A dieci anni il ragazzo aveva abbandonato la famiglia ed era venuto a Milano a lavorare. Aveva fatto il garzone al Forno delle tre Marie, lasciando un ricordo di laboriosità e di mitezza. Semianalfabeta ma sveglio di mente, s'imbatté nel mondo degli anarchici. Diventò egli stesso anarchico appropriandosi rapidamente di tutti gli elementi essenziali della dottrina. Frequentò l'avvocato Pietro Gori direttore a Milano del giornale L'Amico del popolo, i cui numeri erano spesso colpiti da sequestro. Gori ricorderà così il giovane compagno di Motta Visconti: Una mattina d'inverno lo trovai presso la Camera del Lavoro di Milano, che distribuiva opuscoli di propaganda e panetti freschi agli operai disoccupati. E gli opuscoli ed i panetti li acquistava coi suoi risparmi... Non ricordo d'averlo mai veduto neppure semi-ubriaco, cosa frequente nella classe dei prestinai, fumava pochissimo. Di fronte ai vizi giovanili si manteneva puritano. Una sera apostrofò degli amici che uscivano da una casa di tolleranza: «Come potete abusare di coteste disgraziate, comprandone la carne e gli abbracci?» E siccome un opportunista di quella comitiva disse: «Intanto con la nostra lira abbiamo sollevato un po' la loro miseria!» Caserio salì sopra, dette una lira a una di quelle donne, che lo guardava trasognata, e se ne ritornò senza far parola. Un giorno gli domandai: «E tu che sei un bel giovanotto, perché non fai all'amore?» - «Prima si, mi rispose, ma dacché ho sposato l'idea, non bazzico più donne, finché non mi farò una compagna, a modo mio». Aveva preso un appartamento, in cui accoglieva la notte a dormire tutti i compagni senza tetto ospitale che si trovassero a Milano... Un vero bivacco... Ed egli si recava a lavorare tutta la notte. La testimonianza di Gori è illuminante ed è confermata da un'altra di fonte insospettabile: quella di Filippo Turati. Turati che all'indomani dell'attentato scrive su Critica sociale un coraggioso articolo - nel quale fra l'altro, dissociandosi dal generale e convenzionale cordoglio, giudica severamente il Carnot come «l'uomo che congiunse il proprio nome alla repubblica borghese, panamista e militarista per eccellenza, all'alleanza della Francia col Papa e con lo Zar, agli eccidi di Fourmies, alle repressioni di Pas de Calais ecc.» - così parla del giovane attentatore: Noi conoscemmo a Milano il Caserio quando veniva, con altri anarchici, a combatterci nelle nostre riunioni. Ma egli non aveva nulla della spavalderia insolente che caratterizza taluni suoi compagni. Al contrario, mite, pensoso, taciturno, notoriamente affettuoso e laboriosissimo, rivelava una natura profondamente compresa del sentimento del dovere e del sacrificio. La notizia ch'egli fosse stato, nell'adolescenza, profondamente religioso collima con le nostre impressioni: egli non era più religioso, ma era rimasto un devoto. La devozione di Caserio al proprio partito è il tratto dominante della sua personalità. Costante è in lui la preoccupazione di fare il proprio dovere, di essere coerente con le proprie idee. Se da ragazzo ha trovato nelle leggende cristiane e nei riti della Chiesa il primo pane al suo bisogno di fede, di ascensione spirituale e forse anche di poesia, ora trova nel movimento anarchico il gruppo sostitutivo della famiglia che gli è mancata e nei compagni le persone sulle quali riversare la sua capacita affettiva. Le cronache lo descrivono fisicamente come un ragazzo di normale statura, piuttosto slanciato, biondo, occhi azzurri, una faccia che ispira simpatia: «il labbro superiore ombreggiato da una bionda peluria d'adolescente, l'occhio furbo, la bocca rosea e fresca». Frequenta prima il gruppo anarchico di Porta Romana e poi fonda egli stesso un gruppo a Porta Genova, provvisto di un bugigattolo come sede e perfino di una bandiera rosso-nera su cui è scritto «Gruppo comunista-anarchico "a pee"» che significa «in bolletta». Il 26 aprile 1892 subisce il primo arresto per aver distribuito l'opuscolo Giorgio e Silvio, un dialogo antimilitarista, ai soldati, presso la caserma di Santa Prassede. E condannato ma se la cava con poco. Ha diciannove anni e deve rispondere alla chiamata alle armi. Per sfuggire alla leva, espatria in Svizzera e viene condannato come disertore. Si trattiene alcune settimane a Lugano dove ha trovato lavoro (agosto 1893). Partecipa anche ad uno sciopero. Poi si trasferisce a Losanna, quindi a Ginevra, infine a Lione. La città ha una forte tradizione anarchica e Caserio vi incontra nuovi compagni. Mantiene però sempre i contatti con i gruppi d'Italia e riceve la stampa anarchica. Da Lione passa a Vienne e da Vienne a Cette (oggi Sète), una popolosa cittadina marittima a sud di Montpellier, dove numerosi sono gli operai italiani.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 24 febbraio 2022
Ricercare sempre una nuova definizione di libertà
