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giovedì 2 settembre 2021

L’infanzia di Proudhon

Proudhon, quinto figlio di Claude-Francois e di Cathérine Simonin, è nato a Besançon il 15 gennaio 1809 nel quartiere popolare di Battant. Il padre, vignaiolo, bottaio, garzone di birreria e, per qualche tempo, birraio in proprio, era cugino di Franwis-Victor Proudhon, ricco e famoso giurista di Digione, e apparteneva a un ramo cadetto della stessa famiglia. Di intelligenza comune, ma di onestà rigidissima, quando gestì una birreria si rovinò perché vendeva la birra a un prezzopiù basso, ma a suo parere più giusto di quello corrente; e perché rifiutava l'ingresso alle donne per non tener mano alla prostituzione, con la quale altri birrai si arricchivano. Circa la condotta del padre Proudhon scrisse: «Sentivo perfettamente ciò che vi era di leale e di regolare nel metodo di  mio padre, ma vedevo tuttavia anche i rischi che ne derivavano. La mia coscienza approvava la prima  considerazione, il sentimento della mia sicurezza mi spingeva verso la seconda. Fu per me un enigma». La madre, servente nella birreria nella quale era occupato il marito, poi votata a umili lavori, era una donna di grandi virtù e di carattere esemplare. Era figlia di una singolare figura di popolano, Jean Claude Simonin detto Tournési, sempre  in lotta, in nome della giustizia, mai dell'interesse personale, contro la  prepotenza dei signori e dei loro guardiani. La formazione morale di Proudhon deve molto — egli ne fu consapevole e ne scrisse in termini di profonda umanità — alla madre e al nonno, cui assomigliava fisicamente, e del quale la madre gli raccontava le imprese. Dopo un'infanzia passata a custodire  vacche, a servire in birreria, entra nel 1820 nel collegio di Besançon come allievo esterno, grazie alla borsa  ottenuta con l'aiuto di un amico dei genitori. Nonostante le difficoltà materiali e psicologiche della  sua posizione sociale, egli fu uno degli allievi migliori. Ma povero in  mezzo a ricchi, costretto a farsi prestare i libri, a lasciare sulla soglia dell'aula gli zoccoli che  calzava per non fare rumore, a subire amare delusioni come quella di un giorno in cui, tornato a  casa dopo aver ottenuto una menzione onorevole, non trovò di che mangiare, esperimentò duramente l'inferiorità sociale che lo separava dagli altri ragazzi, senza tuttavia piegarsi. Si chiedeva «che cosa fosse la povertà, questo male di cui si sentiva innocente». Perse la fede religiosa leggendo, nel 1824, il Traité de  l'existence de Dieu di Fenelon, e cercò da solo, col suo pensiero, la sua via. Nel 1827, ormai prossimo al baccalaureato, dovette abbandonare la scuola per aiutare la famiglia. Si occupò presso una tipografia di Besançon, e trovava nel lavoro, e nel bastare a sé stesso, una  profonda soddisfazione. Correggeva bozze, componeva libri, e leggeva moltissimo, in specie opere di teologia, e soprattutto la Bibbia. Studiò l'ebraico per approfondire la conoscenza del cristianesimo.


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