fatalmente il trionfo della reazione. Quindi il giorno che si colpirà la proprietà privata in una qualunque delle sue forme si sarà costretti a colpirla in tutte le altre.
L'espropriazione immediata e generalizzata permette di perseguire due finalità: dà la possibilità alle classi sfruttate di godere, fin da subito di una certa "agiatezza”, guadagnandole in tal modo alla causa rivoluzionaria; eleva il protagonismo popolare alla sua massima capacità, mentre pone in secondo piano l'azione del rivoluzionarismo politico «che le baionette giacobine non vengano ad interporsi; che i cosiddetti teorici scientifici non vengano a confonder nulla»
giovedì 1 agosto 2019
RENZO NOVATORE poeta e anarchico - parte quarta
Nel maggio '19 La Spezia cadeva nelle mani di un Comitato Rivoluzionario che riusciva a tenere testa agli sbirri ed a una spaventata borghesia. Novatore e un altro anarchico del luogo chiamato Dante Carnesecchi, erano impegnati come oratori itineranti della causa rivoluzionaria nelle varie cittadine che circondano la grande città portuale ligure. L'illusione durò sino a metà giugno, quando un massiccio e determinato intervento di truppe stroncò ogni ulteriore tentativo di rivolta. Per Novatore, già ricercato da lungo tempo, quell'ennesima fuga risultò fatale perché, anche a causa della denuncia alle autorità fatta da un contadino, il 31 giugno fu circondato da una cinquantina di carabinieri ed arrestato nei pressi di Sarzana. Condotto alle carceri di Livorno, in snervante attesa dell'esecuzione della condanna a morte, si salvò grazie all'amnistia generale, promulgata il 2 settembre di quell'anno, per i reati militari legati alla guerra appena conclusasi.
Novatore, scampato per un soffio alla morte, continuò a scrivere numerosi interventi sui giornali anarchici che preferiva e che solitamente lo ospitavano, su quelle pagine rivendicò la passione per l'azione diretta, la centralità che questa doveva avere nella vita di un rivoluzionario rispetto ai vuoti intellettualismi. Novatore si diceva anche scettico nei confronti della tanto incensata rivoluzione bolscevica in Russia, vedendo in quel progetto solo la sostituzione di uno Stato autoritario zarista con uno Stato autoritario comunista, quindi ancora sottomissione e schiavitù per il popolo.
Nel frattempo uno scritto del ribelle di Arcola apparso sull' Iconoclasta! e imbevuto di poetiche visioni, inneggiante ad un individualismo spinto all'estremo, all'amore per l'eccesso, per il peccato, per le prostitute e così via, provocava la dura reazione, sotto forma di intervento sul giornale, dell'anarchico Camillo Berneri che invece privilegiava l'anarcosindacalismo, la sollevazione delle folle armate, il comunismo libertario, la fiducia nelle scienze umanistiche ed una visione molto classica del ruolo della donna e dell'uomo, anche all'interno di un sistema libertario.
Ne seguì una piccola querelle che ben presto si inasprì nei toni trasformandosi in sfilza di insulti senza che nessuno riuscisse a prevalere, prima di venir stroncata dallo stesso direttore del giornale.
Nel settembre 1920 il malcontento e la miseria dovuta agli strascichi della Grande Guerra, erano all'apice. Questo sentimento di sfiducia reciproca tra proletariato e ceti medi era inoltre acuito dall'indifferenza e dal malgoverno della classe dirigente italiana. Grande irrequietezza regnava tra i lavoratori industriali che vedevano sempre più sminuito il loro ruolo sociale. I loro diritti, anziché aumentare, rimanevano cristallizzati in una situazione svantaggiata rispetto ai loro colleghi europei. I reduci di guerra erano avviliti dal pugno di mosche col quale il loro grande sforzo era stato ricompensato dal governo. La sinistra riformista e parlamentare temporeggiava invocando leggi e decreti, le parole di rivendicazione riecheggiavano e morivano nell'aria stagnante dell'aula parlamentare.
Il capitalismo in Italia non era riuscito a svilupparsi in un modo forte e intelligente come era stato per Inghilterra e Stati Uniti. Gli industriali e i banchieri statunitensi, in particolare, avevano tratto enormi guadagni dalla guerra riuscendo a sfruttare al meglio la situazione di crisi per lucrare ed azzerare le conquiste sindacali che gli industrial workers avevano guadagnato col sangue negli anni precedenti.
Tra gli imprenditori italiani, invece, prevaleva un atteggiamento egoista e bottegaio, avido di concessioni governative ma sempre pronto a frignare contro le sottane dello Stato alla minima scintilla proletaria.
