Il 13 gennaio 1894 veniva indetto a Carrara lo sciopero di protesta contro lo stato d'assedio in Sicilia e di solidarietà con gli uomini dei Fasci siciliani arrestati. La manifestazione, che doveva esprimere anche il risentimento per la chiamata alle armi della classe del 1869, doveva essere anzitutto una adunata di scioperanti nella città di Carrara. Ma dai primi assembramenti si passò alla formazione di barricate alla Foce, fra Massa e Carrara, e alla interruzione delle linee telegrafiche. Gruppi di dimostranti attaccavano poi i posti del dazio e le armerie delle guardie, che venivano saccheggiate. Ad Avenza si verificava il primo scontro armato: uccisi un carabiniere e un dimostrante. Fra il 13 e il 14 si formarono concentramenti di ribelli a Bedizzano, Codena e Miseglia e mossero verso la città al grido di «Viva la Sicilia! Viva la rivoluzione! », nella convinzione o nella speranza che in altre parti d'Italia si stesse sviluppando un movimento analogo. Il 15 si ebbe un secondo scontro fra una banda scesa da Fossola verso Carrara e la cavalleria: un altro morto fra gli insorti. Il 16, alla periferia della città, presso la caserma Dogali, una colonna di 400 dimostranti, armati di roncole, forconi e qualche fucile, si scontrò con una compagnia di soldati. Otto dimostranti restarono uccisi, molti i feriti. La colonna si disperse. Alcuni gruppi fuggirono verso i monti dove vennero rastrellati nei giorni successivi. Il 16 gennaio Crispi sottopose al re il decreto di stato d'assedio con una relazione dove fra l'altro si diceva: “Sire, gli anarchici di Massa e Carrara, raccoltisi in bande armate, scorrazzano per quelle contrade a fini criminosi, rompendo i fili telegrafici, ostruendo le strade, attaccando insidiosamente la forza pubblica... Il moto non è politico, ma ha tendenze antisociali, propositi accennanti alla dissoluzione nazionale, a danno della proprietà, a distruzione della famiglia. Dal contegno, dagli atti, dal programma di cotesti nemici della Patria, sorge legittima la presunzione che i casi di Massa e Carrara si colleghino a quelli di Sicilia. Bisogna colpir nel nascere cotesti conati di barbarie con mezzi pronti e decisi.” Contemporaneamente alla firma del decreto reale, viene nominato commissario straordinario per la Lunigiana il maggior generale degli alpini Nicola Heusch, livornese, di famiglia originaria dell'Austria. Cominciano le repressioni e i processi davanti ai tribunali militari, per direttissima, con pene pesanti. Circa trecento sono gli arrestati per sedizione e 209 gli anarchici arrestati in quanto tali. Chi non finisce in carcere, viene spedito al domicilio coatto. Un testimone, il poeta apuano Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, così descrisse in un opuscolo sincrono la scena della deportazione: “Per lo più quei tristi condannati, quasi tutti giovanetti, erano fatti partire coi treni del mattino. L'alba si levava lentamente sulle Apuane, i monti delle cave dove forse i loro padri, i loro fratelli erano morti schiacciati da un masso rotolante per un ravaneto, o sotto lo scoppio orrendo di una mina, per guadagnarsi un tozzo di pane. La luce scendeva lentamente e gettava dei lividori sulle facce pallide, smarrite dei condannati, sul filo delle baionette. Qualche madre, qualche sposa li attendevano talvolta... Partivano i figli, i mariti pei lontani reclusori, ed esse ritornavano alle loro case, cui gli usci, nei tristi giorni delle perquisizioni e degli arresti, erano stati sfondati dalla furia dei carabinieri e degli alpini, col calcio del fucile o a colpi di baionetta... Che vita! Quante esistenze infrante, quanta vitalità perduta!” In effetti la repressione fu sproporzionata ai fatti e dettata dalla paura (Crispi, nell'imputare a sobillazione esterna la cagione dei moti, temeva addirittura uno sbarco francese a La Spezia): solo una vittima fra la forza pubblica contro numerosi morti fra i manifestanti. Molti di questi avevano dei fucili ma non li sapevano usare. Per il solo fatto della presenza alle dimostrazioni, si ebbero condanne a venti anni. «Neppur l'Austria osò tanto» scrisse Dario Papa. Il novantaquattro apuano fu una rivolta semi-spontanea, politicamente forse più impegnata del movimento dei Fasci siciliani ma assolutamente non preordinata sul piano organizzativo (come lo era stata invece la Banda del Matese nel 1877). La si definì «anarchica» e la definizione appare giustificata per il modo del suo manifestarsi, per l'ideologia che genericamente la animò, per la partecipazione di anarchici militanti alla sollevazione.
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