L’umanizzazione del pianeta, l’umanizzazione dell’uomo stesso, è la possibilità che abbiamo dinnanzi a noi oltre le formule della matematica finanziaria del collasso capitalista, oltre la mostruosità imposta al mondo e agli uomini da modelli di produzione che devastano i nostri territori ed espropriano gli esseri umani della loro stessa umanità. Modelli fondati sulla valorizzazione del falso, sulla mercificazione di ogni cosa, sul profitto, sul lavoro salariato, devono avere fine, o finirà ogni progetto umano.
Questa certezza realizza e incarna, i vari aspetti del movimento reale che si oppone un po’ ovunque alla non vita, alla sopraffazione, all'ingiustizia, all'arroganza, all'ineguaglianza, alla distruzione.
Il passaggio dalla speranza alla certezza, dalla coscienza alla esperienza compiutamente vissuta, dall'ignoranza alla vera conoscenza è dinnanzi a noi la transizione necessaria.
La certezza deve liberarsi da forme rivoluzionarie insufficienti trattenute ancora nelle gabbie dell'ideologia, la certezza di una vita vissuta interamente e compiutamente determinerà il naturale sovvertimento dello stato di cose esistente.
Saremo consapevoli sempre di più di nuovi principi traendoli dai principi stessi del mondo. Lotte di uomini hanno strappato ai sistemi di potere il segreto di un mondo finalmente possibile, hanno fatto propria la coscienza di una speranza il sogno di una cosa. Si tratta oggi di infrangere l’ultimo diaframma, di fare proprio il mondo stesso di prendere finalmente possesso della nostra vita.
Noi non temiamo le rovine, erediteremo la terra, questo è certo. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi illuminato dal fuoco che è in ciascuno di noi e questo fuoco ogni momento che passa cresce.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 26 luglio 2012
Avete mai provato una volta il desiderio di arrivare in ritardo?
Il carattere principale della nostra epoca è l’alta velocità che hanno assunto le merci, siano esse prodotti industriali, informazioni o essere umani ridotti alla condizione di lavoratori-consumatori. Le reti telematiche, telefoniche e satellitari, le rotte del traffico aereo, automobilistico, ferroviario e marittimo stanno ingabbiando in modo sempre più accelerato la quasi totalità dello spazio e del tempo e con essi i sogni e i bisogni degli uomini: sembra non esserci più via di uscita, un altrove, in un mondo ovunque uguale a se stesso.
Per cambiare questo mondo occorre costruire assieme la pratica del rifiuto unilaterale dell’esistenza imposta dal capitalismo globale, attraverso l’autogestione delle proprie vite e l’autoproduzione singola e collettiva di quanto ci chiedono necessità e desideri, passando per l’autocostruzione dei luoghi in cui vogliamo vivere e dei modi in cui vogliamo interagire. Abbandonare il proprio posto nella catena ciclica del consumo di oggetti, spettacoli, per inventare nuovi modi di produzione e distribuzione, di autogestione dei luoghi in cui si abita attraverso decisioni minime, locali e condivise, sperimentare ognuno nei propri mondi arti e mestieri, quello di vivere liberi. Le nostre accademie e laboratori saranno palazzi e orti, boschi e acque. Anche se narcotizzata nella drogheria mediatica, un’insofferenza al modello di vita imposto e propagandato come democratico insorge nei modi più disparati, dappertutto: si aprono brecce, scoppiano ire, sfoghi di violenza ma anche sommosse, rivoluzioni, senza obiettivi né palazzi d’inverno. Sarà dura e toccherà a ciascuno, con le sue ragioni e la sua sensibilità, rendere questa avventura appassionante.
Per cambiare questo mondo occorre costruire assieme la pratica del rifiuto unilaterale dell’esistenza imposta dal capitalismo globale, attraverso l’autogestione delle proprie vite e l’autoproduzione singola e collettiva di quanto ci chiedono necessità e desideri, passando per l’autocostruzione dei luoghi in cui vogliamo vivere e dei modi in cui vogliamo interagire. Abbandonare il proprio posto nella catena ciclica del consumo di oggetti, spettacoli, per inventare nuovi modi di produzione e distribuzione, di autogestione dei luoghi in cui si abita attraverso decisioni minime, locali e condivise, sperimentare ognuno nei propri mondi arti e mestieri, quello di vivere liberi. Le nostre accademie e laboratori saranno palazzi e orti, boschi e acque. Anche se narcotizzata nella drogheria mediatica, un’insofferenza al modello di vita imposto e propagandato come democratico insorge nei modi più disparati, dappertutto: si aprono brecce, scoppiano ire, sfoghi di violenza ma anche sommosse, rivoluzioni, senza obiettivi né palazzi d’inverno. Sarà dura e toccherà a ciascuno, con le sue ragioni e la sua sensibilità, rendere questa avventura appassionante.
