Dopo sei mesi, è tanto stufo che decide di partire per Berlino e iscriversi all'Università; là segue più o meno fortuitamente i corsi di geografia di Carl Ritter, uno dei primi geografi universitari, famosissimo in Germania. Nel settembre del 1851, ritorna a piedi a Orthez, in compagnia di suo fratello Elia che aveva terminato i suoi studi di teologia a Strasburgo. Per economia ma anche per diletto, i due fratelli attraversano quindi la Francia a piedi, dormendo di notte sotto le stelle. Qualche tempo dopo, scoppia il colpo di stato del 2 dicembre. Repubblicani convinti, i fratelli Reclus si oppongono al colpo di mano del futuro imperatore e, senza essere ufficialmente esiliati, devono rifugiarsi in Inghilterra. Per guadagnarsi da vivere, Eliseo dà qualche lezione, ha contatti con altri esuli francesi, quelli del 1848 e quelli del colpo di Stato, ma non sta bene in Inghilterra ed è deluso per l'accoglienza che gli inglesi riservano ai rifugiati politici. Alla prima occasione si stabilisce in Irlanda in qualità di amministratore di un'azienda agricola. S'interessa a questo paese di cui esamina la tragica situazione economica e sociale, quattro anni dopo la terribile carestia del 1847 e per tutta la vita manterrà il medesimo interesse per questo paese di cui prevede le difficoltà ineluttabili provocate dall'occupazione inglese. Quindi lascia l'Irlanda per la Louisiana dove si ritrova precettore dei figli di un coltivatore di canna da zucchero per due anni. Analizza con ogni agio la società sudista e, scandalizzato per il comportamento degli uomini di chiesa che difendono i piantatori contro gli schiavi, si volge definitivamente all'ateismo. Aveva già rinunciato ad essere pastore, ma era rimasto credente. Nel 1855 Reclus parte per la Colombia, che a quel tempo si chiamava Nuova-Granata, dove tenta invano di sistemarsi come piantatore di caffè. Dopo numerosi fallimenti, malato, senza un quattrino, indebitato, rientra in Francia nel 1857. Ma ha dei quaderni di viaggio pieni di note e di osservazioni personali e al suo ritorno cerca di pubblicare qualche articolo basato su quegli scritti. L'interesse di Reclus per la geografia si viene confermando a poco a poco ed ha una gran voglia di descrivere i paesaggi tanto variati attraverso cui ha viaggiato e scrivere sul mondo gli pare un compito esaltante. Prende allora contatto con diversi scienziati famosi e redige qualche articolo. La casa editrice Hachette vuole pubblicare il resoconto dei suoi viaggi e gli propone, intanto, di lavorare alla raccolta delle guide Joanne che essa pubblica e ad altre pubblicazioni geografiche. Eliseo entra da Hachette come geografo nel dicembre del 1858 e comincia a girare, perlopiù a piedi, per la Francia e nei paesi vicini, per compilare le sue guide. La pubblicazione di alcuni articoli di geografia fisica gli permette anche di aderire alla Società di Geografia di Parigi, che era assai attiva a quel tempo e soprattutto possedeva la migliore biblioteca di opere geografiche ed un grandissimo numero di carte. Nel 1869 esce la prima opera di Eliseo Reclus: La Terre. È un vero e proprio trattato di geografia fisica che conosce un enorme successo. Malgrado il poco tempo che gli lasciano le sue attività geografiche (viaggi, pubblicazioni, ecc.), Eliseo Reclus dimostra d'essere un militante attivo nell'ambiente socialista prima e poi anarchico. S'era interessato fin dalla prima giovinezza alle idee socialiste; aveva letto Leroux, Owen, Fourier. Al suo ritorno dall'America, viene affascinato, come suo fratello maggiore Elia, dagli ideali anarchici che gli paiono gli unici ad accordare tanta importanza all'individuo. La sua educazione protestante è indubbiamente all'origine della costante preoccupazione per i diritti dell'individuo e ancor più il protestantesimo personale di suo padre che in ogni circostanza non seguì che la sua coscienza e rifiutò sempre di limitare la propria libertà, non volendo nulla e nessuno tra sé e Dio. Il protestantesimo in seno al quale Eliseo Reclus è stato educato è in realtà una linea di vita, una morale che si basa sull'autonomia totale dell'individuo, effettivamente responsabile di se stesso e che non deve render conto dei suoi atti che a Dio. Diffidenza dunque verso i riti e le organizzazioni che non son altro che barriere destinate a controllare gli uomini e le donne. Questi principi, è chiaro, non han potuto che favorire l'avvicinamento di Reclus all'anarchismo. Ardente difensore di tutti gli oppressi, avversario dichiarato dello Stato e di tutte le leggi che non siano naturali, egli milita cogli anarchici.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 23 febbraio 2023
Il conflitto si trasforma in rivolta