Quotidianamente il potere viene percepito come un’entità esterna al corpo sociale. Esso viene percepito come qualcosa da conquistare per coloro che lo bramano, convinti che grazie a esso potranno affrancarsi dal dovere di obbedire a qualcuno e poter finalmente comandare. Per quelli che non amano essere comandati, ma nemmeno comandare, il potere è invece il leviatano da sconfiggere, il palazzo da abbattere. Il mondo si divide così, semplicisticamente, fra chi lotta per il potere e chi lotta contro il potere. Nel mezzo rimane chi passivamente il potere lo subisce, così come subisce le lotte che lo circondano. Questa è però una visione fittizia, è il prodotto di una cultura particolare, di una cultura creata e strutturata da e per il dominio, è il prodotto della nostra cultura. Se appena usciamo dalle classificazioni e dagli schemi che caratterizzano e danno un senso al conflitto, così come lo percepiamo oggi, ci rendiamo conto che il potere, lungi da essere un’entità malvagia e repressiva che opprime la società, rappresenta una proprietà, una capacità intrinseca a ogni essere umano e scorre all’interno del corpo sociale, non al di fuori di esso. Il potere è la capacità che ogni essere umano ha di contribuire al complicato processo di strutturazione dei soggetti e delle strutture sociali, attraverso l’instaurazione continua e mutevole di rapporti con gli altri individui. In questo senso il potere non è più, evidentemente, solo repressivo. A seconda dei rapporti che instauriamo con gli altri individui, e di conseguenza a seconda delle definizioni dei ruoli sociali, il nostro potere potrà essere creativo e funzionale a pratiche di liberazione. Nel momento in cui, però, la brama di veder realizzato a tutti i costi il nostro modello dei rapporti e dei ruoli sociali prende il sopravvento, cerchiamo di escludere gli altri da questo processo di definizione dell’esistente. Quando questa esclusione ha successo, il potere verrà esercitato solo da alcuni individui, i quali si arrogheranno il diritto e la capacità di definire ruoli e rapporti sociali di tutti. In questo modo si concretizza il dominio dell’uomo sull’uomo, così come dell’uomo sugli altri animali e sulla natura. Questo è il motivo per cui è andata persa la consapevolezza di un potere creativo e la percezione quotidiana è quella di un potere minaccioso e repressivo. Il problema vero è che una definizione particolare dei ruoli sociali tenderà a fornire una visione particolare del reale, funzionale a mantenere stabili tali ruoli. In altre parole, la nostra società ha culturalmente consolidato il concetto per cui il fondamento del legame sociale è l’obbligo politico, ossia il dovere di obbedienza. Questa discriminante fondante ha prodotto uno spazio dell’immaginario caratterizzato da regole proprie e incompatibile per definizione con altri immaginari, altre rappresentazioni culturali che non postulino il dovere di obbedienza come matrice dei rapporti sociali. Uno degli effetti più immediati di questo spazio dell’immaginario sulle nostre “teste” è, per esempio, l’ipotesi repressiva del potere da cui siamo partiti. Ma molto dei significati che assegniamo alle cose, alle parole, ai rapporti che costruiamo, è il prodotto di tale rappresentazione del reale che come un’ameba cerca di occupare tutto lo spazio dell’esistente significante. All’interno di questo panorama desolante le pratiche di autogestione si propongono di scardinare, attraverso pratiche indipendenti e la conseguente produzione di un pensiero autonomo, lo spazio dell’immaginario del dominio e riconsegnare il potere di contribuire alla classificazione formale dei ruoli sociali a ciascun individuo. Si propone di far riscoprire agli individui il vero obbligo sociale contrapposto a quello politico. Si propone ossia di ricordare l’obbligo che il genere umano ha, in quanto animale sociale, di darsi delle norme di relazione interindividuali. Paradossalmente, da questo obbligo nasce però la specifica libertà dell’uomo. La libertà di poter scegliere le norme che regolano le relazioni sociali, di poter definire la classificazione dei ruoli che meglio soddisfa le esigenze dei singoli individui in una situazione data. Ma anche, e soprattutto, la libertà di poter mettere in discussione e cambiare tali norme e tali classificazioni. Importante è infatti ricordare sempre che ogni sistema di classificazioni produrrà uno spazio dell’immaginario sovrastante che una volta sviluppatosi renderà possibile la significazione dell’esistente con le enormi conseguenze che questo comporta. Sarà fondamentale quindi evidenziare in ogni momento questo collegamento per poter individuare, di volta in volta, il modo in cui i rapporti che intratteniamo e i ruoli che definiamo influenzino la determinazione dei soggetti e delle strutture sociali che costituiscono la facciata visibile e percepibile del reale. Una società sarà allora uguale quando tutti eserciteranno il loro potere e libera quando si rinuncerà a dare una definizione valida sempre alla libertà. La libertà dell’uomo consiste proprio nel poter ricercare sempre una nuova definizione di libertà. Qualsiasi tentativo di definizione universale si risolverebbe necessariamente in una forma di espropriazione, prevaricazione e oppressione.
