Secondo quando precisato da Junger, quando tutte le istituzioni sono corrotte o intrinsecamente false, allora la responsibilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che non si è ancora piegato e che ritira il proprio consenso all'ordinamento ribellandosi individualmente. Né è possibile, per il Trattato del ribelle, fare affidamento su partiti, organizzazioni e movimenti strutturati, secondo il modello marxiano della rivoluzione. Nella misura in cui la sovranità oggi non si riscontra più nelle grandi risoluzioni, tutte ugualmente destinate a fallire o a rifluire nei canali istituzionali, occorre riconoscere, tutt'al più, uno spazio di azione per piccoli élites, per gruppi ristretti di singoli individui che passano alla macchia.
Diversamente dalla disobbedienza, la ribellione fa valere un dissenso che è totale, poiché coinvolge l'ordine costituito nella sua interezza. A differenza della rivoluzione, però, resta appannaggio di singoli ribelli fuggiti nel bosco e non intenzionati a fare ritorno nella polis per riconfigurala alternativamente. Rispetto alla rivoluzione, la ribellione presenta, allora, il vantaggio di mantenere sempre vivo il dissenso, senza mai produrre la ricaduta nel pratico-inerte, nella cristallizzazione della prassi contestativa in oggettività indisponibile per l'agire umano.
E, tuttavia, la ribellione si distingue in negativo dall'agire rivoluzionario per la sua strutturale debolezza, legata al suo individualismo programmatico e, dunque, alla mancata possibilità di creare, gramscianamente, un'egemonia e, con essa, un progetto politico in grado di dare forma ad una città di futura.
Il dissenso della ribellione resta sempre attivo e, insieme, incapace di dare vita ad un potere costituente: la sua forma è necessariamente quella del cattivo infinito.
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