LE FINESTRE - Constantinos Kavafis
In queste buie stanze dove passo
giornate soffocanti, io brancolo
in cerca di finestre. - Una se ne aprisse,
a mia consolazione - . Ma non ci sono finestre
o sarò io che non le so trovare.
Meglio così, forse. Può darsi
che la luce mi porti altro tormento.
E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero.
giornate soffocanti, io brancolo
in cerca di finestre. - Una se ne aprisse,
a mia consolazione - . Ma non ci sono finestre
o sarò io che non le so trovare.
Meglio così, forse. Può darsi
che la luce mi porti altro tormento.
E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero.
giovedì 19 luglio 2012
La nostra irresponsabile follia consiste nell’attaccare il concetto di malattia
La religione si fonda sul riconoscimento che il corpo è infetto, malato, per cui necessita una cura-soluzione, cioè il sacrificio di ciò che è ritenuto causa della malattia, cioè la vita. Da qui la grande soluzione-rivelazione: vivere nella soppressione-espiazione continua rivolti contro la vita ed avere in cambio la salvezza. L’ideologia, la quale si fonda su ragioni superficiali ed esterne all’uomo, si presenta anch’essa come una soluzione-cura alla malattia di cui soffrono gli uomini (i famosi mali sociali). Essa riconosce che il corpo e la vita degli uomini sono malati, che c’è bisogno di cure, ed in questa prospettiva emerge la funzione del sacrificio. La scienza, venuta anch’essa a salvare l’uomo e il mondo dalle loro malattie, concepisce la vita e il vivere come un male da cui curarsi. Ne derivano altri mali, che nascono attraverso la cura, il progresso, la cura della natura. L’uomo e tutto il suo sviluppo non sono stati altro che decorsi di una più grande malattia: la soppressione della vita. La volontà di potenza è quindi intesa come rivolta degli uomini che, immaginandosi sani, vogliono vivere, liberati dalla grande ossessione di immaginarsi malati. La malattia è il non vivere, la cura è la soppressione della vita. La libertà parte dal riconoscersi sani, vivi, carichi di desideri da realizzare come godimento. Anche la democrazia presenta un aspetto molto comune: la malattia generalizzata fra gli uomini i quali si sentono rassicurati dal fatto che il vivere malati è di tutti. Nessuno gode, tutti si curano come meglio credono contro la vita. Tale è l’idea della democrazia: illudere gli uomini sulla impossibilità di godere, come condizione comune a tutti.
Siamo circondati da un mondo di "igienisti" del corpo e della mente. Sulle loro ragioni si sono costruite tutte le allucinanti prospettive degli uomini, volti permanentemente verso un compito di controllo e repressione della vita.
La nostra irresponsabile "follia" consiste nell’attaccare il concetto di "malattia" e, con questo, il concetto conseguente di "cura". E’ facendo perno su questa follia che possiamo veramente attaccare alla radice tutte le ragioni che sostengono il vecchio mondo, in quanto si rovesciano così tutte le prospettive dell’epoca attuale, basate sull’intenzione di mobilitare gli uomini contro se stessi, quindi di mantenere la dominazione come servitù volontaria.
Bruciare tutte le prospettive di un mondo forgiato sulle catene del sapere come potere sugli altri, significa avere messo a nudo le ragioni del dominio fra gli uomini, le quali si presentano sempre come ricerca di una soluzione per curare il mondo dei suoi mali. L’autoliberazione gioiosa di ciascuno e di tutti non può che forgiarsi sulla liberazione-realizzazione dei desideri individuali.
NON HO COMPLICI
In seguito alla rivolta contadina di Jerez de la Frontera (1892), quattro anarchici furono giustiziati il 10 febbraio 1893. Il 24 settembre dello stesso anno Paulino Pallas lanciava una bomba contro il generale Martinez Campos a Barcellona e l’8 novembre Santiago Salvador lanciava altre bombe al Teatro del Liceo a Barcellona. Entrambi gli attentatori furono condannati a morte: e leggi eccezionali per la repressione dell’anarchia furono promulgate subito dopo. Il 7 giugno 1896 attentato dinamitardo sempre a Barcellona, al passaggio della processione del Corpus Domini: una strage. Non si scoprirono i responsabili e si diffuse il sospetto di una provocazione. Centinaia gli arresti. Durante la repressione, gestita dalle autorità militari, si applicarono metodi di tortura per ottenere rivelazioni e confessioni. Dopo un grosso processo celebrato a Montjuich, nel maggio del 1897, mentre in Europa si susseguivano manifestazioni della sinistra democratica contro la nuova Inquisizione in Spagna, cinque anarchici furono garrottati.
