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giovedì 24 settembre 2020

Alle origini dell’anarchia parte ottava

 1795-96 

Gracco Babeuf raduna nella Lega degli Uguali quanti si oppongono alla degenerazione borghese della rivoluzione, degenerazione iniziata già sotto Robespierre e portata alle estreme conseguenze dal Direttorio. Il Direttorio, espressione della controrivoluzione (Termidoro), fa cadere ogni illusione sui principi universalistici dell'89 esplicando il carattere classista del governo della borghesia. Babeuf dichiara che preferisce la guerra civile “a questa orribile concordia che strangola l'affamato”. Nel 1793 gli Enragés avevano chiesto di municipalizzare e nazionalizzare il commercio e di organizzare lo scambio dei prodotti al prezzo di costo. Il girondino Brissot li definì anarchici e ne pretese la soppressione. Il Manifesto degli Uguali chiede l'abolizione della proprietà individuale terriera; la costituzione prevista dagli Uguali vuole una grande comunità di beni nazionali, il ritorno alle campagne, la parità di istruzione assicurata a tutti, il lavoro per ogni cittadino, in modo da superare la divisione tra attività intellettuale e attività manuale (il lavoro più spiacevole deve essere svolto da chiunque a turno). Per i primi di maggio del 1796 gli Uguali, guidati con metodi autoritari da Babeuf e Filippo Buonarroti, organizzano una rivolta, ma traditi da un agente provocatore sono arrestati e imprigionati. Mentre Babeuf è in carcere muore di fame una sua figlioletta di sette anni. Babeuf viene ghigliottinato assieme a trenta suoi seguaci il 27  maggio 1797. Varlet scampa a Robespierre e al Direttorio e pubblica il primo  manifesto anarchico dell'Europa continentale Explosion, che afferma: “Governo e rivoluzione sono incompatibili”. 

1825 

Il 19 maggio, muore a Parigi Claude-Henri de Saint-Simon. Di nobile famiglia, era nato a Parigi nel 1760; nel 1779 aveva combattuto in America con Washington e a 23 anni era già colonnello. Tornato a Parigi, si dà agli affari e poi agli studi. Pubblica numerose opere di fisica, fisiologia, scienze sociali. Attacca la chiesa cattolica; scrive nel 1823-24,in collaborazione con Auguste Comte, il fondatore del positivismo francese, Il Catechismo degli industriali. Il suo ultimo libro (1825) è Nuovo cristianesimo. I suoi seguaci, cristiani stravaganti e fanatici, continuano il “sansimonismo” inteso come socialismo utopistico cristiano che si sviluppa tra il 1830 e il 1850 grazie soprattutto alle iniziative di Prosper Enfantin. Saint-Simon divideva l'umanità in tre classi: i savants, gli abbienti e i nullatenenti. Egli affermava di parlare “in nome di Dio”. I sansimonisti iniziano nel 1824 la pubblicazione di un giornale che mira a ottenere l'appoggio della classe lavoratrice per realizzare un programma collettivista e internazionalista che prevede l'abolizione della proprietà privata e delle tasse doganali. A poco a poco l'ingegnere francese Prosper Enfantin, fanatico sansimonista, si convince di essere un messia. Un certo d'Eichthal gli annuncia che “Gesù vive in Enfantin”. Enfantin viene chiamato “Cristo” e  “Papa”. Adottati abiti e riti speciali, i sansimonisti si attirano la persecuzione delle autorità. Enfantin allora prende con sé 40 discepoli e si ritira con loro a Ménilmontant (sobborgo di Parigi), in una specie di “monastero proletario”. Ognuno deve fare tutti i vari lavori: “Quando i proletari ci stringeranno la mano” afferma Enfantin, “sentiranno che è callosa come la loro. Ci stiamo inoculando la natura proletaria”. Arrestato, Enfantin si «smonta» e torna a fare l'ingegnere. Saint' Simon aveva messo gli ingegneri nel gruppo cui doveva essere affidato il supremo controllo della società. Enfantin diventa direttore della importante ferrovia Parigi-Lione. Viene riconosciuto per la prima volta ai lavoratori in Gran Bretagna il diritto di associazione (su base soltanto locale) prima duramente ostacolato. 