Il tempo è denaro
Nell’esatto momento in cui la rivoluzione industriale ha richiesto una maggiore sincronizzazione del lavoro, nasce l’esigenza dell’orologio. Il piccolo congegno che regola i nuovi ritmi della vita industriale rappresenta allo stesso tempo uno dei bisogni più urgenti tra quelli indotti dal capitalismo per stimolare il proprio progresso. Così scopriamo, il senso del tempo nel suo condizionamento tecnologico e con il calcolo del tempo, il mezzo di sfruttamento del lavoro. Con la divisione del lavoro, la sorveglianza della manodopera, le multe , le campane e gli orologi, gli incentivi in denaro, le prediche e l’istruzione, la soppressione delle feste e degli svaghi, vengono plasmate le nuove abitudini di lavoro e viene imposta la nuova disciplina del tempo. E allorché viene imposta la nuova “disciplina del tempo”, gli operai iniziano a combattere non contro il tempo, ma intorno ad esso. La prima generazione di operai di fabbrica viene istruita dai padroni sul valore del tempo; la seconda generazione forma le commissioni per la riduzione d’orario nell’ambito del movimento delle dieci ore; la terza generazione sciopera per lo straordinario come tempo retribuito in modo maggiorato del 50 per cento. Gli operai hanno accettato le categorie dei propri padroni e hanno imparato a lottare all’interno di esse. Hanno appreso la lezione: “il tempo è denaro”.
giovedì 17 febbraio 2022
SANTE CASERIO – parte prima
Anche la Francia ebbe il suo novantaquattro. L'anarchismo francese, pur privo, a differenza di quello italiano e di quello spagnolo, della potente molla antimonarchica, si esaltò in terrorismo: contro l'ordine costituito, la società borghese, le istituzioni. Il 9 dicembre 1893 Auguste Vaillant lancia una marmitta esplosiva, caricata a chiodi, nell'aula della Camera dei Deputati. Molti feriti ma nessun morto. L'autore dell'attentato, personalità di rivoltoso consapevole, sebbene non omicida, viene condannato a morte il 10 gennaio e ghigliottinato il 5 febbraio. Il Presidente Carnot ha respinto la grazia, malgrado la petizione a favore del condannato da parte di una sessantina di deputati e una supplica della figlia. Vaillant sale il palco con un evviva all'anarchia e un annuncio: «la mia morte sarà vendicata». Sette giorni dopo un altro anarchico, Emile Henry, getta un micidiale ordigno esplosivo, da lui stesso confezionato, al Caffè Terminus, alla Gare St. Lazare. Un morto e un gran numero di feriti. Il 21 maggio anche Henry sale il patibolo. Fra i due episodi si inseriscono alcune esplosioni, non tutte di matrice anarchica, che atterriscono la capitale. Alla Camera si propongono leggi eccezionali contro gli anarchici, come è già avvenuto in altri paesi d'Europa. Ma la spirale degli attentati non si interrompe, anzi sta per toccare il vertice della piramide politica. Il 24 giugno 1894, un mese dopo la morte di Henry, il Presidente della Repubblica Sadi Carnot cade a Lione sotto i colpi di un giovane anarchico italiano di nome Sante Caserio. L'emozione è enorme in Francia, in Italia e in tutta Europa. Sebbene Umberto I e Crispi si affrettino ad inviare telegrammi di esecrazione e di cordoglio, la folla assalta e devasta a Lione e in altre città negozi italiani e a Parigi si chiede addirittura la guerra all'Italia. Una nave di emigrati italiani diretta in America deve evitare i porti francesi, mentre comitive di fuggiaschi terrorizzati dalle rappresaglie cominciano ad affluire a Torino. Eppure l'attentato di Caserio non ha la minima motivazione nazionalistica; anzi, nella coscienza del suo esecutore, esso si pone come un atto di solidarietà di un anarchico italiano verso i suoi compagni francesi colpiti nelle persone di Vaillant e di Henry. L'attentato di Caserio, per le ripercussioni che ebbe, anche in Italia, per il