Una compagnia itinerante di attori, fra il '39 e il '52, vaga in lungo e in largo negli abitati della Grecia, rappresentando "Golfo la pastora", un dramma pastorale del secolo scorso, basato sulla storia di Giulietta e Romeo. La storia politica greca e quella privata dei componenti la compagnia (O thiasos) si intrecciano in modo inestricabile, seguendo, da un lato, gli ultimi giorni della dittatura di Metaxas, l'attacco italiano, l'invasione tedesca, la Liberazione, la "domenica di sangue" (3 dicembre 1944), l'arrivo degli inglesi del generale Scolby e l'accordo di Varkiza (12 febbraio 1945), la lunga guerra civile (1946-1949), la vittoria della destra appoggiata dagli Americani, l'elezione del maresciallo Papagos (16 novembre 1952); e, dall'altro lato, la vicenda familiare di Oreste, sua sorella, suo padre, sua madre e l'amante di quest'ultima, che rievocano il nodo centrale del mito degli Atridi: quello che vede Clitennestra, amante di Egisto, uccidere il marito Agamennone e venire più tardi uccisa, assieme all'amante, dal figlio Oreste istigato alla vendetta, sul piano divino da Apollo e sul piano familiare dalla sorella Elettra. Quattro ore di cinema sono troppe anche per i topi di cineteca ma è ben difficile che tempo sia stato impiegato meglio vedendo uno spettacolo, soprattutto se questo spettacolo è un film come il greco La Recita, opera di insuperata bravura del cineasta "fuori dal gruppo" Anghelopoulos. Film rigoroso, e dal punto di vista recitativo e da quello contenutistico, ampio, senza mai una caduta di gusto, nella parabola degli attori della compagnia protagonista principe della pellicola si viene a rispecchiare, episodio dopo episodio, il volto di una Grecia che cambia, la coscienza di un paese scosso dalla guerra mondiale prima e da quella civile, ben più sanguinosa, poi, la storia di una serie di passioni e di idee che si intrecciano l'una all'altra in un sottile "gioco del massacro". I protagonisti, tutti attori a noi sconosciuti, sono uno più bravo dell'altro anche perché è facile capire che dietro alla loro recitazione ci sono reminiscenze di vite e tragedie vissute e mai sopite: lo stesso è facilmente arguibile nell'abile mano del regista che preferisce mostrare più che filmare in senso vero e proprio, facendo un largo uso della tecnica del piano sequenza e permettendo che certe situazioni appaiano migliori da questo raccontare senza vedere. Certo, i giudizi su questa opera saranno molto discordi, ma una cosa è certa, l'onestà degli intenti ed il vasto respiro politico mostrano con quanto amore e con quanto straordinario mestiere questo isolato della celluloide sa mettersi dietro ad una macchina da presa e da essa sa trarre momenti di un lirismo e di una forza politica che molti politici di mestiere non toccheranno con la loro vita di mestatori parlamentari e non: un grande film, dunque, un grande regista, ed infine, una grande lezione di storia e di come leggerla criticamente.
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