Dal 2006 al 2013 ci sono state in tutto il mondo 843 rivolte popolari, esplose in 84 paesi, ma in nessun caso si erano trasformate in rivoluzioni per cambiare radicalmente il sistema, il suo ordine statuale e l’assetto di potere contro il quale si erano scagliate. Non solo, a guidare le rivolte non era stato il mondo del lavoro ma nuovi soggetti «più eterogenei, più inclassificabili», il cui vero obiettivo sarebbe stato la sfida all’ordine costituito senza però che vi fosse qualche forma di rivendicazione traducibile nel linguaggio conosciuto della politica. Una folla senza volto né leader, resiliente e mutante, aveva occupato le strade delle metropoli attraverso un faccia a faccia con il potere senza passare per la politica. Ma già le rivolte urbane esplose nei decenni precedenti avevano reso evidente questo passaggio e avevano rivelato le sue conseguenze più immediate: e cioè che la società, quella che fino ad allora era stata creata, disegnata e governata dalla politica e dalle sue istituzioni (partiti e sindacati), si frantumava in minoranze sociali e culturali autonome e separate le une dalle altre; che le stesse minoranze non producevano spazi comunitari e non si assemblavano in moltitudine se non nel momento dello scontro; che l’anima dura e profonda della metropoli non era né produttiva, né ecologica ma si fondava sulla cultura del consumo e sulla richiesta di libertà di movimento sul territorio. Nessuna rivolta metropolitana dagli anni Ottanta del Novecento in poi avrà il lavoro o la disoccupazione o l’uguaglianza tra gli obiettivi della sua lotta che investì all’inizio e con violenza ben trenta città inglesi e poi Amsterdam, Berlino, Zurigo, Francoforte, Dusseldorf, Monaco, Amburgo, Friburgo, Gottinga, Hannover, Brema, Parigi. Negli anni Novanta insorsero la periferia di Los Angeles e quella di Tolosa in Francia. Nel 2001 furono di nuovo Oldham, Manchester, Leeds e Birmingham al centro degli scontri. Nel 2005 le banlieue parigine scatenarono una rivolta così estesa e violenta che il governo francese impiegò diversi giorni per ristabilire l’ordine. E nel dicembre del 2008 fu la volta di Atene e del suo quartiere Exarchia a scendere nelle strade. Nel 2011 toccò a Roma e poi a Tottenham, area nord di Londra, a essere teatro di violenze tra la comunità nera e la polizia così come avverrà nel 2020 a Minneapolis nel Missouri, dove il movimento Black Lives Matter si metterà alla testa di riot notturni contro le forze di polizia. Nel 2018, infine, il movimento dei gilet gialli in Francia provocò scontri che sconvolsero a lungo il panorama politico francese. E questi sono solo alcuni episodi esplosi negli ultimi decenni. Il conflitto, dunque, si trasforma in rivolta che, a differenza della rivoluzione, non mira ad abbattere il sistema, non costituisce soggetti né istanze politiche che riescano a dare un futuro, una forma e un’organizzazione alla contingenza della lotta che invece ha nel mirino l’eliminazione delle regole insieme a quello delle frontiere interne e delle zone rosse che il mercato cerca di dispiegare sul territorio per controllare e governare le metropoli del mondo. E allora decostruire quest’ordine sarà il loro bersaglio. Le rivolte partono sempre da qui.
François Salsou
Figlio di un agricoltore, poi diventato meccanico, e di una domestica a ore, François Salsou nasce il 4 febbraio 1876 a Montlaur (Aveyron). Alla morte del padre nel maggio 1891, la madre si trova a crescere da sola, oltre a lui, che è il fratello minore, anche le sue tre sorelle. A partire da quel momento, François verserà alla famiglia l’intero salario che percepisce come fattorino, mentre l’istruzione scolastica di questo studente modello si interrompe con l’ottenimento del diploma di scuola primaria, che consegue con il voto più alto di tutto il cantone di Saint-Affrique. È proprio grazie ai suoi studi che conserva un pronunciato interesse per la lettura, e infatti, come dirà lui stesso, la sua conversione alle idee anarchiche è il risultato della lettura, a quindici anni, della raccolta di scritti proudhoniani La Révolution Sociale. Da quel momento diventerà un lettore abituale della pubblicistica anarchica, consacrando alla propria formazione tutto il tempo di cui può disporre. Ciononostante, si convince con il tempo che “i discorsi e gli scritti sono vani, che solamente le azioni possono cambiare qualcosa delle ingiustizie del mondo”. Di conseguenza, “decide di sferrare un colpo fatale, sacrificando anche la propria vita”. È dapprima ad Algeri, poi a Lione e infine a Parigi che matura le proprie convinzioni. Dopo aver contemplato l’idea di “attaccare il capitale”, identificato nella persona del barone Rothschild, decide di concentrarsi sul progetto di giustiziare Casimir Perrier, a cui addebita la responsabilità di aver promulgato le “leggi scellerate” (1893-1894). Armato di pistola, attende per quattro ore il passaggio del successore di Sadi Carnot, che però proprio quel giorno cambia il percorso della sua usuale passeggiata. L’iniquità del trattamento riservato da una parte agli addestratori d’orsi persiani, che erano stati trattati con durezza e fermati alle porte di Parigi, e dall’altra allo scià dell’Iran, ricevuto con tutti gli onori in quanto “ospite della Francia” all’Esposizione Universale, farà prendere a François la decisione di sferrare il suo attacco contro questo “onorabile sovrano asiatico”. Il 2 agosto 1900, poco prima delle 9, in via de Malakoff, Salsou attende il passaggio della carrozza reale, poi scansa le guardie e, saltando sul predellino, rivolge il suo revolver verso il torace dello Scià. Pur avendo premuto il grilletto, il colpo però non esplode perché il percussore colpisce il bossolo del proiettile e non l’innesco. Arrestato immediatamente, grida due volte un insolito slogan anarchico: “Viva i figli del popolo!”