significato che assunse, per il mondo dell'anarchismo militante che svelò nei suoi risvolti psicologici e di costume, merita di essere minutamente ricostruito. Sante Caserio era un giovane lombardo, nato l'8 dicembre 1873 nel paese di Motta Visconti, in provincia di Milano, sulla riva sinistra del Ticino. A Motta Visconti aveva insegnato sul finire degli anni ottanta la poetessa Ada Negri, alla sua prima esperienza di maestra elementare, ma Caserio, per puro caso, non era stato fra i suoi alunni. La famiglia era molto povera: il padre, che presto mancò, barcaiolo d'estate e boscaiolo d'inverno. A dieci anni il ragazzo aveva abbandonato la famiglia ed era venuto a Milano a lavorare. Aveva fatto il garzone al Forno delle tre Marie, lasciando un ricordo di laboriosità e di mitezza. Semianalfabeta ma sveglio di mente, s'imbatté nel mondo degli anarchici. Diventò egli stesso anarchico appropriandosi rapidamente di tutti gli elementi essenziali della dottrina. Frequentò l'avvocato Pietro Gori direttore a Milano del giornale L'Amico del popolo, i cui numeri erano spesso colpiti da sequestro. Gori ricorderà così il giovane compagno di Motta Visconti: Una mattina d'inverno lo trovai presso la Camera del Lavoro di Milano, che distribuiva opuscoli di propaganda e panetti freschi agli operai disoccupati. E gli opuscoli ed i panetti li acquistava coi suoi risparmi... Non ricordo d'averlo mai veduto neppure semi-ubriaco, cosa frequente nella classe dei prestinai, fumava pochissimo. Di fronte ai vizi giovanili si manteneva puritano. Una sera apostrofò degli amici che uscivano da una casa di tolleranza: «Come potete abusare di coteste disgraziate, comprandone la carne e gli abbracci?» E siccome un opportunista di quella comitiva disse: «Intanto con la nostra lira abbiamo sollevato un po' la loro miseria!» Caserio salì sopra, dette una lira a una di quelle donne, che lo guardava trasognata, e se ne ritornò senza far parola. Un giorno gli domandai: «E tu che sei un bel giovanotto, perché non fai all'amore?» - « Prima sì, mi rispose, ma dacché ho sposato l'idea, non bazzico più donne, finché non mi farò una compagna, a modo mio». Aveva preso un appartamento, in cui accoglieva la notte a dormire tutti i compagni senza tetto ospitale che si trovassero a Milano... Un vero bivacco... Ed egli si recava a lavorare tutta la notte.
SPACE MONKEY – Patricia Lee Smith
Sangue alla tv/le notizie delle 10
le anime sono invase/cuore in un pozzo
battere e battere/così fuori dal tempo
cos'è il pazzo affare con lo scampanio della chiesa
arriva uno straniero su dalla nona avenue
pendenti torri verdi/vista indiscreta
sopra la nuvola sopra il ponte
muscolo sensibile/ ponte sensibile
pierre clementi sbuffante cocaina
le strade sessuali sono tutte così insane
gli umani stanno correndo/stanza di lavanda
liquido svolazzante/si muove sulla luna
lo straniero gli si avvicina
gli porge una vecchia polverosa polaroid
comincia a sbriciolarglisi tra le mani
piange ah uomo non ho fatto la foto
questa non è foto questa non è foto
questo è giusto/questo è giusto il mio coltello a serramanico
scavo grossolano/posto di atterraggio
ragazzo esitante/temperino
si squarcia la gamba
è così fuori del tempo
sangue e luce scorrono
è tutto come un sogno
luce della mia vita/è vestito di fiamme
è tutto predestinato/è tutto come un gioco
per la scimmia dello spazio/così fuori dal tempo tempo
per la scimmia dello spazio/così fuori della linea linea
scimmia dello spazio/in uno stato di grazia
ed è tutto solo spazio/solo spazio
lì sta/su di un albero
oh lo sento chiamarmi giù
quella banana oggetto sagomato non è banana
è un lucente u.f.o. giallo
e sta venendo a prendermi/e qui io vado
up up up up up up up
oh addio mamma/non laverò più i piatti
qui me ne vado dal mio corpo
ha ha ha ha ha ha
aiuto!
