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giovedì 5 ottobre 2017

Discontinuità tra le società senza Stato e quelle fondate sullo Stato

Non si può realizzare il desiderio di comandare senza il correlato desiderio di obbedire. Noi diciamo che le società primitive, in quanto società indivise, impediscono al desiderio di potere e a quello di sottomissione di realizzarsi: sono macchine sociali, rette dalla volontà di permanere nel proprio essere indiviso, che si istituiscono come luoghi di repressione dei cattivi desideri. Ai quali non viene lasciata alcuna possibilità. I selvaggi non ne vogliono sapere.

Non si può non sottolineare come incida la consuetudine nel consolidare l'atteggiamento servile,  come da un iniziale snaturamento si transiti ad una nuova identità, come dalla libertà si passi ad un dominio costante del  uomo sull'uomo. In sostanza, per comprendere bene queste dinamiche per coglierne la vera portata, è necessario rinunciare ad assumere una concezione evoluzionista della storia, riconoscendo chiaramente la radicale rottura che avviene nel passaggio dalle società primitive a quelle cosiddette civile ed evolute. Questa rottura profonda e drammatica separa le società in cui i capi sono senza potere dalle società in cui la relazione di potere è costitutiva delle varie comunità, introduce cioè una discontinuità netta tra le società senza Stato e quelle fondate sullo Stato.

Il rifiuto di una obbedienza non è affatto, come credevano missionari ed esploratori, un tratto del carattere selvaggio, ma l'effetto  a livello dei singoli individui dei meccanismi sociali, il risultato di un'azione e di una decisione collettiva.

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