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giovedì 29 marzo 2018

Il 68 … Febbraio 1968 cinquant’anni fa (capitolo XIII)

01 – Tentata occupazione di Palazzo Campana a Torino. Manifestazioni di studenti medi a Torino, Milano, in Toscana. Devoto, rettore dimissionario di Firenze si incontra con il ministro Gui.
02 – La rivolta arriva all’università di Roma, la più affollata d’Italia. Occupate Lettere, Architettura e un aula dell’Istituto d’Igiene. Epidemia di meningite nel sud. I casi sono 128 in gran parte bambini, in Sicilia si diffonde soprattutto fra i terremotati. A Roma dopo le lotte al Centro Sperimentale di cinematografia, gli studenti ottengono le dimissioni del commissario straordinario Nicola De Pirro sostituito da Roberto Rossellini.
03- Occupata a Roma anche Magistero e Fisica. A Torino la polizia sgombra Fisica. Le principali altre università occupate sono Firenze,  Trento Sociologia e Trieste.
04  Il prefetto di Firenze dichiara che gli incidenti del 30 furono provocati da equivoci. Il giorno prima una manifestazione di universitari e medi aveva chiesto le sue dimissioni.
05 – Convegno delle commissioni d’agitazione delle università in lotta a Trento. A Roma il rettore D’Avack minaccia l’intervento della polizia. Occupata a Napoli architettura.
06- In risposta alle minacce del rettore, gli studenti romani occupano anche Giurisprudenza, Scienze Politiche e Statistica; solidarietà dell’Associazione dei professori incaricati e di 68 docenti di Fisica. S’aggrava l’epidemia di meningite, i morti sono 10. Casi anche a Roma e Torino, ma l’emergenza continua ad essere tra i terremotati siciliani.
07 – A Torino il rettore riconosce l’assemblea come organismo rappresentativo degli studenti. Occupata a Roma Economia e Commercio.
08 – Occupate a Napoli tutte le facoltà. 
09 – Le confederazioni sindacali firmano un programma comune sui temi della programmazione, dell’occupazione e della riforma delle pensioni.
10 – Una riunione dei docenti romani vota a maggioranza una durissima mozione, condivisa dal senato accademico, in cui si chiede l’immediata fine delle occupazioni. La procura di Firenze sequestra La morte ha fatto l’uovo di Questi e Trans Europe Express di Robbe Grillet. Il primo assolto in istruttoria, il secondo dissequestrato dopo alcuni tagli.
11 – Gui invita i rettori a riportare la legalità negli atenei e definisce inammissibili le occupazioni
12- Il rettore intima lo sgombro di Lettere a Roma per l’inizio degli esami; gli studenti propongono esami nelle facoltà occupate. Denunciati 18 studenti per l’occupazione del primo febbraio a Torino.
13 – A Roma il rettore rimette ogni decisione alla magistratura. A Pisa il professore Boielli schiaffeggia lo studente Pompeo Rocco, mentre il preside di Lettere minaccia la sospensione dell’anno.
14 – Il senato accademico di Roma non accetta gli esami nelle facoltà occupate. A Pisa, dove 71 studenti sono stati denunciati, occupata simbolicamente l’Aula Magna della Sapienza.
15 – Una bomba rudimentale fatta esplodere dai fascisti a Palazzo Campana, riaperto dal giorno 13.
16 – Cento docenti di tutta Italia reclamano l’intervento della polizia per riportare l’ordine nelle università. A Firenze il movimento partecipa alla manifestazione cittadina contro la guerra nel Vietnam.
17 – Scontri a Milano durante la manifestazione del PCI contro l’imperialismo. A Perugia i fascisti attaccano l’università occupata.
18 – Una manifestazione contro la guerra nel Vietnam circonda a Roma l’ambasciata USA. Due arresti decine di fermi.
19 – A Palazzo Campana riprende l’interruzione sistematica delle lezioni. A Roma tre studenti di Architettura occupano per 36 ore la cupola di Sant’Ivo alla Sapienza.
20 – Sospesi gli esami a Palazzo Campana. 
21 – Il movimento romano non partecipa ad una manifestazione studentesca indetta dai partiti. A Palazzo Campana riprendono gli esami. A Pisa la polizia sgombra la Sapienza, occupata il giorno prima.
22 – In mattinata a Roma occupata Lettere, non ancora riaperta dopo la fine dell’occupazione. Nel pomeriggio la polizia sgombra la facoltà e presidia la città universitaria.
23 – Al termine di una manifestazione gli studenti romani sfondano i cordoni della polizia e occupano Lettere, Fisica e Scienze Politiche. Le università in lotta sono 27, in molte facoltà occupate si organizzano contro corsi.
25 – A Roma, cominciano a Lettere i contro corsi, i temi principali sono: le guardie rosse cinesi, il black power, i movimenti giovanili in Europa, il rapporto fra autoritarismo e repressione sessuale.
26 – Nuove occupazioni a Padova e Trieste. A Roma entrano in lotta gli studenti medi con una serie di assemblee.
27 – Panini imbottiti di spilli inviati dai fascisti agli studenti che occupano Lettere a Roma. A Torino la polizia sgombra Architettura, occupata dal giorno 24.
28 – Un attacco fascista è respinto dagli occupanti di Lettere a Roma. A Torino rioccupata Architettura. Occupazione di tre facoltà anche a Milano. Il rettore chiude l’università di Trieste.
29 – Un nuovo attacco fascista fornisce il pretesto per sgombrare l’università di Roma. La polizia disperde anche il corteo di protesta organizzato dopo lo sgombero. A Torino è di nuovo occupato Palazzo Campana. 