. Dopo due giorni di silenzio stampa, la sua identità viene infine divulgata ma in modo errato: viene infatti chiamato “Salson”. Peraltro questo cognome è quello che figurava negli atti processuali delle sue precedenti condanne: 3 mesi di prigione nel 1894 per propaganda anarchica; 8 mesi di prigione nel 1899 per lesioni arrecate ad avversari politici nel corso di un’accesa discussione. Per parecchi giorni, a partire dal 4 agosto 1900, François Salson/Salsou occuperà le prime pagine di tutti i giornali nazionali e regionali. La maggior parte dei periodici si atterrà all’esposizione dei fatti, ma qualcuno, in particolare Henri Rochefort su “L’Intransigeant” e André Girard su “Temps Nouveaux”, pubblicherà articoli che mettono in discussione la genuinità dell’atto commesso da Salsou: l’azione viene qualificata come un “attentato burletta”, lui è descritto come un “anarchico pietoso” o viene addirittura accusato di essere un agente al soldo del prefetto di polizia Lépine. L’istruttoria, durata due mesi, dimostra che ha agito da solo, che la sua compagna Augustine Coadet ignorava del tutto il suo progetto e che il suo amico, il cantautore anarchico Auguste Valette, non ha alcuna responsabilità nell’attentato. Tra l’altro, quest’ultimo aveva messo Salsou in contatto con il poeta libertario Paul Paillette, una delle figure di spicco del movimento naturista e vegetariano al quale Salsou aveva aderito. Il processo davanti alla corte d’assise della Senna si svolge il 10 novembre 1900 dalle 12.00 alle 18.30. Me Lagrasse, l’avvocato difensore di Salsou che aveva difeso anche Ravachol e Léhautier, fonda la sua arringa sul fatto che “l’arma non era entrata in funzione”, che il crimine non era stato consumato e che dunque l’accusato non poteva essere deferito davanti a una giuria. Tra assoluzione e pena di morte il tribunale opterà per i lavori forzati a vita. Da Fresnes viene trasferito prima a Saint Martin de Ré, e da qui, il 31 maggio 1901, verso i bagni penali della Guyana Francese. Arrivato alle Ilês du Salut verso metà giugno, vi muore quasi subito, il 19 luglio 1901, a causa di “febbre e diarrea” e “alle sofferenze fisiche e morali subite dal forzato”.
giovedì 16 febbraio 2023
Ho girato il mondo da uomo libero – Eliseo Reclus parte I°
"Ho girato il mondo da uomo libero...". Così Eliseo Reclus si presenta ai suoi lettori. Affermazione assolutamente legittima se si ha presente la sua vita. Che un geografo percorra il mondo è più che normale anche se nel XIX secolo sono ancora in pochi a farlo; ma che rivendichi a piena voce di averlo fatto da uomo libero, questa non è una cosa del tutto ordinaria, tant'è vero che i geografi avevano fama di conservatori, e i pochi che non lo erano, avrebbero trovato incoerente e fuori luogo proclamare le proprie convinzioni politiche al termine dell'introduzione di un libro di geografia fisica! E la stessa cosa vale per oggi. Ma Eliseo Reclus non è affatto un geografo come gli altri; ebbe la strana idea di essere un geografo libertario. E il prezzo di questa audacia fu, dopo la sua morte, il silenzio e l'oblio, malgrado la ampiezza della sua opera. Chi conosce oggi Eliseo Reclus? Chi sa che fu un geografo estremamente celebre nel XIX secolo? Se gli anarchici lo riconoscono come uno dei loro (fu amico di Bakunin e di Kropotkin), i geografi francesi l'ignorano altezzosamente, come se Reclus non fosse stato che un oscuro geografo di un'epoca "prescientifica". E tuttavia la sua fama è dovuta ben più alla qualità dei suoi lavori geografici che alla portata teorica dei suoi scritti anarchici. Questo scienziato aveva acquisito una notorietà internazionale, gli scienziati dell'epoca lo ritenevano uno dei migliori, tutti lo consideravano un geografo di grande talento. E la gente non si fece ingannare: le sue opere vennero pubblicate in migliaia di copie, furono riedite più volte, tradotte in inglese, in russo, in spagnolo, in italiano. Perché allora questo silenzio, perché questo oblio? Chi era dunque Eliseo Reclus, geografo tanto rinomato e tanto presto dimenticato? Da dove viene questo geografo libertario? Originario del sud-ovest della Francia, Eliseo Reclus nasce a Sainte-Foy-la-Grande, cittadina della estremità della Dordogna, il 15 marzo 1830. È il terzo figlio di Jacques Reclus, un pastore calvinista (un vero mistico) e di Zéline Trigant, proveniente da una famiglia borghese di Bordeaux, sicuramente poco preparata a una famiglia numerosa: undici figli. Ella dovette mettersi a fare l'istitutrice per supplire ai bisogni della famiglia, in quanto suo marito era più preoccupato dei suoi rapporti con Dio che dei problemi materiali. Nel 1831, la famiglia Reclus si stabilisce a Orthez, vicino ai Pirenei. A