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giovedì 24 febbraio 2022

Ricercare sempre una nuova definizione di libertà

Quotidianamente il potere viene percepito come un’entità esterna al corpo sociale. Esso viene percepito come qualcosa da conquistare per coloro che lo bramano, convinti che grazie a esso potranno affrancarsi dal dovere di obbedire a qualcuno e poter finalmente comandare. Per quelli che non amano essere comandati, ma nemmeno comandare, il potere è invece il leviatano da sconfiggere, il palazzo da abbattere. Il mondo si divide così, semplicisticamente, fra chi lotta per il potere e chi lotta contro il potere. Nel mezzo rimane chi passivamente il potere lo subisce, così come subisce le lotte che lo circondano. Questa è però una visione fittizia, è il prodotto di una cultura particolare, di una cultura creata e strutturata da e per il dominio, è il prodotto della nostra cultura. Se appena usciamo dalle classificazioni e dagli schemi che caratterizzano e danno un senso al conflitto, così come lo percepiamo oggi, ci rendiamo conto che il potere, lungi da essere un’entità malvagia e repressiva che opprime la società, rappresenta una proprietà, una capacità intrinseca a ogni essere umano e scorre all’interno del corpo sociale, non al di fuori di esso. Il potere è la capacità che ogni essere umano ha di contribuire al complicato processo di strutturazione dei soggetti e delle strutture sociali, attraverso l’instaurazione continua e mutevole di rapporti con gli altri individui. In questo senso il potere non è più, evidentemente, solo repressivo. A seconda dei rapporti che instauriamo con gli altri individui, e di conseguenza a seconda delle definizioni dei ruoli sociali, il nostro potere potrà essere creativo e funzionale a pratiche di liberazione. Nel momento in cui, però, la brama di veder realizzato a tutti i costi il nostro modello dei rapporti e dei ruoli sociali prende il sopravvento, cerchiamo di escludere gli altri da questo processo di definizione dell’esistente. Quando questa esclusione ha successo, il potere verrà esercitato solo da alcuni individui, i quali si arrogheranno il diritto e la capacità di definire ruoli e rapporti sociali di tutti. In questo modo si concretizza il dominio dell’uomo sull’uomo, così come dell’uomo sugli altri animali e sulla natura. Questo è il motivo per cui è andata persa la consapevolezza di un potere creativo e la percezione quotidiana è quella di un potere minaccioso e repressivo. Il problema vero è che una definizione particolare dei ruoli sociali tenderà a fornire una visione particolare del reale, funzionale a mantenere stabili tali ruoli. In altre parole, la nostra società ha culturalmente consolidato il concetto per cui il fondamento del legame sociale è l’obbligo politico, ossia il dovere di obbedienza. Questa discriminante fondante ha prodotto uno spazio dell’immaginario caratterizzato da regole proprie e incompatibile per definizione con altri immaginari, altre rappresentazioni culturali che non postulino il dovere di obbedienza come matrice dei rapporti sociali. Uno degli effetti più immediati di questo spazio dell’immaginario sulle nostre “teste” è, per esempio, l’ipotesi repressiva del potere da cui siamo partiti. Ma molto dei significati che assegniamo alle cose, alle parole, ai rapporti che costruiamo, è il prodotto di tale rappresentazione del reale che come un’ameba cerca di occupare tutto lo spazio dell’esistente significante. All’interno di questo panorama desolante le pratiche di autogestione si propongono di scardinare, attraverso pratiche indipendenti e la conseguente produzione di un pensiero autonomo, lo spazio dell’immaginario del dominio e riconsegnare il potere di contribuire alla classificazione formale dei ruoli sociali a ciascun individuo. Si propone di far riscoprire agli individui il vero obbligo sociale contrapposto a quello politico. Si propone ossia di ricordare l’obbligo che il genere umano ha, in quanto animale sociale, di darsi delle norme di relazione interindividuali. Paradossalmente, da questo obbligo nasce però la specifica libertà dell’uomo. La libertà di poter scegliere le norme che regolano le relazioni sociali, di poter definire la classificazione dei ruoli che meglio soddisfa le esigenze dei singoli individui in una situazione data. Ma anche, e soprattutto, la libertà di poter mettere in discussione e cambiare tali norme e tali classificazioni. Importante è infatti ricordare sempre che ogni sistema di classificazioni produrrà uno spazio dell’immaginario sovrastante che una volta sviluppatosi renderà possibile la significazione dell’esistente con le enormi conseguenze che questo comporta. Sarà fondamentale quindi evidenziare in ogni momento questo collegamento per poter individuare, di volta in volta, il modo in cui i rapporti che intratteniamo e i ruoli che definiamo influenzino la determinazione dei soggetti e delle strutture sociali che costituiscono la facciata visibile e percepibile del reale. Una società sarà allora uguale quando tutti eserciteranno il loro potere e libera quando si rinuncerà a dare una definizione valida sempre alla libertà. La libertà dell’uomo consiste proprio nel poter ricercare sempre una nuova definizione di libertà. Qualsiasi tentativo di definizione universale si risolverebbe necessariamente in una forma di espropriazione, prevaricazione e oppressione.


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