Su questo stato di cose prende piede l’attentato di Michele Angiolillo contro il Presidente del Consiglio spagnolo Cànovas del Castillo: un autentico atto punitivo, consapevole e responsabile.
L’attentatore ha fatto l’operaio tipografo ma è per mentalità un intellettuale anarchico. Dopo un processo per reato di stampa nel 1895, Angiolillo prende la via dell’esilio in Francia, in Belgio, a Londra.
“Non ho complici. Voi cerchereste invano un essere umano al quale io abbia partecipato il mio progetto. Io non ne ho parlato ad anima viva. Io ho concepito, preparato, eseguito l’uccisione del signor Cànovas assolutamente da solo. Signori, voi non avete davanti un assassino ma un giustiziere; Cànovas del Castillo personificava, in ciò che hanno di più ripugnante, la ferocia religiosa, la crudeltà militare, l’implacabilità della magistratura, la tirannia del potere, la cupidigia delle classi possidenti. Io ne ho sbarazzato la Spagna, l’Europa, il mondo intero.”
20th CENTURY MAN – The Kinks
Non ho ambizioni, non ho illusioni
Sono un uomo del XX secolo, ma non ci sono neanche qui
Mia madre dice di non comprendermi
Non riesce capire le mie ragioni
Datemi solo un po’ di sicurezza
Sono solo un puro prodotto schizofrenico del XX secolo
Sono nato in uno stato di assistiti, retto dai burocrati
Controllato dall’amministrazione e dagli abiti grigi
Senza libertà né vita privata
La gente del XX secolo
Mi ha praticamente preso tutto
mercoledì 11 luglio 2012
Il rifiuto dei ruoli
Non c’è piacere totale se non si diviene ciò che si è, realizzandosi come uomini ricchi di desideri e di passioni. Al contrario, le relazioni sociali, organizzate nello spettacolo della vita quotidiana, impongono a ciascuno di conformarsi a una serie di apparenze e di comportamenti inautentici e incitano a identificarsi ad immagini e ad assumere dei ruoli.
I ruoli sono la miseria falsamente vissuta che compensa la miseria vissuta realmente. I ruoli (di capo, di subordinato, di padre o di madre di famiglia, di bambino obbediente o disobbediente, di contestatore, di conformista, di ideologo, di seduttore, d’uomo di prestigio, di teorico, di attivista, di pedante colto, ecc.) obbediscono, nella loro totalità, alla legge di accumulazione e di riproduzione delle immagini, all’interno dell’organizzazione spettacolare della merce. Nello stesso tempo, essi dissimulano e mantengono l’impotenza reale degli individui a cambiare la loro vita quotidiana, a renderla appassionante, a viverla come un insieme di passioni armonizzate.
Il rifiuto dei ruoli passa per il rifiuto delle condizioni dominanti.
Non si tratta quindi di cambiare il ruolo che ci incatena, ma di liquidare il sistema che costringe ciascuno a dare una rappresentazione di se stesso contraria alla propria volontà. La lotta rivoluzionaria è la lotta per una vita autenticamente vissuta.
Lottiamo per il diritto alla autenticità, per farla finita, una volta per tutte, con le simulazioni e le menzogne imposte dalla sopravvivenza, per il diritto di ciascuno di poter affermare la propria specificità, senza essere da altri giudicato e condannato; al contrario a tutti sarà permesso di dare libero corso ai propri desideri e alle proprie passioni, per quanto singolari esse siano.
L'intelligenza sensuale
Non c'è costrizione per quanto futile che non susciti il timore di vivere, di esistere gratuitamente. Qui inizia il tirocinio del bambino.
La pedagogia delle menzogne, delle prove, delle vessazioni, non ha acuito il nostro sapere, la nostra intelligenza? Fuori dalla esperienza sensuale dove ciascuno si istruisce da se, quale altro sapere conoscete voi che non abbia inculcato il tono minatorio, l'obbligo, il ricatto al merito, all'interesse, al futuro, al prestigio? Quanti testi imparati a memoria, regole ripetute faticosamente, cronologie e teoremi impregnati di dissumulate incitazioni all'obbedienza, al comando, al rispetto e al disprezzo! Che bel sapere e che bello spirito pagati al prezzo di amare chi ben castiga.
Quello che mi è stato insegnato con le minacce mi resterà sempre ostile.