tredici anni, Eliseo segue suo fratello e sua sorella maggiore a Neuwied, in Germania, in un collegio religioso diretto dai Fratelli Moravi, giacché il pastore Reclus aveva giudicato che solo questa congregazione religiosa fosse degna di fiducia. E in questo si sbagliò parecchio, perché Eliseo Reclus rimase nauseato dall'ipocrisia di quei religiosi, più smaniosi di incassare soldi che di educare seriamente i loro allievi. Questo periodo trascorso in Germania non dura che un anno, ma rappresenta un taglio netto colla sua famiglia: scarsa corrispondenza, nessun ritorno in Francia. È costretto a imparare rapidamente il tedesco. Nel 1844, rientra a Sainte-Foy-la-grande per continuare gli studi superiori. Si diploma nel 1848, dopo aver passato un anno nel seminario protestante di Montauban, in quanto a quel tempo pensa ancora di voler fare il pastore, riparte per la Germania, a Neuwield presso i Fratelli Moravi, ma stavolta come sorvegliante; in realtà, i suoi genitori erano troppo poveri per finanziare più a lungo i suoi studi.
Tahar Ben Jelloun
La luce del giorno lentamente traccia sul
campo pudico di terra bianca il contorno di un
corpo amoroso.
Sul corpo nudo scivola la brezza del mattino.
Un vento breve drizza il seno
poi le anche. Sulla cima del ginocchio
impazzisce l’uccello del paradiso.
È un cuore che palpita
o è la terra che si spazientisce?
Il desiderio si è disteso nel letto del fiume lontano.
Corpo d’amore
brace di luce
attendi la notte per l’amplesso solitario.
Son io che ti invento
ti guardo fremere e muovere
la tempesta ti gonfia le labbra e t’irrigidisce il busto
una palma si china sui tuoi capelli che spandono fuoco
ti so fiume, leggenda e musica.
Ma il tramonto ti ha spento,
ultima stella che accompagnava il sole.
Giunta la notte, nessun pensiero ti esalta.
Questa è la solitudine:
un corpo appena nominato è portato via dalle parole.
(Tratta da: Stelle velate, Poesie 1966-1995)
CUT-UP COMPARTIMENTALE
Un cut-up comportamentale è un metodo per rivelare aspetti inediti di una realtà nota, e quindi per strapparti alla morsa dell'inerzia. In antitesi con l'attività finalizzata al prodotto, la pratica del cut-up comportamentale implica che può essere importante anche ottenere qualcosa che non si era previsto. I cut-up comportamentali non servono a conseguire fini specifici, quanto piuttosto a stabilire prospettive che possano indicare nuovi inizi. I cut-up comportamentali sono un modo per scoprire l'avventura e il potenziale che si celano in attività normalmente paralizzate dall'abitudine. I cut-up comportamentali sono paragonabili ai cut-up artistici e letterari, in cui testi e materiali esistenti vengono smontati e riassemblati in modi nuovi. I dadaisti tagliavano a pezzi giornali e libri di poesia e creavano nuovi componimenti estraendo a caso i ritagli da un cappello; similmente, l'artista del cut-up comportamentale applica forbici e colla a un testo sociale o personale e riconfigura banali aspetti dell'esistenza in modi straordinari. Un cut-up comportamentale non è tanto una randomizzazione della vita quanto un punto di partenza per territori inesplorati; come tale, può richiedere un'attenta riflessione. Scegliere le modifiche più promettenti da fare è una scienza rigorosa, se non esatta. Nella forma più elementare di cut-up comportamentale, si associa una determinata condizione a un aspetto della vita che finora sembrava ordinario: per esempio, decidi di mangiare a scrocco per un mese intero, oppure ti dedichi a scalare tutte le querce della contea, o ti impegni a mandare ogni giorno una cartolina alla tua famiglia per un anno. Queste condizioni fanno concentrare l'attenzione su cose che si davano per scontate, acuiscono la consapevolezza, rendono più sciolta la mente e svelano nuove possibilità. Quando ti avventuri fuori dal giro della vita quotidiana, entri temporaneamente in un mondo parallelo dove sei una persona diversa e impari cose che, se prima erano banali, adesso sono nuove di zecca. Non c'è bisogno che i cut-up comportamentali siano grandiosi; anzi, i più coinvolgenti raramente sembrano attraenti sulla carta. Dedicarsi a cose futili come attaccare discorso con uno sconosciuto ogni mattina forse non sembrerà un grande cambiamento di vita, ma gli effetti cumulativi possono essere sorprendenti. Cut-up comportamentali più estremi possono creare conflitti con i propri concittadini - uno dei significati del verbo "cut u p è sconvolgere - ma in fondo anche questo serve a mantenere la vita interessante per tutti. I cut-up comportamentali possono dare l'impressione di essere terreno elettivo di artisti, performer e altri privilegiati, ma è un errore liquidarli come tali. Preso sul serio, il cut-up comportamentale è un esercizio di espansione del sé, una pratica fondamentale per i rivoluzionari tanto quanto il mutuo soccorso o l'autodifesa.(Tratto da Ricette per il Caos, Crimethic)
giovedì 9 febbraio 2023
Ricordando Merlino – Errico Malatesta