LA STORIA DELL'ALF

Molto prima che nascesse l'ALF, le persone combattevano già la schiavitù animale attraverso l'azione diretta. Nei primi anni '60, in Inghilterra, un gruppo nominato Associazione Sabotatori della Caccia (HSA) si impegnò nella pratica del disturbo venatorio tramite richiami ingannevoli atti a confondere i cacciatori e trarre gli animali in salvo. La HSA inglese è tutt'ora attiva nel sabotaggio di quanti considerano uno “sport” l'assassinio deliberato di animali.
Nel 1972 un gruppo di sabotatori della caccia decise che era tempo di impegnarsi in un attivismo più militante in difesa degli animali, e così nacque la Band of Mercy. La Banda della Compassione iniziò a distruggere le armi usate dai cacciatori e a sabotare le loro automobili, bucando loro le gomme e spaccando i finestrini. Il gruppo allargò il proprio orizzonte d'azione con una serie di incendi a danno di aziende farmaceutiche e imbarcazioni per la caccia alla foca.
Nel 1975, due membri della Band of Mercy, Ronnie Lee e Cliff Goodman, vennero arrestati durante un tentativo di irruzione in un laboratorio di vivisezione. Dopo l'arresto, il supporto all'azione diretta aumentò esponenzialmente e, nel 1976, il Fronte di Liberazione Animale vedeva la luce. Da allora, decine di migliaia di animali sono stati salvati e centinaia di milioni di dollari di danni sono il prezzo che gli sfruttatori di animali hanno dovuto pagare. È stato stimato che la media di azioni in Gran Bretagna è 75 ogni settimana, e vanno dalle irruzioni nei laboratori alla distruzione delle vetrine delle pelliccerie.
La prima azione rivendicata negli Stati Uniti risale al maggio del 1977, quando due delfini vennero liberati da un laboratorio marino nelle Hawaii. Nel 1993, il Dipartimento Americano di Giustizia e dell'Agricoltura ha rivelato che tra il 1977 e il giugno del '93 sono state documentate 313 azioni contro la proprietà a danno di ricercatori medici, pellicciai e produttori di carne. Il 60% di queste azioni vede la rivendicazione dell'ALF. Se 313 sembra un numero piccolo è dovuto al fatto che molti gruppi non rivendicano le proprie azioni ed un numero ancora maggiore di sfruttatori non denuncia per evitare una cattiva pubblicità.
Oggi l'ALF è attivo in almeno 11 Paesi e cresce di giorno in giorno. Ogni anno nascono nuove cellule a rivendicare azioni spettacolari in tutto il mondo. In nessuna delle migliaia di azioni ad oggi realizzate dall'ALF è mai stato ferito o ucciso un solo individuo, umano o non umano.