OGNI GIORNO – Olav H. Hauge


Le grandi tempeste

le hai alle tue spalle.

Non domandavi un tempo

perché esistevi,

da dove venivi o dove stessi andando,

eri soltanto nella tempesta,

eri nel fuoco.

Ma si può anche vivere

nella vita d’ogni giorno,

il grigio calmo giorno,

piantare patate, rastrellare foglie

e raccogliere rametti,

ci sono tante cose a cui pensare al mondo,

a tutto non basta la vita di un uomo.

Dopo il lavoro puoi arrostire il maiale

e leggere poesie cinesi.

Il vecchio Laerte tagliava i rovi

e rincalzava il fico,

e lasciava gli eroi combattere a Troia.

Olav Håkonson Hauge (18 agosto 1908-23 maggio 1994) è stato un poeta norvegese. E' nato a Ulvik e ha vissuto tutta la sua vita lì, lavorando come giardiniere nel proprio frutteto. I suoi versi hanno spesso la delicata semplicità e il realismo della poesia tradizionale cinese che amava; un albero, un fiume, una cascata sono osservati con rapidi colpi di intuizione, ma in modo tale che la mente che osserva si espanda con chiarezza e presenza della mente.


Sulle elezioni passate, presenti e future

Nelle democrazie dello spettacolo è d’uso andare a votare vecchie e nuove caste politiche, anche se tutti ormai sanno che il popolo conta soltanto il giorno delle elezioni, forse. Il patriottismo, del resto, come le elezioni, è l’ultimo rifugio delle carogne o della servitù volontaria. Le mafierie della politica, non importa quale bandiera o crocifisso hanno arraffato... rappresentano solo se stesse e i politici di professione sono tutti coinvolti dentro il malaffare... le connivenze con la criminalità organizzata sono frequenti, nemmeno troppo celate, e contribuiscono al gioco al massacro delle Borse internazionali, delle guerre neocolonialiste, dell’impoverimento sistematico del Sud della terra... le guerre del petrolio, dei diamanti, dell’acqua, dei brevetti, i terrorismi delle religioni monoteiste... figurano il trionfo del mercimonio e i genocidi sono il banchetto televisivo quotidiano, orchestrato con arguzia e sottomissione al potere in carica, dall’impero dei mass-media. Le elezioni esprimono una liturgia della vergogna. La demagogia è il vocabolo usato dalla politica quando la democrazia è calpestata. La gloria degli imbecilli passa dall’urna elettorale e l’umiliazione dell’intelligenza è la cassa di risonanza della memoria storica svilita di ogni valore sociale uscito dalla Resistenza. La democrazia partecipata è un sogno violato dai pregiudizi e dall’arroganza dei potenti. Ogni stupidità si uccide da sé. L’amore per la verità è ciò che gli imbecilli rifiutano. Il popolo non elegge chi lo rispetta, ma chi lo affossa, lo calpesta, lo umilia fino a renderlo schiavo e servo della propria mediocrità. Gli uomini del no! non stanno al giogo. Nessun uomo è innocente se da qualche parte del mondo ci sono uomini, donne, bambini... che muoiono per fame o sono incatenati torturati, uccisi per le loro idee di libertà... l’uomo del no! è l’uomo in rivolta contro le sofferenze dei poveri più poveri del pianeta e sa che l’unica risorsa per la quale combattere o morire, anche, è la sua dignità. “Non esiste coscienza che nelle strade!” (Albert Camus). La mercificazione delle idee segna la degradazione sociale e la forma-spettacolo diventa il feticcio al quale uniformarsi. Gli indesiderabili sono tutti quelli che vanno a meticciare la società che viene e, a ragione, sfondano le frontiere degli stati. L’uomo del no! È l’uomo della conoscenza, l’uomo che azzera l’immondezzaio della politica e della fede e fa della propria bellezza fraterna, il principio di tutte le disobbedienze. Il tramonto degli Dei passa dalla messa a fuoco della menzogna elettorale, che non solo è necessaria, ma è auspicabile. Quando gli uomini e le donne chiederanno (con tutti i mezzi possibili) alle baldracche della politica e ai tenutari delle religioni il rispetto degli oppressi... ci sarà la rivoluzione dell’intelligenza nella strade della terra.