Ecologia e Ecologismo
Il termine ecologia è un vocabolo piuttosto recente, coniato in Germania nel 1866 dal naturalista tedesco Ernst Haeckel che definisce l'ecologia come “lo studio delle relazioni degli organismi in un ambiente”. L'ecologia è dunque una disciplina scientifica, branca della biologia, sviluppatasi a fine Ottocento e consolidatasi definitivamente nei primi decenni del XX secolo e incentrata su quello che è stato definito lo studio delle interazioni tra esseri viventi e non viventi negli ambiti terrestri conoscibili. L'ecologismo non è un sinonimo di ecologia e non va confuso con essa. Esso si sviluppa in seguito all'aumento della consapevolezza della crisi ambientale contemporanea più o meno verso la metà degli anni sessanta, come conseguenza di alcuni gravi disastri ambientali. Per l'Italia emblematico è il disastro di Seveso del 10 luglio 1976, con la nube tossica di diossina sprigionatasi dopo un'esplosione al reattore chimico dell'ICMESA, annoverato nella triste classifica degli otto disastri ambientali più gravi causati dall'essere umano – per capirsi nella lista è appena sotto al disastro di Bhopal e di Chernobyl. Negli anni si sviluppano diversi movimenti ecologisti, alcuni dei quali si istituzionalizzeranno e daranno vita – soprattutto in Europa – ai partiti verdi che conosceranno un'ampia affermazione politica negli anni ottanta e che oggi sono spesso in netto declino. Ricordare ciò ci permette di porre in evidenza come l'ecologismo non sia omogeneo né per gli scopi che si prefigge né per le metodologie di contestazione. Per questo motivo un discorso a parte merita il rapporto esistente tra ecologismo e anarchismo. Innanzitutto bisogna dire che gli anarchici hanno spesso contribuito alla realizzazione e alla crescita del movimento ecologista sin dai suoi albori se non prima. Tra i precursori dell'ecologismo in ambito libertario e anarchico è possibile sicuramente ricordare, per fare degli esempi, Henry Thoreau con la sua volontà di ritornare alla natura; Peter Kropotkin che vedeva nella natura le prove della validità del mutuo appoggio e della cooperazione ed Elisée Reclus il quale arrivava a scrivere che “l'uomo è la natura che prende coscienza di sé”, autore inoltre di un saggio sul vegetarianismo. Per quanto riguarda invece nello specifico l'anarchismo verde o ecologismo anarchico, anch'esso – come tutto l'ecologismo – prende piede a partire dagli anni settanta e, sebbene si differenzi in varie tendenze, presenta alcune caratteristiche comuni quali la constatazione della crisi ecologica, il rifiuto del riformismo, l'antiautoritarismo, la critica all'antropocentrismo e l'opposizione al dominio umano sulla natura. Nonostante tali caratteristiche comuni, è evidente che l'arcipelago di gruppi, movimenti e giornali che operano nel campo ecologista anarchico è complesso e vario, ciascuno con metodologie e pratiche diverse. L'ecologismo anarchico si dirama infatti in varie tendenze, sviluppatesi soprattutto nei paesi di lingua anglosassone ma giunte in gran parte anche in Italia, tra cui l'ecologia sociale, la decrescita, il primitivismo e l'anticivilizzazione, l'antispecismo.
giovedì 10 febbraio 2022
Paolo Lega bastonato e frustato
La sera dell'8 marzo una violenta esplosione scuote il centro storico di Roma echeggiando per tutta la città. La bomba, collocata presso il palazzo di Montecitorio, provoca gravi danni, due morti e alcuni feriti. Un'altra più piccola esplosione, senza vittime, avviene due mesi dopo, il 9 maggio, sempre a Roma, presso il palazzo dei conti Odescalchi. Infine il 21 maggio, all'annuncio delle condanne della Corte d'Assise di Palermo contro De Felice, Bosco, Barbato, Verro e Montalto, nonché alla vigilia di una difficile prova parlamentare per il Governo, due bombe esplodono, senza fare vittime, al Ministero di Giustizia e al Ministero della Guerra. Gli anarchici non rivendicarono questi attentati ma la grande stampa conservatrice li attribuì a loro. La mancata individuazione dei responsabili e l'utilità oggettiva che il governo ne trasse in un momento in cui maturavano le leggi eccezionali lasciano adito a dubbi di provocazione. Il Crispi, superato lo scoglio dell'opposizione parlamentare, si dimette il 14 giugno e ottiene il reincarico per formare un nuovo Governo, votato dalle Camere il 16 giugno. Ma due giorni dopo, mentre si reca all'ufficio insieme al suo capo di gabinetto Giuseppe Pinelli, giunta la carrozza in Via Gregoriana, un giovane da breve distanza gli spara contro due colpi di revolver, andati a vuoto. Lo sparatore, subito preso, bastonato e frustato, è il falegname Paolo Lega, anarchico romagnolo, di Lugo. L'attentato costituisce per Crispi una grossa fortuna, oltre che fisica, politica. Nel plebiscito di congratulazioni per lo scampato pericolo, gli attacchi personali dei suoi avversari, giunti ormai all'infamazione pubblica, si attenuano. Le predisposte leggi eccezionali contro gli anarchici e più generalmente contro i sovversivi guadagnano consensi in parlamento e nell'opinione pubblica. Il neonato governo consolida la sua maggioranza, Crispi rimonta le avverse correnti e, per giunta, il giorno successivo all'attentato può annunciare alla Camera la conquista di Cassala da parte del generale Baratieri. Paolo Lega è nei guai perché da parte della polizia si vuole ad ogni costo scoprire dietro il suo gesto un vasto complotto, magari internazionale. Ma Lega è solo come un cane. Il Secolo, che è la voce della sinistra, scrive che l'attentatore «ha tutti i caratteri esteriori dell'uomo privo di intelligenza e anche qualcuno ben marcato dei delinquenti volgari». La sua determinazione a colpire in Crispi il sistema o addirittura la società si è formata in anni di patimenti e di angherie. Arrestato una prima volta il 10 maggio 1892, è passato da una prigione all'altra, fra Lugo, Bologna e Genova. Da Genova, dove ha trovato un lavoro ma non ha la residenza, è spedito con foglio di via a Lugo, suo luogo di nascita; ma a Lugo, non avendovi stabile occupazione, è incarcerato e mandato a Bologna, dove risulta si residente ma non trova lavoro. Per lavorare torna a Genova.Viene arrestato di nuovo e il giro si ripete una seconda, una terza volta. Arrivano poi i fatti di Sicilia e di Lunigiana a far scattare in lui un impulso di vendetta. Al processo svoltosi in una sola giornata a Roma il 19 luglio - difensore l'avvocato Vittorio Lollini - dichiara: Non posso esprimere le mie idee chiaramente, perché mi manca l'istruzione. Debbo però dire che non ho commesso questo reato per malvagità o per odio personale, bensì per protestare contro alcune classi privilegiate e contro gli oppressori... Considerai i fatti successi in Italia, gli eccidi ordinati dal governo e decisi fare atto di rivendicazione sociale... Mi proposi di colpire un uomo che è responsabile di tanti mali, ma non lui come uomo bensì come la persona più importante dello Stato. È condannato a 20 anni e 17 giorni. Morirà dopo appena un anno e mezzo nel carcere di Sassari.