Una lettera privata ci dà la dolorosa notizia della morte di Francesco Saverio Merlino, avvenuta il 29 scorso giugno. Fu uno dei più dotti, chiari e convincenti scrittori di cose nostre. Le sue opere complete formerebbero un buon numero di volumi, soprattutto se si potesse riunire quanto ha scritto e pubblicato in molti giornali che ebbero brevissima vita, in riviste internazionali, in numeri unici, in opuscoli quasi introvabili. Da un quarto di secolo e forse più, Merlino si era ritirato dal movimento nostro, dicendolo esaurito, negandogli quasi una ragione d'essere. Non sappiamo quale insieme di cause lo condussero a conclusioni tali; certo si è che l'eccessiva tolleranza trovata in mezzo a noi da pazzoidi, stravaganti e corrotti deve aver contribuito al suo allontanamento. Dal constatare che un male ha origine sociale, il concludere che non solo non va condannato, ma neppur combattuto, non solo spiegato, ma elogiato addirittura, condurrebbe i partigiani d'un rinnovamento totale, ad un'accettazione dei suoi degradanti adattamenti. Ma come mai lo spirito acuto, perspicace del Merlino non si avvide che era più che mai la nostra ora, di fronte ad un accentramento economico, con relativo assolutismo politico, divenuti poco a poco, soprattutto dopo la guerra, il bolscevismo ed il fascismo, una specie di credo universale? Oggi pur di fronte al fallimento catastrofico della dittatura e rispettive economie, i più si ostinano a darne la colpa agli uomini e non soprattutto al sistema. Agli anarchici il dimostrare al mondo la possibilità di armonizzare libertà individuale e solidarietà universale. Anche fuori dalle nostre file, il Merlino ebbe sempre però un contegno coraggioso, leale, si trovò sempre dal buon lato della barricata. Di fronte al fascismo non piegò, mantenne un'attitudine degna d'oppositore che non si è mai illuso né ricreduto. Fino a quando gli fu possibile il difensore di Gaetano Bresci, non esitò ad assumere con calore di fede e convinzione di dottrina il patrocinio delle nostre vittime. Sulla sua tomba, deponiamo il fiore della riconoscenza, augurando che la nuova generazione sia messa in grado di conoscerne l'opera anarchica che ignora totalmente. (Errico Malatesta dal "Il Risveglio", 26/7/1930)
MY WHITE BICYCLE - Tomorrow
Cavalcando per le strade
Sono le quattro e dormono tutti
Non sono stanco ed è così tardi
Muoversi velocemente sembra tutto fantastico
La mia bicicletta bianca
Vedi quell'uomo, è tutto solo
Sembra così felice ma è lontano da casa
Suono il campanello e gli sorrido
Poi vado dal suo bidone della spazzatura
La mia bicicletta bianca
La pioggia scende ma non mi interessa
Il vento soffia tra i miei capelli
Gabbiani che volano in aria
La mia bicicletta bianca
Il lampione china la testa in disgrazia
Non brilla luce sul mio viso
Attraverso l'oscurità, vediamo ancora
La mia bicicletta bianca e io
La mia bicicletta bianca
Il poliziotto grida ma non lo vedo
Sono una cosa in cui non credo
Troverà qualche accusa ma non è un furto
La mia bicicletta bianca
La mia bicicletta bianca
La mia bicicletta bianca
La mia bicicletta bianca
(I Provos, un gruppo di anarchici dadaisti Scelsero la bicicletta come santo strumento tribale, arma comunitaria contro i comportamenti antisociali degli automobilisti che agivano (e agiscono) indisturbati contro l'ambiente coperti dalla grande industria e dalla polizia. Gli automobilisti amorevolmente coccolati dagli spacciatori di petrolio e dai cementificatori, erano (e sono) il "braccio armato" di uno stile di vita che ormai andava inesorabilmente modellando la geografia del pianeta. Il piano era (ed è) distruggere il tessuto umano dei quartieri storici creando un mondo in cui fosse impossibile andare a scuola, al lavoro, a far la spesa, a curarsi e a divertirsi senza poggiare il culo su un autoveicolo, senza pagare il balzello all'industria e allo stato e senza devastare il territorio).Cosa potrebbe salvarci dalla distruzione
Sicuramente il ripristino e lo sviluppo del pensiero critico. Lo sviluppo delle difese immunitarie contro l'abulia intellettuale e il cedimento. Lo sviluppo della nostra propria intelligenza, poiché non deriva da un genoma superiore ma dall'esercizio a cui lo sottoponiamo. Per intelligenza intendiamo il discernimento, questa facoltà di "raccogliere" i fatti dal latino (legere), leggere, scegliere, raccogliere, in vista di ricostituire una forma (eidos), una visione ordinata (theoria), sullo sfondo confuso (chaos) del mondo. Non che la conoscenza del mondo non sia sufficiente alla sua conservazione, ma non possiamo fare niente se non sappiamo niente. Senza forzare l'analogia, tutta questa attività di raccolta, vaglio, bricolage e caccia alle idee, per noi, aveva a che fare con il "pensiero selvaggio". Ma i nostri percorsi e le nostre visioni non sono piaciute. "Concretezza!", "Azione!", hanno urlato quanti preferivano pensare con i piedi, piuttosto che far funzionare la testa. Ci hanno trovato "pesanti", "pessimisti", "catastrofisti", "disfattisti". - "A cosa serve allora?", ci hanno detto, "A che pro?" In effetti, non abbiamo abbellito la realtà per "offrire delle prospettive". Avremmo voluto dire qualcos'altro e incontrarci con altri, ma siamo indagatori e liberi pensatori; non dei militanti, non degli accademici. Siamo incapaci di falsificare i nostri rapporti per compiacere, e tantomeno delle persone che agiscono solo su garanzia di successo. Diciamo quello che vediamo. Per quanto cupa sia la nostra situazione, dobbiamo guardarla in faccia senza distogliere lo sguardo e non meritare la nostra sorte arrendendoci. (Pièces et main d’oeuvre)