giovedì 17 settembre 2020

Alle origini dell’anarchia parte settima

Percy e Mary si sposano dopo il suicidio della prima moglie del poeta. Per contribuire al bilancio familiare Mary scrive Frankenstein, con la collaborazione di Byron, l'altro grande poeta inglese che in  quel momento s'è accostato alle idee di Godwin. Una nuova popolarità sembra nascere per le idee “anarchiche”, ma la sventura torna ad abbattersi su Godwin. Mary Wollstonecraft, prima di unirsi in matrimonio con lui, era stata innamorata di un americano, certo Imlay. Pare che lei lo avesse scambiato per un rivoluzionario mentre costui s'era recato in Francia più che altro per fare affari col nuovo governo. Mary Wollstontcraft lo aveva raggiunto a Parigi; la coppia aveva avuto una figlia, Fanny Imlay, che Godwin riconobbe successivamente come sua. Fanny si uccide nel 1816. In quel periodo la figlia della seconda moglie di Godwin, Claire Clairmont, anch'essa  fuggita nel continente, diventa amante di Byron, dal quale ha una figlia, Allegra. La stampa conservatrice si scaglia contro il vecchio “anarchico” accusandolo di immoralità: “Godwin ha impartito una educazione scandalosa alle figlie, di cui ora si vedono i frutti”. Godwin, già estraniato dalla politica attiva (cui, in fondo, non ha mai veramente partecipato), è indotto dalla malevolenza degli attacchi a richiudersi sempre più in se stesso. Un fallimento nel 1822 lo riduce in miseria e deve chiedere un pubblico impiego al governo conservatore di Lord Grey. Si spegne a Londra il 7 aprile 1836. L'influenza diretta della sua famiglia, e quella indiretta del suo pensiero, sarà notevole nell'Ottocento, e non soltanto in campo politico. I maggiori letterati e poeti inglesi dell'epoca, da William Wordsworth (1770-1850) a Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) a Robert Southey (1774-1843) subiranno l'influsso delle sue Idee. Anche nel continente Godwin sarà letto e apprezzato. In Germania ne rimarrà entusiasta il mistico Franz von Baader, e politici, scienziati e scrittori, come Benjamin Constant e Alexander von Humboldt faranno riferimento alle sue opere, che saranno discusse, e difese, in gran  parte del movimento socialista, in particolare dai seguaci di Robert Owen.


RISE ABOVE – Black Flag

Invidiosi codardi cercano di controllarci

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Loro distorcono quello che diciamo

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Provate a fermare quello che facciamo

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Quando non possono farlo da soli

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Siamo stanchi dei vostri abusi

Provate a fermarci, è inutile!

L'arma di controllo della società

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Pensano di essere intelligenti, 

Non riescono a pensare per loro stessi

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Ci ridono alle spalle

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Trovano soddisfazione in quello che non hanno

Ribellarci! Noi stiamo per ribellarci!

Siamo stanchi dei vostri abusi

Prova a fermarci, è inutile!



Sante Caserio in tribunale

Presidente: Accusato, la vostra fanciullezza era ben lungi dal lasciar prevedere il vostro orribile delitto. Eravate laborioso e probo: però eravate impetuoso, spesso annuvolato e chiuso. 

Caserio: Sono  forse, Signore, responsabile di questo? 

Presidente: Eravate chierico? Comparivate nelle processioni come un piccolo San Giovanni Battista? 

Caserio: I ragazzi non sanno quello che fanno; commettono delle sciocchezze. 

Presidente: Nel 1892 foste arrestato perché facevate propaganda anarchica fra i soldati? 

Caserio: Sissignore. 

Presidente: Nel 1893 disertaste e rinnegaste, dopo la famiglia, la patria. 

Caserio: La patria è per me il mondo intero. 

Presidente: Avete  frequentato certi anarchici  ben noti a Milano? 

Caserio: Se li avessi anche frequentati, non lo direi. 

Presidente: La polizia lo sa invece vostra. 

Caserio: La polizia fa il suo mestiere, io il mio. 

Presidente: L'accusa pretende che frequentavate un parrucchiere anarchico. 

Caserio: Non potevo andare da un fornaio a farmi tagliare i capelli. 