IN CAMMINO - Iswar Ballav
guarda spesso anche verso terra.
La terra ama l’uomo, fin nelle radici:
aggiungi le infinite stelle -
le molte gocce che scendono
qui; i molti germogli che qui
fioriscono. Fa risuonare il sordo orizzonte -
lontano, tanto lontano verso gli uomini in cammino.
Da qualche parte fasci di luce accendono luci;
da qualche parte fasci di luce si impennano:
uomini e uomini in cammino.
Ishwar Ballav, (Nepalese: ईश्वरबल्लभ, 11luglio 1937 – 22 marzo 2008). E' uno di quegli scrittori i quali hanno creato il movimento letterario chiamato "ayamik lekhan" (scrittura dimensionale) con la quale gli autori si prefiggevano di scrivere nella terza dimensione, quella che essi intendevano essere la profondità, trovare ad esempio, il senso dell'esistenza partendo dal cielo scendendo sin nelle profondità della terra, alle radici. Il movimento doveva essere un contrappunto al realismo sociale, che era ed è il genere letterario dominante nella lingua nepalese, Tesro Aayam. Ishwar Ballav attingendo al postmodernismo di pensatori come Jacques Derrida e Jean Baudrillard, ha cercato di fornire un'antitesi al realismo narrativo, infondendo alla letteratura forme di scrittura che apparivano in contrasto con le forme consolidate della scrittura letteraria contemporanea.
Architettura è fissare un modo di vita
Utilità e funzione resteranno sempre il punto di partenza di ogni critica formale; si tratta solo di trasformare il programma della funzionalità. I funzionalisti ignorano la funzione psicologica dell’ambiente … la vista dell’esterno delle costruzioni e degli oggetti, che ci stanno intorno e da noi utilizzati, ha una funzione indipendente dalla loro effettiva utilità. I razionalisti funzionalisti hanno, in ragione delle loro idee di standardizzazione, immaginato di poter arrivare alle forme definitive ideali dei differenti oggetti utili all’uomo. L’evoluzione di oggi mostra che questa concezione statica è sbagliata. Si deve arrivare ad una concezione dinamica della forma, si deve vedere la verità in viso per cui ogni forma umana si trova in uno stato di trasformazione continua. Non si deve, come razionalisti, evitare questa trasformazione; il fallimento di costoro sta nel fatto di non aver capito che il solo modo di evitare l’anarchia del cambiamento sta nel rendersi conto delle Leggi per cui questa trasformazione si opera nel servirsene. È importante comprendere che tale conservatorismo delle forme è puramente illogico perché non causato dal fatto che non si conosca la forma definitiva e ideale dell’oggetto, bensì dal fatto che l’uomo si inquieta se non trova una parte di “già visto” nel fenomeno sconosciuto … il radicalismo delle forme è causato dal fatto che la gente si annoia se non trova qualcosa di inusitato nel conosciuto. Si può trovare questo radicalismo illogico come fanno gli standardizzatori ma non si deve dimenticare che la sola via verso la scoperta è data da questo bisogno dell’uomo. L’architettura è sempre l’ultima realizzazione di una evoluzione spirituale e artistica; essa è la materializzazione di uno stadio economico. L’architettonico è il punto di realizzazione ultimo di ogni tentativo artistico perché creare un’architettura significa formare un ambiente e fissare un modo di vita. (Asger Jorn)
giovedì 3 febbraio 2022
1894 i moti di Carrara
Il 13 gennaio 1894 veniva indetto a Carrara lo sciopero di protesta contro lo stato d'assedio in Sicilia e di solidarietà con gli uomini dei Fasci siciliani arrestati. La manifestazione, che doveva esprimere anche il risentimento per la chiamata alle armi della classe del 1869, doveva essere anzitutto una adunata di scioperanti nella città di Carrara. Ma dai primi assembramenti si passò alla formazione di barricate alla Foce, fra Massa e Carrara, e alla interruzione delle linee telegrafiche. Gruppi di dimostranti attaccavano poi i posti del dazio e le armerie delle guardie, che venivano saccheggiate. Ad Avenza si