giovedì 2 febbraio 2023
Francesco Saverio Merlino – Il Socialismo
Contemporaneamente alla critica all'anarchismo, Merlino riprese e sviluppò ampiamente la critica al marxismo e alla politica della socialdemocrazia tedesca; si trattava di critiche iniziate già negli anni precedenti, e che ora trovavano una formulazione più approfondita e organica. Con Pro e contro il Socialismo (1897), L'Utopia collettivista e Formes et essence du socialisme (1898), e l'importante Rivista Critica del Socialismo, che uscì per tutto il 1899 sotto la sua direzione, Merlino si pose al centro del vasto movimento europeo di critica e di revisione del marxismo che caratterizzò gli anni di fine secolo. Merlino, che aveva percorso e in certa misura avviato il fenomeno, divenne l'interlocutore apprezzato di personaggi come Berstein in Germania e Sorel in Francia, ma si attirò pure gli strali polemici, spesso velenosi, di interpreti ortodossi del marxismo come Antonio Labriola e Leonida Bissolati (6). Più che di revisione, nel caso di Merlino è corretto parlare di critica del marxismo, non avendo egli mai aderito propriamente alle teorie marxiane negli anni precedenti (7). Si trattò per Merlino di un periodo di straordinaria operosità intellettuale, nel quale il suo pensiero giunse a maturazione, e vennero tracciate le linee fondamentali della sua originale visione del socialismo, a cui doveva attenersi abbastanza fedelmente nelle opere successive. Nonostante la rilevante diversità di ispirazione politica e le polemiche che lo opponevano agli esponenti di maggior spicco del partito, alla fine del 1899 Merlino aderì al PSI. Egli sembra nutrire in questo periodo la speranza che lo sviluppo della situazione politica generale, o un processo di naturale maturazione teorica e ideologica, potessero portare il partito su posizioni simili a quelle che egli veniva elaborando. L'obiettivo di Merlino divenne quello di stimolare e aiutare ad affermarsi dall'interno un processo di revisione, in modo da fare del partito la trave portante di un progetto politico di trasformazione socialista della società a cui, nella sua visione, dovevano concorrere tutte le forze politiche progressiste, compresi i socialisti anarchici. Le speranze merliniane non tardarono ad essere deluse. Egli dovette sostenere duri e prolungati scontri con i dirigenti del partito e in particolare con Turati. In polemica con Turati, Merlino scrisse nel 1901 gli opuscoli Partito socialista o Partito operaio?, e Collettivismo, lotta di classe e... Ministero (Controreplica a F. Turati), nei quali la discussione era allargata dai temi teorici alle questioni tattiche e contingenti della lotta socialista. Nel 1902, al Congresso di Imola, Merlino venne interrotto con fischi e schiamazzi e potè terminare il suo discorso solo per l'intervento di Enrico Ferri in sua difesa. Dopo una sfortunata candidatura alle elezioni politiche del 1904 in un collegio della Puglia, egli appariva ormai stanco e amareggiato, pressoché isolato all'interno del partito organizzato attorno alle due principali correnti del riformismo turatiano e del sindacalismo rivoluzionario, da lui giudicate entrambe inadeguate. L'esperienza di Merlino nel PSI può dirsi conclusa con la scissione che nel 1907 sancì il definitivo distacco dei sindacalisti. Dopo quella data Merlino si ritirò a vita privata, dedicandosi quasi esclusivamente all'esercizio della sua professione. A parte polemiche occasionali, come quella sulla "fine dell'anarchismo" che nello stesso 1907 lo oppose a Fabbri e Galleani, una ripresa effettiva di attività politica si verificò solo nel primo dopoguerra. Nel clima arroventato e convulso delle lotte sociali e politiche apertesi dopo la conclusione del grande massacro, Merlino non rinunciò, nonostante l'età ormai avanzata, a portare il suo contributo di cultura e di intelligenza alla comprensione dei fenomeni. Buona parte degli scritti merliniani di questo periodo uscirono su giornali e riviste anarchiche (Umanità Nova, Pagine Libertarie, Pensiero e Volontà). Riprendeva in questi scritti, dopo una lunga parentesi e allargandosi anche a Fabbri e ad altri esponenti dell'anarchismo, la vecchia polemica con Malatesta. Ne uscivano alcune tra le più acute, stimolanti e suggestive pagine della letteratura politica italiana, che costituiscono ancor oggi uno dei documenti più alti e difficilmente superabili di riflessione sul nodo democrazia-socialismo-anarchismo. Ostile al bolscevismo, la reazione scatenata dal fascismo e il suo vittorioso avvento al potere, consolidarono in Merlino le particolari convinzioni democratiche cui era ormai approdato. Il suo impegno etico e politico si espresse, con