Presidente: Siete italiano; era il 24 giugno. Quella data non vi ricordò nulla? 

Caserio: Che era San Giovanni Battista, festa del mio paese. 

Presidente: Che era l'anniversario della battaglia di Solferino, dove il sangue italiano e quello francese sgorgarono insieme per la libertà d'Italia. 

Caserio: Io non ammetto la guerra civile. 

Presidente: Quale diritto avevate voi di uccidere il Presidente della Repubblica? C'è una legge naturale che impedisce di uccidere! 

Caserio: I governanti uccidono però... 

Presidente: Non avete anche detto che se vi foste trovato in Italia avreste colpito il re e il papa? 

Caserio: Oh no! Non escono mai assieme.


giovedì 10 settembre 2020

Alle origini dell’anarchia parte sesta

La posizione di Godwin non è ancora del tutto opposta al potere (il “governo”), ma già si sta profilando un sostanziale anarchismo. Non dice ancora che il governo è il male, ma non pare disposto a riconoscergli granché di buono. Anche nei rapporti del “contratto sociale” rousseauiano il Godwin ha un atteggiamento originale, già filo-anarchico. All’educazione come imposizione sociale, egli oppone infatti un libero interscambio tra maestro e discepolo, che non deve alterare ma anzi aiutare lo sviluppo delle tendenze naturali: “Il lieve giogo del precettore dovrebbe fondersi per quanto è possibile con le eterne leggi della natura e della necessità”. Solo nel 1825, intanto, viene riconosciuto ai lavoratori in Gran Bretagna il diritto di associazione. Nel 1829 si conclude disastrosamente uno sciopero dei tessitori di Hyde (Manchester) rivelando l'insufficienza delle Unioni locali per resistere alla coalizione padronale. Nel dicembre del 1829  vengono gettate le basi di un sindacato generale. Si tratta di un'iniziativa che nasce dalla base, dalle società dei tessitori inglesi, irlandesi e scozzesi riuniti nell'isola di Man per fare l'analisi di una battuta d'arresto. Gli operai sono ridotti in condizioni miserande, privi di adeguata alimentazione e ammassati in abitazioni che sono vere e proprie topaie. E in questo clima di arretratezza e disperazione che la macchina è vista come una nemica che toglie agli operai la possibilità di guadagnarsi il pane. Disoccupazione e miseria bestiale accompagnano infatti la comparsa delle macchine. Nasce cosi il luddismo. (Ludd è un operaio del Lancashire che, fra i primi, fa a pezzi un telaio per tessere calze.) Diffuso in Francia e Germania, lo si combatte con la pena di morte. È interessante notare come sul problema della difesa dei lavoratori schiacciati dalla fame, dalla disoccupazione e da inumane condizioni di lavoro ci sia una partecipazione anche di letterati inglesi di primo piano che in qualche modo sono legati all'ambiente e al pensiero di William Godwin, come Byron che nel 1812 difende al parlamento i luddisti. Godwin aveva sposato, intanto, nel 1797 Mary Wollstonecraft che l'anno stesso moriva nel dare alla luce una bambina. La piccola prende anch'essa il nome di Mary. Le due Marie segnano una svolta importante nella lotta delle donne per la parità dei diritti con l'uomo. E Mary infatti che pubblica nel 1792, A Vindication of the Rights of Women (Rivendicazione dei diritti delle donne). Anche l'altra Mary, la figlia, ha, come la madre, una vita avventurosa. Nel 1814 fugge sul continente col poeta Percy Bysshe Shelley. Shelley nel 1810 ha “riscoperto” la “Political Justice” del Godwin e l'ha letta per ben sei volte, si è messo in contatto con Godwin, che in Inghilterra la gente considera ormai defunto, aderisce alle idee anarchiche e socialiste e dedica a Godwin alcuni scritti importanti. 