verificava il primo scontro armato: uccisi un carabiniere e un dimostrante. Fra il 13 e il 14 si formarono concentramenti di ribelli a Bedizzano, Codena e Miseglia e mossero verso la città al grido di «Viva la Sicilia! Viva la rivoluzione! », nella convinzione o nella speranza che in altre parti d'Italia si stesse sviluppando un movimento analogo. Il 15 si ebbe un secondo scontro fra una banda scesa da Fossola verso Carrara e la cavalleria: un altro morto fra gli insorti. Il 16, alla periferia della città, presso la caserma Dogali, una colonna di 400 dimostranti, armati di roncole, forconi e qualche fucile, si scontrò con una compagnia di soldati. Otto dimostranti restarono uccisi, molti i feriti. La colonna si disperse. Alcuni gruppi fuggirono verso i monti dove vennero rastrellati nei giorni successivi. Il 16 gennaio Crispi sottopose al re il decreto di stato d'assedio con una relazione dove fra l'altro si diceva: “Sire, gli anarchici di Massa e Carrara, raccoltisi in bande armate, scorrazzano per quelle contrade a fini criminosi, rompendo i fili telegrafici, ostruendo le strade, attaccando insidiosamente la forza pubblica... Il moto non è politico, ma ha tendenze antisociali, propositi accennanti alla dissoluzione nazionale, a danno della proprietà, a distruzione della famiglia. Dal contegno, dagli atti, dal programma di cotesti nemici della Patria, sorge legittima la presunzione che i casi di Massa e Carrara si colleghino a quelli di Sicilia. Bisogna colpir nel nascere cotesti conati di barbarie con mezzi pronti e decisi.” Contemporaneamente alla firma del decreto reale, viene nominato commissario straordinario per la Lunigiana il maggior generale degli alpini Nicola Heusch, livornese, di famiglia originaria dell'Austria. Cominciano le repressioni e i processi davanti ai tribunali militari, per direttissima, con pene pesanti. Circa trecento sono gli arrestati per sedizione e 209 gli anarchici arrestati in quanto tali. Chi non finisce in carcere, viene spedito al domicilio coatto. Un testimone, il poeta apuano Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, così descrisse in un opuscolo sincrono la scena della deportazione: “Per lo più quei tristi condannati, quasi tutti giovanetti, erano fatti partire coi treni del mattino. L'alba si levava lentamente sulle Apuane, i monti delle cave dove forse i loro padri, i loro fratelli erano morti schiacciati da un masso rotolante per un ravaneto, o sotto lo scoppio orrendo di una mina, per guadagnarsi un tozzo di pane. La luce scendeva lentamente e gettava dei lividori sulle facce pallide, smarrite dei condannati, sul filo delle baionette. Qualche madre, qualche sposa li attendevano talvolta... Partivano i figli, i mariti pei lontani reclusori, ed esse ritornavano alle loro case, cui gli usci, nei tristi giorni delle perquisizioni e degli arresti, erano stati sfondati dalla furia dei carabinieri e degli alpini, col calcio del fucile o a colpi di baionetta... Che vita! Quante esistenze infrante, quanta vitalità perduta!” In effetti la repressione fu sproporzionata ai fatti e dettata dalla paura (Crispi, nell'imputare a sobillazione esterna la cagione dei moti, temeva addirittura uno sbarco francese a La Spezia): solo una vittima fra la forza pubblica contro numerosi morti fra i manifestanti. Molti di questi avevano dei fucili ma non li sapevano usare. Per il solo fatto della presenza alle dimostrazioni, si ebbero condanne a venti anni. «Neppur l'Austria osò tanto» scrisse Dario Papa. Il novantaquattro apuano fu una rivolta semi-spontanea, politicamente forse più impegnata del movimento dei Fasci siciliani ma assolutamente non preordinata sul piano organizzativo (come lo era stata invece la Banda del Matese nel 1877). La si definì «anarchica» e la definizione appare giustificata per il modo del suo manifestarsi, per l'ideologia che genericamente la animò, per la partecipazione di anarchici militanti alla sollevazione.