Il desiderio represso si irradia di terrore, ha l'espressione dello sgomento davanti alla vita, allo slancio della voluttà, alla passione che sorge dal ventre come dalla profondità della terra, dal mare, dalle foreste.
L'educazione ai godimenti invertiti garantisce la servitù dei popoli come e meglio di una legione di assassini in divisa con i passamontagna.
Ovunque avanzi il potere, agisca il prestigio, si affermi l'autorità, si spande il tanfo della decomposizione.
La società fondata sullo sfruttamento della vita trae le sue risorse dalla paura che le è immanente.
L'intelligenza sensuale creerà la società senza classi, la società della gratuità. L'intelligenza sensuale da forma alla fine definitiva del lavoro e delle sue separazioni.
NO ONE IS THERE - Nico
va attraversando
lo spazio oltre lo schermo della finestra.
Il demonio danza la sua scena
in una parodia di crocifissione,
il demonio danza la sua scena,
lancia richiami e getta
le braccia al cielo.
Nessuno è la.
Tutti sono assenti,
mentre il gioco va ad iniziare,
qualcuno chiama.
Altri sono tristi.
Altri lo chiamano pazzo.
Nessuno:
e nessun rumore
ha dichiarato la propria assenza.
giovedì 5 luglio 2012
La violenza nella società informatizzata
Mentre gli scenari politici e socio culturali nei paesi economicamente più avanzati si fanno sempre più inquietanti, di fronte all’apparire di un nuovo totalitarismo si verifica l’emergere di forme di violenza anonima, cioè priva di segno politico, forme che vengono a caratterizzare l’evolversi delle società tecnologicamente più avanzate. Si tratta di una violenza che si manifesta tanto a livello di massa che singolarmente, sotto forma di atti che mancano di senso immediatamente logico, oppure appaiono del tutto gratuiti o privi di scopo. Questi atti vanno dal ludico saccheggio di massa realizzato da chi spontaneamente si appropria della merce dei grandi magazzini in occasione di un improvviso blackout (vedi New York); alle improvvise rivolte che scoppiano nei ghetti in modo puramente accidentale (vedi Londra, Liverpool, Parigi ecc.), fino all’esplosione di improvvisi raptus di individui isolati che si divertono senza motivo apparente nell’uccidere persone che nemmeno conoscono.
Simili forme di violenza nichilista sono il prodotto della modificazione dei rapporti sociali da cui deriva un profondo snaturamento dei valori costituiti. Ciò libera negli individui i freni inibitori-moralistici e attutisce in loro la razionalità umanistica, spingendoli a compiere atti che nessuna persona ritenuta "civile" si sognerebbe di fare.
Vi è in tutta questa violenza priva di senso e gratuita un profondo desiderio-bisogno di autovalorizzazione e di affermazione di sé da parte di coloro che cercano, sia pure per pochi istanti, di rompere con la propria monotona vita quotidiana. Ciò denuncia la sopravvivenza come sistema di morte sociale, sistema che ha ridotto tutto il vivere e il viversi fra gli individui ad un puro consumo di merci, impoverendoli e disumanizzandoli in tutti i sensi. Nel vissuto di privazioni e costruzioni, la vita appare quindi come una continua negazione di se stessa.
LA BANDA BONNOT - Un giro in banca
Raymond, distribuisce a tutti i soci del cianuro fornito da David. Meglio crepare che farsi prendere. Niente feriti, niente prigionieri. O cadaveri o uomini liberi, non c’è via di mezzo.
Alle dieci e mezza la Dion-Bouton si ferma in pieno centro di Chantilly, in place de l’Hospice de Condé, all’incrocio di rue de Creil, rue de Paris e rue de Connétable, di fronte alla succursale della Société Générale.
Octave salta giù come un diavolo, il revolver in pugno. Raymond, Valet, Monnier lo seguono Jules, imperturbabile, estrae una rivoltella, ma resta al volante. La banda entra nella banca.
Gli impiegati tentano di reagire. Partono proiettili come al tirasegno. Roger Guilbert, sedici anni, aiuto contabile, si è lasciato cadere a terra dietro lo scrittoio e tenta di strisciare verso una porta: ferito alla spalla. Trinquet, il cassiere affronta Octave: riceve una proiettile in piena fronte. Raymond Legendre, diciassette anni, è colpito alla tempia e al cuore. Un quarto, Courbe, che era entrato nella banca contemporaneamente agli anarchici, ha il tempo di chiudere la porta e fuggire sotto le raffiche.
Fuori la folla si accalca al rumore degli spari.