Judith Malina si racconta

Sono anarchica, sono pacifista, sono ebrea. Per me queste identità sono, più o meno, compatibili: mio padre era un rabbino tedesco e mia madre una studentessa di teatro, grande ammiratrice del grande regista Erwin Piscator. Nel momento in cui lei ha incontrato questo giovane rabbino idealista se ne è innamorata e ha deciso di abbandonare la sua carriera in teatro; si sono sposati con l’accordo di destinare a una figlia la carriera a cui aveva rinunciato la madre: io ero quindi destinata a questa carriera… anche se non sono sicura che i miei genitori sarebbero stati contenti della strada che ho scelto. Dopo i terribili avvenimenti accaduti in Germania sono andati a vivere a New York quando io avevo due anni; anche Piscator dopo un po’ è andato a New York per aprire una scuola, proprio nel momento in cui ero pronta per studiare con lui: è in questo periodo che sono diventata pacifista perché - conosciuto il nazismo, da cui siamo scappati essendo in pericolo - già da molto piccola decisi di diventare l’opposto dei nazi, di prendere la strada opposta. Mio padre, come sempre succede in famiglia in questi casi, è rimasto orripilato dalla mia scelta: quando gli ho detto: “Sono diventata pacifista, è importante che non odiamo i nazisti”, lui è rimasto orripilato e da quel giorno… sono stata nei guai. Sono anche anarchica, essendo pacifista, perché – come tutti qui sanno – non è possibile una forma di organizzazione sociale senza forza, senza punizione, oltre quella indicata dalla strada anarchica; io ho provato, nel mio lavoro, a seguire sempre la visione anarchica nell’organizzazione della vita, e la strada pacifista per raggiungere un più alto livello nei rapporti umani. Quando finalmente sono andata alla scuola di Piscator, lui ci ha chiesto un impegno serio: ha sempre sostenuto l’idea di un teatro politico, l’idea di dire: “Noi non abbiamo il diritto di sentirci ‘al centro’, non possiamo dire ‘Zitto, parlo io, ascoltami, sono interessante, posso farti ridere o piangere’”; questo è un egoismo orribile: se non abbiamo qualcosa da dire non possiamo dire agli altri: “Zitto, ascolta me”… se non abbiamo veramente qualcosa in cui siamo impegnati. Allora, quando cinquant’anni fa Julian Beck e io abbiamo formato il Living Theatre, abbiamo deciso di provare a creare un gruppo di affinità, e ancora oggi siamo tutti anarchici, tutti pacifisti, quasi tutti vegetariani… non tutti ebrei, ma in gran parte anche questo; l’essere ebrei non è una necessità per entrare nel Living, ma certamente questo dà una base morale: siamo ispirati da molti nostri compagni e artisti di origine ebraica, penso a Eric Gutkind o Paul Goodman, grandi fonti di ispirazione anarchica ed ebraica.Noi abbiamo portato in scena spettacoli come La grotta a Machpelah, La giovane di Cipro ecc., lavori che ci hanno dato modo di parlare della possibilità di un mondo anarchico, di una società anarchica: tutti vogliamo libertà e pace, ma se parliamo di anarchismo e pacifismo questo fa paura. Nel Living per cinquant’anni, senza sosta, abbiamo fatto – e continuiamo a fare – spettacoli per parlare della possibilità di lottare per il mondo che vogliamo, e non per vari livelli di compromesso: questo è difficile da esprimere in un mondo pieno di paura della libertà, di guerre, punizioni, militarismo, concorrenza delle multinazionali… questa è oppressione sociale, per cui è difficile dire: “Andiamo direttamente verso ciò che vogliamo”; nei nostri spettacoli, da Paradise now ai più recenti che ha scritto Hanon Reznikov (Anarchia, Utopia), vogliamo dare la dimostrazione di come ciò sia possibile. Tramite il rapporto con il pubblico facciamo in modo di non avere due classi di persone in teatro, quelli che parlano e quelli che non parlano, vogliamo unificare il pubblico e gli attori, vogliamo unificare tutto.



Lo spirito del dono

 Il mostro dell’economia autonomizzata va urgentemente fermato e nessuno potrà farlo al nostro posto.

Sta a noi non ridurlo a un’ennesima morale di rinuncia. Abbiamo da esplorare la gioia di vivere al di fuori di qualsiasi sacrificio. Non abbiamo niente da perdere se non una immensa insoddisfazione in una tragedia planetaria.

