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giovedì 9 giugno 2022

Errico Malatesta - La tattica elettorale

Il terreno comune su cui si incontrano i borghesi, che cercavano di corrompere, e quei socialisti, che cercavano di essere corrotti, fu l'urna elettorale. Né il danno sarebbe stato grande, ma i traditori, gli ambiziosi e gli stanchi riuscirono purtroppo a trascinare all'urna molti buoni, che credevano sinceramente di acquistare una nuova arma di lotta contro la borghesia, e di avvicinare con quel mezzo l'avvenimento della rivoluzione. Naturalmente per mascherare la manovra il passaggio si fece a gradi. Al principio non si infirmò nessuna delle conclusioni acquisite al programma socialista. L'espropriazione per mezzo della rivoluzione, si andava ripetendo, è l'unico mezzo per emanciparsi: il suffragio universale, la repubblica e tutte quante le riforme politiche lasciano il tempo che trovano e non sono che tranelli tesi all'ingenuità popolare. Però, s'insinuava dolcemente, qualche bene se ne può cavare: profittiamo di tutto, serviamoci come armi delle concessioni che possiamo strappare al nemico, allarghiamo il nostro campo di azione, cessiamo dal roderci della nostra impotenza, siamo pratici. E tosto si mise avanti il progetto di andare all'urna, scopo a cui tendeva ed in cui si riduceva tutto quel preteso allargamento di tattica. Ma siccome non s'osava ancora rinnegare tutto il detto sulla inutilità della lotta elettorale e sull'azione costruttrice dell'ambiente parlamentare, si disse che bisognava votare semplicemente per contarsi, quasi che fosse necessario andare all'urna e farsi contare dal nemico per giudicare dei progressi del partito. E per affettare scrupolosità si parlò di votare un bollettino in bianco, o per dei morti o per degli ineleggibili. Poi, senza aver l'aria di nulla, i morti diventarono vivi e gli ineleggibili si trasformarono in persone che al parlamento potevano e volevano andarci e restarci. Ma non si osava confessarlo: si trattava sempre di candidature di protesta: gli eletti non entrerebbero in parlamento, rifiuterebbero il giuramento là dove era richiesto, o
c'entrerebbero per sputare in faccia alla borghesia la infamia sua, e farsi scacciare come nemico che non transige. Poi nemmeno più questo. In parlamento bisognava andarci per profittare della tribuna parlamentare, per scoprire e denunciare al popolo i dietro scena della politica, per avere dei posti avanzati nel campo nemico, dei posti presi nella cittadella borghese. Il deputato socialista non doveva essere legislatore, non doveva aver nessun legame coi deputati della borghesia, ma stare in parlamento come spettro minaccioso della rivoluzione sociale in mezzo a coloro che vivono dei sudori e del sangue del popolo. Ma che!... oramai si stava sulla china e bisognava andare fino in fondo. Il partito rivoluzionario, che entrava in parlamento, doveva diventar riformista, e lo diventò. L'emancipazione integrale, cominciarono a dire, è una bella cosa, ma è come il paradiso: una cosa lontana lontana e che nessuno ha mai visto. Il popolo ha bisogno di miglioramenti immediati. Meglio poco che nulla. La rivoluzione sarà tanto più facile quanto più concessioni si saranno strappate alla borghesia. Senza contar quelli, pochi, del resto, che hanno saltato il fosso affermando che si può raggiungere lo scopo per evoluzione pacifica. E s'invocò la scienza, quella povera scienza che s'accomoda a tutte le salse, per sofisticare all'infinito sul tema evoluzione e rivoluzione; quasi che vi fosse alcuno che neghi l'evoluzione, e la questione non fosse piuttosto sulla specie di evoluzione, che più corrisponde al fine socialista e che quindi i socialisti devono propugnare. (Errico Malatesta,1890-91)


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