Soundy prende una Winchester accanto a lui, scende dalla macchina e va ad appostarsi di corsa in mezzo alla piazza tenendo a bada la folla.
Octave salta oltre lo scrittoio e infila alla rinfusa un sacco di pacchetti di biglietti e di rotoli d’oro che fa cadere dalla cassa e che porta via dalla cassaforte aperta. Dà il tutto a Valet. Raymond è l’ultimo ad uscire dalla banca. Soundy copre fino all’ultimo la loro ritirata. Raymond, Octave e Monnier si riparano all’interno dell’auto. Valet salta sul predellino e spara a caso sulla folla. Jules mette la prima marcia. Soudy si lancia a sua volta ma manca il predellino. Octave sporge il braccio, lo afferra di precisione e lo tira all’interno dove cade svenuto. Valet ha già scaricato tre browning. Raymond spara ancora su un carrettiere che pretende di mettere il suo carretto di traverso nella strada. Jules affronta a tutta birra l’avenue de la Gare; imbocca su due ruote la curva dell’avenue de la Morlaye e punta su Parigi a tutta velocità.
LA RABBIA GIOVANE di Terrence Malick
L'insoddisfatto venticinquenne Kit Carruthers si atteggia a James Dean ma deve adattarsi ai lavori più sgradevoli (spazzino, manovale in un macello), inizia una relazione con la quindicenne Holly affascinato dal suo sguardo innocente sulla realtà. Il padre di lei esprime tutta la propria disapprovazione per questo sconveniente rapporto prima uccidendo il cane della figlia adolescente, poi affrontando direttamente Kit: il ragazzo, senza alcuna esitazione, lo uccide in presenza di Holly, che accoglie con totale indifferenza la morte dell'unico genitore.
In un primo momento i due provano a vivere in solitudine, in mezzo alla natura selvatica, ma l'idillio ha breve durata, quando vengono scoperti dalla polizia iniziano una fuga per le praterie di South Dakota e Montana, durante la quale Kit lascia dietro di sé una scia di sangue, uccidendo con totale distacco emotivo chiunque sembri rappresentare una minaccia. Holly assiste agli omicidi con un misto di sbigottimento e indifferenza; Kit, per conto suo, uccide senza odio.
Quando Holly decide di non seguirlo più in quella che aveva affrontato come una romantica avventura per poi scoprire una realtà ben diversa, Kit continua la fuga da solo, ma presto si lascia catturare, senza neppure tentare di superare il confine con il Canada. Lui viene condannato a morte, lei dopo aver scontato una pena leggera sposa il figlio del proprio avvocato.
Il regista racconta con maestria questa vicenda giocando molto sui campi lunghi e facendo del paesaggio una componente irrinunciabile della vicenda: il fiume, la foresta, la prateria, il deserto sono parte essenziale della vicenda narrata e ci dicono della volontà dei giovani di fuggire, di vivere liberi il loro amore, lontano dalla civiltà. La fotografia è impeccabile e giocata su un abile uso della luce naturale che pervade gli spazi. Molto poetiche le immagini dei tramonti negli spazi aperti.
La rabbia giovane traccia così un quadro apocalittico e individua l’unica via di fuga possibile fuori dalla civiltà occidentale e dalla sua necrosi luminosa.
Come in tutti i film di Malick è proprio l’ambiente naturale a farla da padrone quale ineluttabile contro altare al procedere narrativo dei protagonisti, coinvolti volenti o nolenti in un viaggio interiore che è anche, e soprattutto, un viaggio fisico verso una meta imprecisata, vagheggiata, eterea.
Si configura, così, La rabbia giovane, come un road movie atipico per le badlands americane verso la non-meta, il nord; il viaggio come simbolo di ribellione, come ineluttabile spinta verso l’oltre, alla ricerca di una esistenza, della vita e della morte. Lo spazio cinematografico costruito da Malick trascende nella e attraverso la sua fisicità, delineandosi in un vasto mondo vuoto, assurdo, spettatore apparentemente immobile delle vicende dei suoi abitanti, altrettanto assurde comparse di un gioco senza fine, senza limite, spirale crudele entro cui finiscono i due protagonisti, senza poi, alla fine farvi più ritorno.
L’uso della voce off di Holly, che racconta la storia leggendo passi del suo diario, tende ad avvolgere gli eventi di un alone favolistico e permette al regista di giocare con i cliché di quella cultura americana che descrive la provincia come un paradiso perduto che rifiuterebbe la violenza. L’ironia, il surrealismo sottotono, l’assoluta mancanza di retorica ne fanno uno dei film più insoliti e preziosi del cinema americano.
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