In un mondo sempre più artificiale, in cui l’umanità sembra ormai incapace di esprimere la sua volontà di vivere e di resistere a ciò che ne ostacola la felicità, urge una riscoperta dello spirito del dono per rovesciare la prospettiva di una sopravvivenza programmata per essere consumata contro natura. 

Al dogma della crescita economica comincia a opporsi il progetto di una decrescita piacevole e conviviale, tendente a ristabilire sul piano demografico, su quello dei consumi, su tutti i piani del vivente il predominio della qualità sulla quantità.

Non è una certezza, ma una scommessa, cui ogni istante siamo invitati a non rinunciare mai, che finalmente dalle ambiguità dell’apatia generale venga fuori una volontà di battersi per creare se stessi armonizzando la società col godimento di sé.

Niente ci impedirà di distinguere, all’ombra dei patiboli, delle prigioni, delle fabbriche, delle scuole, nella clandestinità delle città, la folla insolita di coloro che hanno vissuto e tentano di vivere in rottura con gli imperativi della sopravvivenza. Una tale folla è in ciascuno di noi. Basta sentirla al di sopra del vano gridio della morte.

 


giovedì 3 settembre 2020

Alle origini dell’anarchia parte quinta

Godwin pensa di poter porvi rimedio con l'educazione. Il suo primo scritto politico, del 1784, è il programma della scuola che vuole istituire a Epsom, nel Surrey. La ragione e l'esempio prenderanno il posto dell'autoritarismo: lo annuncia l'opuscolo dal titolo curioso, An Account of the Seminary That Will Be Opened on Monday the Fourth Day of August at Epsom in Surrey. Non fa un solo proselito, e si capisce perché: manca quello che i genitori tradizionalisti vorrebbero trovarvi, ed è invece dichiarata a piene lettere l'opinione dell'autore sulla società: “Lo stato della società i incontestabilmente artificiale; il potere di un uomo su un altro deriva sempre dalla convenzione o dalla conquista; per natura siamo eguali. Ne consegue necessariamente che il governo deve sempre dipendere dall'opinione dei governati. Che i più oppressi cambino una volta il loro modo di pensare, e saranno liberi... Il governo è molto limitato nel suo potere di rendere gli uomini o virtuosi o felici; è solo nell'infanzia della società che può fare qualcosa di considerevole; nella maturità esso può soltanto dirigere alcune delle azioni rivolte all'esterno. Ma le nostre disposizioni morali e il nostro carattere dipendono moltissimo, forse interamente, dall'educazione.”                                                         Qui appaiono già, in embrione, le idee-chiave dell'opera maggiore del Godwin, Enquiry Concerning Political Justice (Ricerca sulla giustizia politica), la prima edizione della quale esce nel 1793, nella scia di proposte sociali nuove originate dalla rivoluzione francese, dopo quasi cinque  anni  di elaborazione. Ma è importante mettere in rilievo come, accanto agli influssi delle idee “di lingua francese”, la prima dichiarazione «politica» del Godwin contenga chiaramente i limiti di tutto un filone dell'anarchismo, che si potrebbe chiamare volontaristico. Una critica materialistica obietterebbe infatti a Godwin che non basta cambiare il modo di pensare per essere liberi, o meglio che non basta volerlo. In realtà il modo di pensare è frutto non solo e non tanto di un'educazione, ma, dirà Karl Marx, discende direttamente dai modi di produzione predominanti in una data situazione storica. E  vero comunque che all'interno di una stessa società si presentano due modi di pensare: quello subordinato al modo di produrre dominante, e quello dell'avanguardia. Quando le condizioni del cambiamento esistono già ma non vengono ancora chiaramente recepite dalle masse, il compito dell'educazione (cioè: delle avanguardie intellettuali) è quello di fare prendere coscienza delle possibilità rivoluzionarie. In questo, anarchismo e marxismo rivelano una profonda differenza, oltre che alcuni punti in comune. In comune è l'atteggiamento di chi si pone come avanguardia, come coscienza critica del  mondo. Ma gli anarchici finiranno per porre l'accento sulla volontà, accusando il marxismo di restare schiavo del determinismo economico (accusa che sarà ripresa anche da a “eretici” del marxismo in polemica soprattutto con i «revisionisti» della socialdemocrazia tedesca). In realtà Marx non nega il peso della volontà individuale, la volontà di cambiare: ma egli la pone in relazione dialettica con le circostanze esterne: “Nell'attività rivoluzionaria il cambiamento di se stessi coincide con la trasformazione delle condizioni esterne”, scrive nel 1845 in L'ideologia tedesca.  Per Godwin, invece, l'importanza dell'educazione è un assoluto. In questo egli discende direttamente dalla pedagogia libertaria del ginevrino Jean-Jacques Rousseau. Alla cattiva educazione, alle superstizioni e all'autoritarismo delle vecchie concezioni pedagogiche è da imputare la cattiva condotta dell'uomo. Godwin lo dice chiaramente: “I vizi dei giovani non derivano dalla natura, che è la madre senza macchia di tutti i suoi figli, ma dai difetti dell'educazione”. 


