Non bisogna trascurare "l'uomo della strada", che è poi in tutti i paesi la grande maggioranza della popolazione; ma non bisogna neppure fare troppo affidamento sulla sua intelligenza e sulla sua capacità di iniziativa. L'uomo ordinario, "l'uomo della strada", ha molte ottime qualità, ha immense potenzialità che danno sicura speranza che esso potrà un giorno formare l'umanità ideale che noi vagheggiamo; ma esso ha intanto un grave difetto che spiega in gran parte il sorgere ed il persistere delle tirannie: esso non ama pensare, ed anche nei suoi conati di emancipazione segue sempre più volentieri chi gli risparmia la fatica di pensare e prende su di sé la responsabilità di organizzare, dirigere... e comandare. Esso, purché non lo si disturbi troppo nelle sue abitudini, è soddisfatto se altri pensa per lui e gli dice quello che deve fare, anche se a lui non resta che il dovere di lavorare e di ubbidire. Questa debolezza, questa tendenza della folla ad aspettare e seguire gli ordini di chi si mette alla sua testa, ha mandato a male tante rivoluzioni e continua ad essere il pericolo che minaccia le rivoluzioni prossime future. Se la folla non fa da sé e subito, bisogna bene che provvedano al necessario uomini di buona volontà, capaci di iniziativa e di decisione. Ed è in questo, cioè nel modo di provvedere alle necessità urgenti, che dobbiamo distinguerci nettamente dai partiti autoritari. Gli autoritari intendono risolvere la questione costituendosi in governo ed imponendo con la forza il loro programma. Essi possono anche essere in buona fede e credere sinceramente di fare il bene di tutti, ma in realtà, ostacolando la libera azione popolare, non riuscirebbero ad altro che a creare una nuova classe privilegiata e interessata a sostenere il nuovo governo, ed in sostanza a sostituire una tirannia con un'altra. Gli anarchici devono bensì sforzarsi di rendere il meno faticoso possibile il passaggio dallo stato di servitù a quello di libertà, fornendo al pubblico il più possibile di idee pratiche ed immediatamente applicabili, ma debbono guardarsi bene dall'incoraggiare quell'inerzia intellettuale e quella tendenza a lasciare fare agli altri ed ubbidire, che abbiamo lamentate. La rivoluzione, per riuscire veramente emancipatrice, dovrà svolgersi liberamente in mille modi diversi, corrispondenti alle mille diverse condizioni morali e materiali degli uomini d'oggi, per la libera iniziativa di tutti e di ciascuno. E noi dovremmo suggerire e realizzare il più possibile quei modi di vita che meglio corrispondono ai nostri ideali, ma soprattutto dobbiamo sforzarci di suscitare nelle masse lo spirito di iniziativa e l'abitudine di fare da sé. Noi dobbiamo evitare anche le apparenze del comando, ed agire colla parola e con l'esempio come compagni tra compagni; e ricordarci che a voler troppo forzare le cose nel senso nostro e far trionfare i nostri piani, correremmo il rischio di tarpare le ali alla rivoluzione ed assumere noi stessi, più o meno inconsciamente, quella funzione di governo, che tanto deprechiamo negli altri. E come governo noi non varremmo certamente meglio degli altri. Forse anche saremmo più pericolosi per la libertà, perché convinti fortemente di aver ragione e di fare il bene, saremmo inclinati, da veri fanatici, a considerare quali contro-rivoluzionari e nemici del bene tutti quelli che non pensassero ed agissero come noi. Ché se poi quello che gli altri fanno non fosse quello che vorremmo noi, la cosa non avrebbe importanza, sempreché fosse salvaguardata la libertà di tutti. Ciò che veramente importa è che la gente faccia come vuole, perché non vi sono conquiste assicurate se non quelle che il popolo fa coi propri sforzi, non vi sono riforme definitive se non quelle reclamate ed imposte dalla coscienza popolare. (E. Malatesta da Almanacco libertario - Ginevra, 1931)
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