Max Stirner polemizza contro l'universalismo hegeliano e prende anche posizione contro Feuerbach e Marx. Secondo Stirner l'individuo umano, corporeo, è l'unica realtà e l'unico valore. L'individuo è inteso come energia volitiva, pulsione egoistica ed egocentrica che non si inchina dinanzi a nessun idolo, non riconosce che se stesso, e di tutto si serve come suo strumento. Ricercare al di fuori dell'individuo corporeo ed «egoista» una soluzione equivale, per Stirner, non solo a conservare la «religione» sotto forme nuove ma anche ad aumentare, di fatto, la servitù dell'uomo. L'io è l'unica legge, non esistono altri obblighi nei confronti di nessun codice, credo o concezione filosofica. Per Stirner è il mondo ad essere contenuto nell'io libero, ribelle e creatore, e quest’io individuale si contrappone alla società e alle sue forze oppressive senza privilegiare mediazione alcuna.
L'umanità si sacrifica per certe idee fisse (la verità, la giustizia, il dovere ecc.) che considera come idealità. Bisogna distruggere le idee fisse; la mia causa non è né divina, né umana; non è né la bontà, né la giustizia, né la libertà.., non è una causa universale bensì unica come sono io. Nessuna cosa mi sta a cuore più di me stesso.
L'«unico» deve farla finita con tutte le ipocrisie della società e non deve riconoscere alcuna norma oggettiva, in quanto:
Vero è ciò che è unico, falso ciò che non mi appartiene e falsi sono la società e lo stato, a cui tu dai la tua forza e da cui sei sfruttato.
Per Stirner lo stato «popolare» che vuole spingere il liberalismo alle sue estreme conseguenze, non può che affermarsi a spese del singolo; anch'esso ha quel vizio capitale che è il voler addestrare l'uomo, invece di lasciarlo sviluppare liberamente. Reazionari e rivoluzionari si appellano entrambi ad un «diritto», gli uni a quello tradizionale, gli altri a quello naturale: ma, in entrambi i casi, è un diritto che ha di mira soltanto l'universale, non il singolo. Pur chiamando «unico» il suo personaggio, Stirner non pensa che l'uomo possa vivere da solo: la società, secondo lui, è il nostro stato naturale. Occorre però fare una distinzione fra quella che si eredita e si subisce, e quella alla quale si aderisce volontariamente in quanto soddisfa maggiormente i nostri bisogni. Questa organizzazione nuova, che Stirner chiama «Verein», l'unione, non è affatto il regno della libertà assoluta: voler dare al «Verein» siffatta interpretazione è per Stirner folle manifestazione di fanatismo religioso. Ciò che differenzia il «Verein» dallo stato è l'atteggiamento spirituale di chi ne fa parte: lo stato è qualcosa che sta al di sopra di me, che mi impone umiltà, il «Verein» è una mia creazione; posso esercitare una critica continua contro le sue massime, perché non le ho ceduto l'anima, e posso anche sciogliermi da essa, perché non mi sono impegnato per il futuro. Per quanto riguarda la proprietà, Stirner attacca violentemente sia la concezione sacra di essa, tipica della mentalità borghese, sia le soluzioni alla Proudhon, dell'uomo come possessore di un bene che appartiene alla società.
La questione della proprietà non si potrà risolvere cosi pacificamente come sognano i socialisti e persino i comunisti. Potrà essere risolta soltanto dalla guerra di tutti contro tutti. I poveri diventeranno liberi e proprietari soltanto se si ribelleranno, si vorranno innalzare, si solleveranno. Regalate loro tutto quello che vi pare, vorranno avere sempre di più: essi vogliono, infatti, nientemeno che questo, che nulla venga più regalato.
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