IL GRANDE LEBOWSKI – Joel Coen

Scambiato per il miliardario Lebowski, Jeff viene aggredito dagli scagnozzi del pornografo Jackie Treehorn che gli pisciano sul tappeto. Lui non fa una piega e va dal miliardario per farsi risarcire il danno. Torna a casa pieno di insulti, ma con un tappeto nuovo. Intanto Bunny, moglie del miliardario e attrice porno, è stata rapita da un gruppo di nichilisti tedeschi. Il grande Lebowski chiede allora al suo omonimo di consegnare i soldi del riscatto. Ma Walter, un amico di Jeff recapita invece una valigetta piena di mutande sporche e l'operazione fallisce. Poi la macchina di Jeff con la valigetta viene rubata, il miliardario si vede arrivare a casa un dito mozzato, la casa di Jeff viene fatta a pezzi dagli scagnozzi di Theehorn; la figlia di Lebowski si fa ingravidare da Jeff.. Infine si scopre che Bunny non era mai stata rapita, che lo stesso miliardario, nullatenente, aveva usato una valigetta vuota per il riscatto...    Il Grande Lebowski è la conferma di come un film indipendente sia capace di entrare letteralmente nella storia del cinema. Pellicola nel 1998 diretta dai Fratelli Coen, fu accolta in modo molto pacato, senza particolare entusiasmo. Da molti fu persino definita un’opera minore dei due registi che qualche anno prima avevano conquistato l’Oscar alla miglior sceneggiatura per Fargo. Nel giro di 22 anni il film si è creato un proprio pubblico, ed è riuscito a trovare un proprio posto nell’immensa produzione cinematografica degli anni 90’. È una pellicola divenuta cult grazie al passaparola, scene diventate iconiche nel corso del tempo e personaggi caratterizzati in modo eccellente, tanto da creare una vera e propria religione (il Dudeismo). Siamo davanti ad uno dei lavori più culturalmente significativi dei Coen, che ha impresso il loro modo di fare

cinema nella cultura di massa. La vera firma del duo è la caratterizzazione grottesca e comica dei singoli personaggi: l’artista femminista, il nullafacente pacifista, l’iroso e folle reduce di guerra, la scalatrice sociale. Tutti personaggi che, secondo i Coen, sono parte integrante della Los Angeles che vogliono raccontare. 
Ben supportato da personaggi secondari come le due spalle comiche John Goodman e Steve Buscemi, l’artista “vaginale” Maude/Julianne Moore e il campione di bowling Jesus/John Turturro, Jeff Bridges dà vita a quello che è ancora il suo personaggio più famoso, l’opposto del tipico eroe hollywoodiano tutto improntato all’azione in vista del raggiungimento di un obiettivo: il Drugo è un inetto che si fa trascinare dagli eventi, facendosi continuamente usare e imbrogliare, e tuttavia rimanendo sempre uguale a se stesso. “The Dude abides”: tradotto “il Drugo sa aspettare”, ma più precisamente “il Drugo sta, il Drugo rispetta” lo stato delle cose, con un irresistibile candore. Impossibile non empatizzare con questo antieroe, che piccoli e grandi incidenti della vita (dagli screzi al bowling, a furti, rapimenti, ricatti, persino una morte) ce lo riconsegnano ogni volta in pace col mondo. Tutti i personaggi sembrano funzionali alla satira sociale o alla parodia: c’è il polacco convertito all’ebraismo che considera la guerra in Vietnam la misura di tutte le cose; il narratore/cowboy malinconico che perde il filo del discorso; i fantomatici nichilisti che agiscono goffamente… Drugo sembra essere l’unico cui non importa altro che essere… Drugo. Al termine di un percorso apparentemente fallimentare, questa serena consapevolezza è ciò che rende il Drugo un personaggio a suo modo vincente: non è più intelligente né più ricco, non ha capito quasi niente di ciò che gli è accaduto e quando ha capito non gli è servito a nulla, eppure in lui c’è un’inossidabile positività che lo porta a non curarsi più di tanto del caos della vita, e invece a bearsi di quei pochi, piccoli piaceri che si può concedere. Perché una partita di bowling con gli amici vale più di qualunque “nichilista” che arrivi a scombinarti l’esistenza.



