La sera dell'8 marzo una violenta esplosione scuote il centro storico di Roma echeggiando per tutta la città. La bomba, collocata presso il palazzo di Montecitorio, provoca gravi danni, due morti e alcuni feriti. Un'altra più piccola esplosione, senza vittime, avviene due mesi dopo, il 9 maggio, sempre a Roma, presso il palazzo dei conti Odescalchi. Infine il 21 maggio, all'annuncio delle condanne della Corte d'Assise di Palermo contro De Felice, Bosco, Barbato, Verro e Montalto, nonché alla vigilia di una difficile prova parlamentare per il Governo, due bombe esplodono, senza fare vittime, al Ministero di Giustizia e al Ministero della Guerra. Gli anarchici non rivendicarono questi attentati ma la grande stampa conservatrice li attribuì a loro. La mancata individuazione dei responsabili e l'utilità oggettiva che il governo ne trasse in un momento in cui maturavano le leggi eccezionali lasciano adito a dubbi di provocazione. Il Crispi, superato lo scoglio dell'opposizione parlamentare, si dimette il 14 giugno e ottiene il reincarico per formare un nuovo Governo, votato dalle Camere il 16 giugno. Ma due giorni dopo, mentre si reca all'ufficio insieme al suo capo di gabinetto Giuseppe Pinelli, giunta la carrozza in Via Gregoriana, un giovane da breve distanza gli spara contro due colpi di revolver, andati a vuoto. Lo sparatore, subito preso, bastonato e frustato, è il falegname Paolo Lega, anarchico romagnolo, di Lugo. L'attentato costituisce per Crispi una grossa fortuna, oltre che fisica, politica. Nel plebiscito di congratulazioni per lo scampato pericolo, gli attacchi personali dei suoi avversari, giunti ormai all'infamazione pubblica, si attenuano. Le predisposte leggi eccezionali contro gli anarchici e più generalmente contro i sovversivi guadagnano consensi in parlamento e nell'opinione pubblica. Il neonato governo consolida la sua maggioranza, Crispi rimonta le avverse correnti e, per giunta, il giorno successivo all'attentato può annunciare alla Camera la conquista di Cassala da parte del generale Baratieri. Paolo Lega è nei guai perché da parte della polizia si vuole ad ogni costo scoprire dietro il suo gesto un vasto complotto, magari internazionale. Ma Lega è solo come un cane. Il Secolo, che è la voce della sinistra, scrive che l'attentatore «ha tutti i caratteri esteriori dell'uomo privo di intelligenza e anche qualcuno ben marcato dei delinquenti volgari». La sua determinazione a colpire in Crispi il sistema o addirittura la società si è formata in anni di patimenti e di angherie. Arrestato una prima volta il 10 maggio 1892, è passato da una prigione all'altra, fra Lugo, Bologna e Genova. Da Genova, dove ha trovato un lavoro ma non ha la residenza, è spedito con foglio di via a Lugo, suo luogo di nascita; ma a Lugo, non avendovi stabile occupazione, è incarcerato e mandato a Bologna, dove risulta si residente ma non trova lavoro. Per lavorare torna a Genova.Viene arrestato di nuovo e il giro si ripete una seconda, una terza volta. Arrivano poi i fatti di Sicilia e di Lunigiana a far scattare in lui un impulso di vendetta. Al processo svoltosi in una sola giornata a Roma il 19 luglio - difensore l'avvocato Vittorio Lollini - dichiara: Non posso esprimere le mie idee chiaramente, perché mi manca l'istruzione. Debbo però dire che non ho commesso questo reato per malvagità o per odio personale, bensì per protestare contro alcune classi privilegiate e contro gli oppressori... Considerai i fatti successi in Italia, gli eccidi ordinati dal governo e decisi fare atto di rivendicazione sociale... Mi proposi di colpire un uomo che è responsabile di tanti mali, ma non lui come uomo bensì come la persona più importante dello Stato. È condannato a 20 anni e 17 giorni. Morirà dopo appena un anno e mezzo nel carcere di Sassari.
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