Davanti all'occupazione di molte fabbriche del Nord Italia, all'istituzione di consigli operai autogestiti, alla formazione di “guardie rosse” armate per il presidio degli scioperi e per combattere la violenza sbirresca, imprenditori ed agrari decisero di trincerarsi dietro un muro di bastoni, coltelli e baionette. La strada verso il fascismo cominciava a spianarsi.
A trent'anni, reduce da un ennesimo arresto per aver partecipato all'assalto ad una polveriera e ad una caserma della regia marina, Novatore si unì subito agli altri anarchici locali impegnati nelle sollevazioni, optando ancora una volta per concedere il suo aiuto alla causa popolare.
Novatore, scampato per un soffio alla morte, continuò a scrivere numerosi interventi sui giornali anarchici che preferiva e che solitamente lo ospitavano, su quelle pagine rivendicò la passione per l'azione diretta, la centralità che questa doveva avere nella vita di un rivoluzionario rispetto ai vuoti intellettualismi. Novatore si diceva anche scettico nei confronti della tanto incensata rivoluzione bolscevica in Russia, vedendo in quel progetto solo la sostituzione di uno Stato autoritario zarista con uno Stato autoritario comunista, quindi ancora sottomissione e schiavitù per il popolo.
Nel frattempo uno scritto del ribelle di Arcola apparso sull' Iconoclasta! e imbevuto di poetiche visioni, inneggiante ad un individualismo spinto all'estremo, all'amore per l'eccesso, per il peccato, per le prostitute e così via, provocava la dura reazione, sotto forma di intervento sul giornale, dell'anarchico Camillo Berneri che invece privilegiava l'anarcosindacalismo, la sollevazione delle folle armate, il comunismo libertario, la fiducia nelle scienze umanistiche ed una visione molto classica del ruolo della donna e dell'uomo, anche all'interno di un sistema libertario.
Ne seguì una piccola querelle che ben presto si inasprì nei toni trasformandosi in sfilza di insulti senza che nessuno riuscisse a prevalere, prima di venir stroncata dallo stesso direttore del giornale.
Nel settembre 1920 il malcontento e la miseria dovuta agli strascichi della Grande Guerra, erano all'apice. Questo sentimento di sfiducia reciproca tra proletariato e ceti medi era inoltre acuito dall'indifferenza e dal malgoverno della classe dirigente italiana. Grande irrequietezza regnava tra i lavoratori industriali che vedevano sempre più sminuito il loro ruolo sociale. I loro diritti, anziché aumentare, rimanevano cristallizzati in una situazione svantaggiata rispetto ai loro colleghi europei. I reduci di guerra erano avviliti dal pugno di mosche col quale il loro grande sforzo era stato ricompensato dal governo. La sinistra riformista e parlamentare temporeggiava invocando leggi e decreti, le parole di rivendicazione riecheggiavano e morivano nell'aria stagnante dell'aula parlamentare.
Il capitalismo in Italia non era riuscito a svilupparsi in un modo forte e intelligente come era stato per Inghilterra e Stati Uniti. Gli industriali e i banchieri statunitensi, in particolare, avevano tratto enormi guadagni dalla guerra riuscendo a sfruttare al meglio la situazione di crisi per lucrare ed azzerare le conquiste sindacali che gli industrial workers avevano guadagnato col sangue negli anni precedenti.
Tra gli imprenditori italiani, invece, prevaleva un atteggiamento egoista e bottegaio, avido di concessioni governative ma sempre pronto a frignare contro le sottane dello Stato alla minima scintilla proletaria.
Davanti all'occupazione di molte fabbriche del Nord Italia, all'istituzione di consigli operai autogestiti, alla formazione di “guardie rosse” armate per il presidio degli scioperi e per combattere la violenza sbirresca, imprenditori ed agrari decisero di trincerarsi dietro un muro di bastoni, coltelli e baionette. La strada verso il fascismo cominciava a spianarsi.
A trent'anni, reduce da un ennesimo arresto per aver partecipato all'assalto ad una polveriera e ad una caserma della regia marina, Novatore si unì subito agli altri anarchici locali impegnati nelle sollevazioni, optando ancora una volta per concedere il suo aiuto alla causa popolare.