LE CANZONI REBETICHE

Le canzoni rebetiche in origine venivano suonate nei tekè (fumerie d’oppio e hashish) e nelle galere delle città turche con minoranze greche come Smirne,  Bursa, Aydin, Salonicco - che fu incorporata nel Regno greco nel marzo del 1912 - e sono arrivate in Grecia assieme ai profughi scappati da Smirne dopo il saccheggio e l’incendio del quartiere greco (e di quello armeno) compiuto dall’esercito turco, ricordato in Grecia con il nome di Grande Catastrofe del ‘22. In Grecia negli anni ’20 venivano suonate nei quartieri popolari e nelle baraccopoli sorte improvvisamente ad Atene e Salonicco dopo il 1922, ma vennero quasi subito dichiarate fuorilegge dallo Stato. Solo il compositore Manos Chadzidakis, con la sua conferenza nel 1948, e il musicologo Fivos Anoghianakis, con un articolo del 28 gennaio 1947 sul quotidiano Rizospastis, hanno dedicato parte dei loro studi a questo genere, sottolineando per primi la qualità e l’importanza della musica rebetica. “Le canzoni rebetiche sono le canzoni dei rebetes. I rebetes vengono chiamati anche manghes. È molto difficile definire cosa sia un rebetis, o un mangas. In generale, si potrebbe dire che il rebetis (o mangas) è una persona che ha uno stile di vita particolare, fuori dall’ordinaria vita sociale. Il rebetis mostrava in ogni modo il suo disprezzo nei confronti delle consuetudini stabilite: non si sposava, non camminava abbracciato alla fidanzata, non indossava colletti e cravatte, camminava ancheggiando, odiava mortalmente gli sbirri, disprezzava il lavoro, non usava mai l’ombrello, aiutava i deboli, fumava hashish, riteneva il carcere una prova di coraggio.” (Petròpulos) Erano i rebetes a cantare le canzoni rebetiche, ma ad ascoltarli (e a volte ad ispirare le loro composizioni) erano soprattutto gli strati più poveri della società greca. “La morale e il conseguente comportamento della classe dominante nei confronti dei sentimenti, delle posizioni e dell’estetica delle canzoni rebetiche sono stati per quest’ultime condannatori a priori. La classe borghese definisce i poveri melma, fuorilegge, malavitosi, fango e marciume, ovviamente con il sottinteso che i signori sono invece probi ed onesti ed in qualche misura magnanimi. In questo senso quella di un mangas è una vita peccaminosa”. (Petròpulos) Nonostante l’ostilità del potere nei confronti dei rebetes, che fu spesso molto violenta,  come durante la dittatura di Metaxàs (1936 - 41), il rebetico è stato un genere molto diffuso fino agli anni ’50 in alcuni quartieri delle più grandi città greche, soprattutto i porti come Salonicco e il Pireo e gli agglomerati urbani sorti nei pressi di Atene dopo la Grande Catastrofe del ’22, dove veniva suonato per strada e nelle taverne. La tendenza di alcuni compositori di canzoni rebetiche del dopoguerra, primo fra tutti Chiotis, a inserire nell’orchestra e nella musica rebetica strumenti ed elementi musicali occidentali alla moda ha portato alla contaminazione del rebetico, alla sua commercializzazione e massificazione ed è quindi stato uno dei fattori determinanti che hanno contribuito alla  decadenza di questo genere musicale e poi alla sua estinzione.