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giovedì 6 giugno 2024

LA BARRICATA

La barricata Saint-Antoine era mostruosa: alta tre piani e lunga settecento piedi, sbarrava da un estremo all’altro la vasta imboccatura del sobborgo, che è quanto a dire tre vie; scoscesa, frastagliata, dentellata, spezzettata e merlata da un immenso squarcio, puntellata da contrafforti ch’erano da soli bastioni, spingendo in fuori qua e là delle sporgenze, possentemente addossata ai due grandi promontori di case del sobborgo, sorgeva come una diga ciclopica in fondo alla terribile piazza che ha visto il 14 luglio. E di cos’era fatta quella barricata? Del crollo di tre case da sei piani, demolite appositamente, dicevan gli uni; del prodigio di tutte le collere, dicevan gli altri. Era l’improvvisazione del subbuglio. To’! Ecco una porta! Ecco un cancello! Ecco una tettoia! Ecco uno stipite! Un fornello rotto! Una pignatta incrinata! Date tutto, gettate dentro tutto! Spingete, rotolate, vangate, smantellate, sconvolgete, abbattete tutto! Vi si vedeva la collaborazione del sasso del lastrico, della pietra da taglio, della trave, della sbarra di ferro, del cencio, del vetro spezzato, della sedia spagliata, del torso di cavolo, del brandello, dello straccio e della maledizione. Vi si scorgevano, in un caos pieno di disperazione, travicelli di tetto, pezzi di parete d’abbaino tappezzati, telai di finestre con tutti i vetri, piantati nelle macerie in attesa del cannone, camini divelti, armadi, tavole e panche, una confusione urlante e quelle mille cose della indigenza che lo stesso mendicante butta via, pieni ad un tempo di furore e di nulla. Si sarebbe detto il rifiuto d’un popolo, legno, ferro, bronzo e pietra, e che il sobborgo Saint-Antoine l’avesse messo fuor dell’uscio con un colossale colpo di scopa, facendo colla propria miseria una barricata. La barricata Saint-Antoine faceva arme di tutto; quanto la guerra civile può buttare in testa alla società usciva di là; non era più una battaglia, ma un parossismo. Le carabine che difendevano quella ridotta, in mezzo alle quali si trovava qualche trombone, lanciavano frantumi di ceramica, ossicini, bottoni di giubba e perfino rotelle di tavolino da notte, proiettili pericolosi, per via del rame. Aveva una cresta spinosa di fucili, sciabole, scuri, picche, bastoni e baionette; sotto l’impeto del vento, una bandiera rossa vi si agitava. Era un mucchio di spazzatura, ed era il Sinai. Le sue caverne, le sue escrescenze, i suoi porri e le sue gibbosità facevan la smorfia, per così dire, e sogghignavano in mezzo al fumo; la mitraglia vi svaniva nell’informe e le bombe vi si sprofondavano, inghiottite, e si inabissavano; le palle di cannone riuscivano solo a bucare i suoi buchi. A che scopo cannoneggiare il caos? ( Victor Hugo, I miserabili)  

È la ‘Cariddi del sobborgo di Saint-Antoine’, con sopra un ‘omnibus allegramente issato a forza di braccia’: cumulo di informe e deforme di oggettistica borghese, interni, arredi; immane e grottesca concrezione di spazzatura, resti di cibo, strumenti di lavoro popolari, su cui le palle di cannone affondano, ingoiate e digerite.

Il momento dell’insurrezione dunque è quello in cui, tra scherzo e tragedia, l’arte popolare parigina trova il modo di convertire a nuovo uso e consumo l’intera accozzaglia di oggettistica desueta ormai resa inutile dall’industrializzazione della vita quotidiana: un ‘colossale colpo di scopa’ di rifiuti e deiezioni, eretto a protezione della propria stessa sopravvivenza e autodeterminazione.


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