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THE CIRCLE di James Ponsoldt
"Conoscere è un bene, ma sapere tutto è meglio" è il mantra che recita Eamon Bailey, uno dei fondatori della grande rete multimediale "The Circle", un ibrido di tutte le maggiori società tecnologiche che conosciamo oggi. Il suo obiettivo è di chiudere il cerchio, creando una community trasparente, dove tutte le esperienze vengano condivise. La digitalizzazione delle attività quotidiane di coloro che aderiscono alla TruYou è sintetizzata in una singola applicazione per la registrazione di tutte le applicazioni degli utenti, riducendo la necessità di aprire e di registrarsi ogni volta, usando un solo account, una sola identità, una sola password, un solo sistema di pagamento. E voilà, siamo in rete, nel cerchio, con tutte le nostre informazioni personali. Mae Holland è una neo laureata che viene assunta per lavorare a "The Circle" ed è molto fiera e altrettanto convinta che lavorare per la prima azienda di tecnologia e social media del mondo sia la più grande opportunità della sua vita. James Ponsoldt, regista e co-sceneggiatore di "The Circle" insieme a Dave Eggers, trae l'idea dal romanzo di Dave Eggers, scrittore genialoide che nella sua opera "Il cerchio" si annuncia preveggente nell'analisi di una società spinta su una piattaforma multimediale, imbrigliata nell'assoluta perdita della propria privacy. La giovane Mae è affascinata dalle parole di Bailey e si dedica al suo nuovo lavoro come un valoroso soldato ubbidiente. Ma Mercer, amico d'infanzia di Mae e lo stesso Ty primo fondatore di "The Circle", tentano di metterla in guardia dalla machiavellica macchina multimediale in cui tutto viene registrato, visto, trasmesso e dove tutti possono
usare informazioni a loro piacimento. "The Circle" osa alto, nel racconto di una società che potremmo definire futura, ma a noi molto vicina, in cui la privacy è al bando, complice un'umanità conquistata da un'idea edificante di trasparenza, ma che nel risvolto della medaglia si rivela un voyeurismo abbrutente e disumanizzante. Non c'è nulla di superlativo, di nobile e soprattutto garante di una società sana, in un cerchio multimediale, immenso contenitore d'identità burattine gestite da burattinai furbacchioni che usano la trasparenza per potere e per propri tornaconti.
Il titolo – The Circle – evoca la circolarità della struttura panoptica immaginata da Foucault in un regime di sorveglianza perfetta, fondato cioè sul perenne controllo reciproco, assicurato oggi da quel desiderio di visibilità alla base dell’uso dei social network, che tende ad abbattere i confini tra pubblico e privato. Il gigante informatico che è al centro di questa distopia, somiglia ad un’ideale fusione tra Google, Paypal, Pinterest, Twitter, Facebook e altri. “The Circle” rappresenterebbe una sorta di Grande Fratello aggiornato al tempo dei social network: una società non desiderabile fondata sul nostro esibizionismo, che nella storia è quello della protagonista, perché il male del futuro potrebbe apparire sempre più somigliante alla banale Mae, che all’occhio sospeso nell’oscurità del Grande Fratello.
E se fossimo noi stessi i complici della nostra oppressione,
mai come in questo momento esplicitata dall'abuso dei social media e dall'incessante richiesta di un'assoluta trasparenza che abbatta definitivamente il concetto stesso di privacy? Nell'Italia dei Movimenti politici che millantano dirette web quando fa comodo loro, dell'utopistica democrazia diretta con voto on-line e stipendi sbandierati in rete, Il Cerchio risulta essere meno apocalittico e futuristico di quanto uno possa pensare.
È terrorizzante non solo il fatto di non poter celare qualcosa per sé, ma soprattutto l’idea che le generazioni future vivranno in una società in cui non c’è più la possibilità di scegliere se farlo o meno. La cosa più ironica, soprattutto dopo le rivelazioni dell’ex tecnico della CIA Edward Snowden, è che nonostante tutti sappiamo come le nostre informazioni vengano monitorate e catalogate, non ce ne preoccupiamo, e contribuiamo per primi a rivelare tutto di noi stessi. Nel mondo capitalistico la privacy è diventata una merce come le altre.
Diversi studi hanno dimostrato che nel momento in cui qualcuno interagisce con noi su Facebook o Twitter, riceviamo una piccola scarica di adrenalina che, alla lunga, può creare dipendenza. The Circle ha il merito di metterci di fronte a questa nostra eventuale dipendenza, problematizzandola.
usare informazioni a loro piacimento. "The Circle" osa alto, nel racconto di una società che potremmo definire futura, ma a noi molto vicina, in cui la privacy è al bando, complice un'umanità conquistata da un'idea edificante di trasparenza, ma che nel risvolto della medaglia si rivela un voyeurismo abbrutente e disumanizzante. Non c'è nulla di superlativo, di nobile e soprattutto garante di una società sana, in un cerchio multimediale, immenso contenitore d'identità burattine gestite da burattinai furbacchioni che usano la trasparenza per potere e per propri tornaconti.