notevoli rischi personali, nella assunzione della difesa in numerosi processi in cui erano implicati antifascisti. Assunse anche la difesa di Malatesta e Borghi nel processo di Milano del 1921, e la difesa al processo del Diana. In polemica diretta contro il fascismo e i suoi metodi, ma con interessanti implicanze teoriche più generali, scrisse gli ultimi opuscoli Fascismo e Democrazia (1924), e Politica e Magistratura (1925). Dopo di ciò, e fino alla morte avvenuta in piena età fascista, Merlino fu costretto a tacere, ma non cessò per questo la sua intransigente opposizione morale alla dittatura. Solo nel 1948 usciva postumo, a cura di Aldo Venturini, Il problema economico e politico del socialismo, scritto da Merlino intorno al 1923, opera di notevole importanza che dava gli ultimi ritocchi al suo sistema teorico e che assumeva, per le circostanze stesse della sua pubblicazione, il valore di vero e proprio testamento spirituale.
STATI DI ALLUCINAZIONE - KEN Russell
Eddie Jessup usa una camera di privazione sensoriale per studiarne gli effetti sulla psiche. Associandone gli effetti a quelli di un allucinogeno originario di una tribù nativa del Messico, arriva a scoprire gli aspetti genetici della memoria cellulare: sia la sua mente che il suo corpo cominciano a sperimentare una regressione verso l'origine ancestrale della vita. Origine che ha una triplice forma. Dapprima quella di tipo mistico-religiosa: Jessup, pur cresciuto da atei, aveva sviluppato una forma di fede in gioventù, che pur scomparsa alla morte del padre riaffiora anni dopo grazie agli esperimenti. Le visioni apocalittiche mischiano i concetti di bene e male supremi configurandosi come una sorta di inconscio religioso totalizzante, dove il rimorso e il senso di colpa per la morte del genitore si mischia con visioni apocalittiche, da cui la duplice figura di un "capro dai mille occhi martire", simbolo di salvezza e dannazione, coacervo di tutte le suggestioni religiosi possibili. Più indietro, si tocca la prima forma umana, o "proto-umana", un ominide che si risveglia nel corpo di Jessup e ne prende il controllo per un breve periodo. Il tutto per poi arrivare oltre, sino all'origine ultima (o primigenia) della vita, il vuoto cosmico da cui tutto è generato, rischiando di precipitare nel nulla assoluto che avrebbe preceduto il Big Bang. Riesce infine a scampare all’annientamento, e a tornare completamente umano, solo grazie al fortissimo legame affettivo che lo unisce alla moglie. Ken Russell non ci risparmia nulla, tra riferimenti biblico-apocalittici, anime dannate, una creatura antropomorfa crocifissa (divenuta l’immagine culto del film) e una componente body horror in linea con certe derive cronenberghiane del periodo. Colpisce anche l’idea di un viaggio a ritroso primordiale, con il suggestivo racconto dell’ominide e con la figura della scimmia che già in alcune opere fantascientifiche aveva lasciato un’impronta fondamentale: pensiamo all’approccio metafisico di “2001: Odissea Nello Spazio” o al futuro primitivo de “Il Pianeta Delle Scimmie”, quasi a voler chiudere un cerchio nel quale la ricerca di risposte sul nostro destino passa inevitabilmente da un (inconscio) ritorno al passato, attraverso lo spazio profondo. Ecco che così, “Stati Di Allucinazione” fonde il tema (neuro)scientifico con quello filosofico, catapultandoci in un mondo reale/parallelo alla ricerca di quel sé originario trattato da molti studiosi nel corso dei secoli, fino alle recenti teorie di Freud e Jung. Il regista da così vita ad un viaggio allucinante a ritroso nella coscienza, che si spinge al di là di essa in quella zona di confine tra allucinazione e realtà. Tutto inizia alla fine degli anni Cinquanta, quando un neuro-psichiatra americano, tale John Lilly, convertì una vasca per lo studio dei sommozzatori in una sorta di incubatrice della mente umana. Trasformò la vasca in uno strumento in grado di ridurre al minimo gli stimoli esterni. Originariamente la vasca permetteva allo sperimentatore di restare in una posizione verticale, ma successivamente gli studi proseguirono su una ad assetto orizzontale. La vasca era piena di acqua satura di sale di magnesio dell’acido solforico, mantenuta costantemente a temperatura corporea in modo da eliminare la sensazione tattile. Il corpo dello sperimentatore si trovava così a galleggiare in assenza di gravità in un liquido isotermico. L’assenza degli altri stimoli veniva garantita isolando la vasca da luce e rumori esterni. Stiamo parlando della così detta vasca di deprivazione sensoriale, all’interno della quale il medico conduceva i suoi soggetti che, trovandosi in uno stato di totale isolamento fisico ed emotivo, entravano in una profonda fase di rilassamento. In qualche caso dottore e paziente venivano a coincidere, perché Lilly diresse su di sé i propri esperimenti, prima affondando nella cisterna e partorendo allucinazioni, quindi assumendo regolarmente ketamina e sostanze analoghe (pare che abbia utilizzato tale farmaco per ventun giorni consecutivi, somministrandoselo in dosi di 50 mg ogni ora).
