Le verità della moderna versione scientifica del mondo, benché dimostrabili in formule matematiche e messe alla prova nella tecnologia, non si prestano più all’espressione normale del discorso e del pensiero. Proprio mentre queste “verità” vengono affermate in forma concettuale e coerente, le proposizioni che le esprimono non saranno «forse sprovviste di senso come quella di un “cerchio triangolare”, ma certamente molto più di quella di un “leone alato”» (Erwin Schrödinger). Non sappiamo ancora se si tratti di una situazione definitiva. Ma può darsi che noi, che siamo creature legate alla terra e abbiamo cominciato a comportarci come se l’universo fosse la nostra dimora, non riusciremo mai a comprendere, cioè a pensare e a esprimere, le cose che pure siamo capaci di fare. Sarebbe come se il nostro cervello, che costituisce la condizione fisica, materiale dei nostri pensieri, fosse incapace di seguirci in ciò che facciamo, tanto da render necessario in futuro il ricorso a macchine artificiali per produrre i nostri pensieri e le nostre parole. Se la conoscenza (nel senso moderno di knowledge, di competenza tecnica) si separasse irreparabilmente dal pensiero, allora diventeremmo esseri senza speranza, schiavi non tanto delle nostre macchine quanto della nostra competenza, creature prive di pensiero alla mercé di ogni dispositivo tecnicamente possibile, per quanto micidiale. Il motivo per cui sarebbe forse saggio diffidare del giudizio politico degli scienziati in quanto scienziati non è tanto la loro mancanza di “carattere” per non essersi rifiutati di creare le armi atomiche – o la loro ingenuità per non aver compreso che, una volta realizzate, essi sarebbero stati gli ultimi a venire consultati sul loro uso – ma il fatto che essi si muovono in un mondo in cui il linguaggio ha perduto il suo potere. (Hannah Arendt)
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