Il titolo – The Circle – evoca la circolarità della struttura panoptica immaginata da Foucault in un regime di sorveglianza perfetta, fondato cioè sul perenne controllo reciproco, assicurato oggi da quel desiderio di visibilità alla base dell’uso dei social network, che tende ad abbattere i confini tra pubblico e privato. Il gigante informatico che è al centro di questa distopia, somiglia ad un’ideale fusione tra Google, Paypal, Pinterest, Twitter, Facebook e altri. “The Circle” rappresenterebbe una sorta di Grande Fratello aggiornato al tempo dei social network: una società non desiderabile fondata sul nostro esibizionismo, che nella storia è quello della protagonista, perché il male del futuro potrebbe apparire sempre più somigliante alla banale Mae, che all’occhio sospeso nell’oscurità del Grande Fratello.
E se fossimo noi stessi i complici della nostra oppressione,
mai come in questo momento esplicitata dall'abuso dei social media e dall'incessante richiesta di un'assoluta trasparenza che abbatta definitivamente il concetto stesso di privacy? Nell'Italia dei Movimenti politici che millantano dirette web quando fa comodo loro, dell'utopistica democrazia diretta con voto on-line e stipendi sbandierati in rete, Il Cerchio risulta essere meno apocalittico e futuristico di quanto uno possa pensare.
Diversi studi hanno dimostrato che nel momento in cui qualcuno interagisce con noi su Facebook o Twitter, riceviamo una piccola scarica di adrenalina che, alla lunga, può creare dipendenza. The Circle ha il merito di metterci di fronte a questa nostra eventuale dipendenza, problematizzandola.
Bakunin e la rivoluzione
La rivoluzione ha come scopo la radicale dissoluzione di tutte le organizzazioni, e istituzioni religiose, politiche, economiche attualmente esistenti, in modo tale che non rimanga pietra su pietra, in Europa e nel resto del mondo, del presente ordine di cose fondato sulla proprietà, sullo sfruttamento e sul dominio.
Noi intendiamo la rivoluzione come un rivolgimento radicale, come la sostituzione di tutte senza eccezione le forme della vita europea contemporanea con altre nuove, completamente opposte.
Noi vogliamo distruggere tutti gli Stati e tutte le Chiese, con tutte le loro istituzioni e le loro leggi religiose, politiche, finanziarie, giuridiche, poliziesche, educative, economiche e sociali, cosicché milioni di esseri umani ingannati, tenuti in servitù, torturati, sfruttati, possano respirare in completa libertà.
Ponendo l'esclusione assoluta di ogni principio di autorità e di ragione di Stato, noi miriamo per conseguenza alla abolizione delle classi, dei ceti, dei privilegi e di ogni specie di distinzione» e quindi, ancora una volta, all' abolizione,alla dissoluzione e alla bancarotta morale, politica, burocratica e giuridica dello Stato tutelare, trascendente, centralista, doppione e alter ego della Chiesa.
L'obiettivo della rivoluzione dunque è l' estirpazione del principio di autorità, comunque esso si manifesti, sia esso religioso, metafisico e dottrinario alla maniera borghese, o perfino rivoluzionario alla maniera giacobina, perché non ci interessa che l'autorità si chiami Chiesa, monarchia, Stato costituzionale, repubblica borghese, oppure dittatura rivoluzionaria.
Noi intendiamo la rivoluzione come un rivolgimento radicale, come la sostituzione di tutte senza eccezione le forme della vita europea contemporanea con altre nuove, completamente opposte.
Noi vogliamo distruggere tutti gli Stati e tutte le Chiese, con tutte le loro istituzioni e le loro leggi religiose, politiche, finanziarie, giuridiche, poliziesche, educative, economiche e sociali, cosicché milioni di esseri umani ingannati, tenuti in servitù, torturati, sfruttati, possano respirare in completa libertà.
Ponendo l'esclusione assoluta di ogni principio di autorità e di ragione di Stato, noi miriamo per conseguenza alla abolizione delle classi, dei ceti, dei privilegi e di ogni specie di distinzione» e quindi, ancora una volta, all' abolizione,alla dissoluzione e alla bancarotta morale, politica, burocratica e giuridica dello Stato tutelare, trascendente, centralista, doppione e alter ego della Chiesa.
L'obiettivo della rivoluzione dunque è l' estirpazione del principio di autorità, comunque esso si manifesti, sia esso religioso, metafisico e dottrinario alla maniera borghese, o perfino rivoluzionario alla maniera giacobina, perché non ci interessa che l'autorità si chiami Chiesa, monarchia, Stato costituzionale, repubblica borghese, oppure dittatura rivoluzionaria.
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