Il rosso e il nero sulle bandiere anarchiche II°
Commemorando la “settimana di sangue” Costa scriveva allusivamente nel 1882: “Gettate fiori, o Amici, sulle fosse dei caduti nel maggio del 1871. Gettate fiori rossi e fiori neri: fiori d’amore e fiori di morte”. E sotto la bandiera rossa della Comune “La plebe” aveva posto, nella commemorazione del 1883, tutto il movimento socialista fino a Bebel e a Liebknecht. Non sappiamo esattamente attraverso quali maglie dell’apparato repressivo la bandiera rossa o rossa e nera sia riuscita a riemergere e sopravvivere: certo, le associazioni che costituirono la base del Partito dei lavoratori – leghe, società operaie, cooperative, circoli – molte delle quali, com’è noto, ex repubblicane, portarono con sé bandiere rosse o rosse e nere, a seconda della loro propria storia. Le minute cronache della “Lotta di classe” sul movimento operaio e socialista in Italia sono fitte di vicende di esposizioni, di inaugurazioni, di sequestri ditali emblemi: sappiamo così che il Fascio dei lavoratori di Empoli – il più consistente gruppo toscano passato al Partito nel 1893, con i suoi 280 soci – aveva la bandiera rossa con fusciacca nera; che la bandiera rossa e nera del Fascio socialista dei lavoratori di Gravina di Puglia fu sequestrata dalla polizia per essere stata esposta durante una festa locale; che a Camerano le lavoratrici del paese donarono alla sezione Figli del lavoro una bandiera rossa con la scritta – probabilmente nera – “Proletari di tutto il mondo unitevi!”. Benché, dunque, il Partito non avesse imposto un vessillo, per rispetto dell’autonomia delle diverse associazioni aderenti, la bandiera con bordo o con fusciacca nera era ormai l’insegna che lo distingueva dai repubblicani, e lo legava alla grande tradizione internazionalista. “I poeti – notava Giovanni Rossi – gli idealisti dell’umanità in gran numero si sono raccolti sotto la bandiera rossa e nera a costituire il giovane, baldo e gentile partito socialista”. Quei colori simbolici scelse la sezione romana del Partito, nel 1893, per onorare le vittime delPrimo Maggio. Quei colori troviamo in quasi tutte le bandiere socialiste e poi comuniste della presente raccolta, indipendentemente dalle divisioni interne. Certo, il loro significato non resta immutato nel tempo: agli inizi, negli anni della repressione crispina, essi serbano l’antico significato di lotta, di volontà di resistenza. Mentre, infatti, l’articolo 434 del codice penale del 1889, che concedeva all’autorità poteri tanto vasti quanto indefiniti in materia di ordine pubblico, veniva applicato con “una sfrenata smania d’arbitrio”, secondo l’espressione di un giurista contemporaneo, anche contro le bandiere, gli inni, i simboli del movimento operaio, rivelandosi “comodo arnese di persecuzione politica”, in Sicilia le donne dei Fasci rispondevano con stendardi di fiori rossi alla proibizione delle loro bandiere. Se dunque la situazione di fine secolo può essere ben rappresentata letterariamente dalla scena pratoliniana dei funerali di Pallesi, scompigliati dalla carica della polizia a caccia di bandiere anarchiche e socialiste20, nel mutato clima politico dell’età giolittiana, con il rafforzarsi dell’organizzazione e il moltiplicarsi, almeno sul piano locale, delle affermazioni elettorali, la presenza delle bandiere rosse e nere assume il senso di un’orgogliosa, inquietante affermazione. Andò forse perdendosi, con il tempo, almeno presso i più giovani, la consapevolezza della tradizione dei loro colori, ma restò la coscienza che erano il segno antico del Partito: “C’era un distintivo, che portava anche Romita, e che avevo anch’io da ragazzino, parlo del 1919-20, quando andavo al circolo, e non c’era ancora il Partito comunista: era un distintivo così, rosso e nero” ha attestato Pietro Comollo. E anche se nell’esaltazione del dopoguerra si cantò Bandiera rossa, e si fece sui giornali solo la storia della bandiera rossa, i vessilli socialisti e comunisti portano il campo segnato di nero.