OUT OF THE BLUE - Dennis Hopper
Provincia americana profonda, anni ’70. Cindy è una ragazza che attraversa le difficoltà dell’adolescenza ed è frustrata dalla vita priva di orizzonti. La sua ribellione trova sfogo nel suonare la batteria, negli atteggiamenti della generazione punk, nel non andare a scuola, nel Rock and Roll, e adora Elvis Presley. Detesta la disco-music, odiosa colonna sonora della sua epoca. Il padre, Don, è un camionista, beve come una spugna e da sei anni in carcere perché un giorno completamente ubriaco e alla guida del suo bisonte di gomma, sperona uno scuolabus, causando la morte di una quindicina di bambini. La mamma Kathy lavora in un fast-food è tossicomane e va a letto con il gestore del locale e con altri a caso. Disperata la ragazzina scappa di casa e ha dei guai con la polizia. Ritorna a casa in tempo per vedere uscire di prigione il padre. Ma la serenità in famiglia non torna, i problemi non tardano a riaffacciarsi, fino a travolgere i tre protagonisti. In un tragico epilogo Cindy uccide il padre a forbiciate e poi fa saltare in aria il vecchio camion su cui è salita insieme alla madre.:” “Sovvertire la normalità!”, è questo il grido di battaglia della quindicenne Cindy protagonista e strabiliante mattatrice di Out of the Blue terza regia di Dennis Hopper, il suo film più sovversivo e dinamitardo, osteggiato e “messo a tacere” dall’industria hollywoodiana del tempo. Una parabola anarchica e tragica su quel che resta del sogno americano. Cindy, la sua famiglia, i suoi concittadini, c’è un epiteto dal conio tutto statunitense per descriverli: “white trash” (spazzatura bianca) un dispregiativo razzista rivolto a quegli individui di razza caucasica che sono e resteranno sempre ai margini. La loro colpa è forse una sola: aver rinunciato alla mobilità, al viaggio, prerogative dell’homo americanus, per assemblarsi nei sobborghi ai confini di una grande città. Dropouts e junkies, più che outsiders, i personaggi di Out of the Blue sono degli emarginati capaci solo di girovagare di bar in bar, di bancone in bancone, talvolta stanziali sul divano di casa, sullo sfondo di lacere tappezzerie. La Summer of Love è d’altronde già lontana e con essa anche gli ideali di libertà. È un universo privo di speranza quello descritto da Hopper, fatto di lucidi diner, insegne luminose dei bar, droga, prostituzione, sopraffazione, lo scenario ideale per una tragedia annunciata, il cui determinismo è solo in parte mitigato dall’energia spavalda e contagiosa di Cindy, ultima utopista in un piccolo inferno suburbano e domestico. Con entusiastica partecipazione e tangibile affezione, Hopper fa risaltare sullo schermo la sua protagonista, le concede tutto lo spazio e il tempo che ritiene necessari, duetta con lei in scena con rara naturalezza, mentre traduce in immagini e suoni una sorta di tetra ballata country-blues, l’estremo inno a un’America che non c’è più. E dunque, in questa prospettiva storica, Out of the Blue si fa epitome di un nichilismo perduto, di un cinema indipendente libero fino al punto di essere autodistruttivo. DENNIS HOPPER:« Sono stato scelto per recitare in Out of the Blue. Due settimane dopo ho sostituito il regista, e con piena autonomia, perché le due ore e mezza di riprese già realizzate erano inutilizzabili. Ho riscritto l’intera sceneggiatura nel fine settimana e ho cominciato a girare il lunedì. Sotto molti aspetti, è forse il mio film migliore. Parla della società del Nord America e dello sgretolamento del nucleo familiare. Io ritraggo la protesta sociale, non riesco a farne a meno. Non conosco molto del passato, non sono interessato al futuro né allo spazio. Mi piace fare cose su quello che vedo. Per una persona come me è un miracolo avere l’opportunità di dirigere un film: non ascolto nessuno, e gli unici collaboratori che ho sono i miei attori».
La consapevolezza che strappa l’essere al sembrare
Il processo rivoluzionario non potrà avere mai più i tratti esclusivi della guerra civile, i tratti della Comune di Parigi o della Mackhnovicina. Ma è sempre più probabile che la produzione «in vitro» della guerra civile, lo spettacolo speciale pirotecnico e sensazionale del terrorismo teleguidato, ottenga un relativo successo, e di conseguenza un relativo coinvolgimento di una parte del proletariato rivoluzionario nella sua pratica alienata. E proprio attraverso l'esperienza vissuta di questa alienazione, apparirà sempre più chiaro il necessario passaggio alla fase ultimativa del processo: la disgregazione attivamente perseguita, la liquidazione «armata (con tutte le anni necessarie) dell'universo concreto in cui il capitale assolutamente dominante realizza la propria valorizzazione. La vera guerra civile si scatena a partire dall'interno di ogni essere: nella maturazione accelerata «di una consapevolezza che strappa l’essere al sembrare, il vero all'apparente, la realtà in processo alla rappresentazione in dissolvimento, una consapevolezza che rifiutando insieme l'essenza selvaggia della guerra e l'essenza mortifera della «civiltà» superi entrambe nell'affermazione «incivile» della propria assoluta estraneità al mondo delle apparenze, e che lo combatte per liquidarlo concretamente una volta per sempre. La lotta sarà armata, perché si seppelliscano per sempre gli strumenti di morte. Distinguere i rivoluzionari armati dai sicari della falsa guerra sembrerà talvolta difficile, ma lo sembrerà soltanto, e non alla dialettica radicale: il corpo proletario della specie si è riconosciuto istantaneamente nei fatti di Detroit, di Danzica, di Stettino, e altrettanto istantaneamente si riconoscerà nei tratti inconfondibili delle insurrezioni vitali. (Cesarano-Collu: Apocalisse e rivoluzione 1973)