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giovedì 24 febbraio 2022

SANTE CASERIO – parte seconda

A dieci anni il  ragazzo aveva  abbandonato la famiglia ed era venuto  a Milano a lavorare. Aveva fatto il garzone al Forno delle  tre  Marie,  lasciando  un ricordo di laboriosità e di mitezza. Semianalfabeta ma sveglio  di mente, s'imbatté nel mondo degli anarchici.  Diventò  egli stesso anarchico  appropriandosi rapidamente di tutti gli elementi essenziali della dottrina. Frequentò l'avvocato Pietro Gori direttore a Milano del giornale L'Amico del popolo, i cui numeri erano spesso colpiti da sequestro. Gori ricorderà così il giovane compagno di Motta Visconti: Una mattina d'inverno lo  trovai presso la  Camera del  Lavoro di  Milano,  che distribuiva opuscoli di propaganda e panetti freschi agli operai disoccupati. E  gli opuscoli  ed i panetti li acquistava coi suoi  risparmi... Non ricordo d'averlo mai  veduto neppure semi-ubriaco,  cosa frequente nella classe dei prestinai, fumava   pochissimo. Di fronte  ai vizi giovanili si  manteneva puritano. Una sera apostrofò degli amici  che uscivano da una casa di tolleranza: «Come potete abusare di coteste disgraziate, comprandone la carne e gli abbracci?» E siccome un opportunista di quella comitiva disse: «Intanto con la nostra lira abbiamo sollevato un po' la loro miseria!» Caserio salì sopra, dette una lira a una di quelle donne, che lo guardava trasognata, e se ne ritornò senza far parola. Un giorno gli domandai: «E tu che sei un bel giovanotto, perché non fai all'amore?» - «Prima si, mi rispose, ma dacché ho sposato l'idea, non bazzico  più donne, finché non mi farò una compagna, a modo mio». Aveva preso un  appartamento, in cui accoglieva la notte a dormire tutti i compagni senza tetto ospitale che si trovassero a Milano...  Un vero bivacco... Ed egli si recava a lavorare tutta la notte. La testimonianza di Gori è illuminante ed è confermata da un'altra di fonte insospettabile: quella di Filippo Turati. Turati che all'indomani dell'attentato scrive su Critica sociale un coraggioso articolo - nel quale fra l'altro, dissociandosi dal generale e convenzionale cordoglio, giudica severamente il Carnot come «l'uomo che congiunse il proprio nome alla repubblica borghese, panamista e militarista per eccellenza, all'alleanza della Francia col Papa e con lo Zar, agli eccidi di Fourmies,  alle repressioni di Pas de Calais ecc.» - così parla del giovane attentatore: Noi conoscemmo a Milano il Caserio quando veniva, con altri anarchici, a combatterci nelle nostre riunioni. Ma  egli non aveva nulla della spavalderia insolente che caratterizza taluni suoi  compagni. Al contrario, mite, pensoso, taciturno, notoriamente affettuoso e laboriosissimo, rivelava una natura profondamente compresa del sentimento del dovere e del sacrificio. La notizia ch'egli fosse stato, nell'adolescenza, profondamente religioso collima con le nostre impressioni: egli non era più religioso, ma era rimasto un devoto. La devozione di Caserio al proprio partito è il tratto dominante della sua personalità. Costante è in lui la preoccupazione di fare il proprio dovere, di essere coerente con le proprie idee. Se da ragazzo ha trovato nelle leggende cristiane e nei riti della Chiesa il primo pane al suo bisogno di fede, di ascensione spirituale e forse anche di poesia, ora trova nel movimento anarchico il gruppo sostitutivo della famiglia che gli è mancata e nei compagni le persone sulle quali riversare la sua capacita affettiva. Le cronache lo descrivono fisicamente come un ragazzo di normale statura, piuttosto slanciato, biondo, occhi azzurri, una faccia che ispira simpatia: «il labbro superiore ombreggiato da una bionda  peluria d'adolescente, l'occhio furbo, la bocca rosea e fresca». Frequenta prima il gruppo anarchico di Porta Romana e poi fonda egli stesso un gruppo a Porta Genova, provvisto di un bugigattolo come sede e perfino di  una bandiera rosso-nera su cui è scritto «Gruppo comunista-anarchico "a  pee"» che significa «in bolletta». Il 26 aprile 1892 subisce il primo  arresto per aver distribuito l'opuscolo Giorgio e Silvio, un dialogo antimilitarista, ai soldati, presso la caserma di Santa  Prassede. E condannato ma se la cava con poco. Ha diciannove anni e deve rispondere alla chiamata alle armi. Per sfuggire alla leva, espatria in Svizzera e viene condannato come disertore. Si trattiene alcune settimane a Lugano dove ha trovato lavoro (agosto  1893). Partecipa anche ad uno sciopero. Poi si trasferisce a Losanna, quindi a Ginevra, infine a Lione. La città ha una forte tradizione anarchica e Caserio vi incontra nuovi compagni. Mantiene però sempre i contatti con i gruppi d'Italia e riceve la stampa anarchica.  Da Lione passa a  Vienne e da Vienne a Cette  (oggi Sète), una popolosa cittadina marittima a sud di Montpellier, dove numerosi sono  gli operai italiani. 



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