Il Comunalismo di di Murray Bookchin

Mentre entriamo nel ventunesimo secolo, i radicali sociali hanno bisogno di un socialismo – libertario e rivoluzionario – che non sia né un prolungamento dell’«associazionismo», di tipo contadino e artigianale, che troviamo al centro dell’anarchismo, né l’«operaiolatria» che troviamo al centro del sindacalismo rivoluzionario e del marxismo. Tentare di rianimare il marxismo, l’anarchismo o il sindacalismo rivoluzionario, dotandoli di un’immortalità ideologica, sarebbe un ostacolo allo sviluppo di un importante movimento radicale. È mia opinione che il comunalismo sia la categoria politica generale più adatta a comprendere pienamente una visione ben ponderata e sistematica dell’ecologia sociale. Come ideologia, il comunalismo attinge alla migliore tradizione delle vecchie ideologie di sinistra –marxismo e anarchismo o, più propriamente, la tradizione socialista libertaria – offrendone una visione più vasta e rimarchevole per il nostro tempo. La scelta del termine comunalismo per affrontare le componenti filosofiche, storiche, politiche e organizzative di un socialismo per il ventunesimo secolo non è avventata. Il termine trae origine dalla Comune di Parigi del 1871, quando nella capitale francese il popolo armato salì sulle barricate non solo per difendere il consiglio comunale di Parigi e le sue sotto strutture amministrative, ma anche per creare una confederazione nazionale di città e paesi, in sostituzione dello Stato-nazione repubblicano. Il comunalismo, come ideologia, non è contaminato dall’individualismo e dall’antirazionalismo, spesso esplicito nell’anarchismo; né porta il peso dell’autoritarismo marxista esplicitato nel bolscevismo. Esso non si concentra sulla fabbrica come suo principale campo sociale o sul proletariato industriale come suo principale agente storico e non riduce le libere comunità del futuro in comunità irreali di stampo medievale. Certamente oggi il pensiero filosofico e sociale deve confrontarsi con l’irreversibile degrado ambientale prodotto da un capitalismo senza freni: un fatto evidente di cui la scienza ci parla da più di cinquanta anni, mentre i progressi della tecnica cercano solo di mascherarlo. Ogni vantaggio che ci hanno portato l’industrializzazione e il capitalismo, ogni miglioramento nella scienza, nella salute, nella comunicazione e nel benessere getta ormai la stessa ombra letale. Il capitalismo si fonda per definizione sulla crescita; «per il capitalismo desistere dalla sua crescita insensata significherebbe commettere un suicidio sociale». Evidentemente abbiamo semplicemente preso il cancro come modello del nostro sistema sociale. L’imperativo capitalista di «crescere o morire» si scontra radicalmente con gli imperativi ecologici dell’interdipendenza e della sussistenza. Queste due visioni non possono più coesistere tra loro, né potrà sopravvivere una società fondata sul mito di questa coesistenza impossibile. O sapremo realizzare una società ecologica o non ci sarà più una società per nessuno, indipendentemente dal suo status.

giovedì 22 marzo 2018

Il ’68 … 01 marzo 1968 Valle Giulia (capitolo XII)

Per gli studenti l’appuntamento era alle 10 a piazza di Spagna. Sono circa 4000. Poi lungo la strada se ne aggiungono altri, molti sono liceali. Adesso il corteo compatto occupa tutta la via Flaminia per una lunghezza di 200 metri. Camminano in lunghe file, si tengono uniti sotto braccio. «Che cosa volete fare? Volete occupare architettura?», chiediamo a quelli della prima fila. «Non si sa, vedremo». Non hanno un piano preciso, e in ogni caso non si sono preparati ad una battaglia. Cercano soprattutto una sede dove riunirsi, dove tenere la loro assemblea, perché il loro problema, ormai da parecchi giorni, è quello dell’assemblea. Le tradizionali associazioni studentesche controllano molto poco il movimento o non lo controllano affatto.
Le iniziative vengono prese dai comitati di agitazione, eletti quasi giorno per giorno; ma chi decide, chi imprime al movimento la sua spinta quotidiana è l’assemblea generale e uno dei problemi che ogni giorno si ripresenta è appunto quello di dove riunirsi, di dove discutere e di dove deliberare. Non vogliono subire l’ipoteca d’un partito, sebbene siano molti i partiti che vorrebbero governare il movimento. Il corteo gira per viale delle Belle Arti, sale per via Bruno Buozzi. Gli studenti marciano composti, tra polizia e fotoreporter. “Potere
studentesco”, “Via la polizia dalle università”: i cartelli sono pochi, il loro significato è ormai comprensibile a tutti. Alcuni giovani fascisti delle organizzazioni di destra, Primula e Caravella, tentano d’unirsi a loro ma vengono respinti. Intanto sono comparsi per la prima volta gli studenti con la fascia verde al braccio, che hanno appunto il compito di isolare i provocatori e mantenere l’ordine nella manifestazione. Il corteo imbocca via Gramsci e si ferma di fronte alla scalinata che sale alla facoltà. Sopra, disposti in più file, gli agenti della Celere con l’elmetto in testa e il manganello in mano. I due schieramenti si fronteggiano in silenzio per qualche secondo, immobili. Poi, dalla massa degli studenti, cominciano a partire le prime invettive e i primi lanci di uova. Dall’alto della scalinata lo schieramento di polizia si muove, di corsa, a passo di carica, lo scontro è cominciato e in pochi minuti diventa una battaglia. La battaglia durerà più di due ore. Dopo il primo momento d’incertezza, e dopo aver lasciato sul terreno i primi feriti, gli studenti contrattaccano, anch’essi con una furia rabbiosa.
Spaccano le panchine e i rami degli alberi e si armano. Il lancio di sassi e di bastoni verso la polizia è fittissimo. Gli agenti rispondono anch’essi con sassi e manganelli. Sul muricciolo dell’Istituto culturale giapponese un ragazzo crolla di schianto colpito da un sanpietrino che gli ha fatto un buco nella testa. All’angolo di via Bruno Buozzi una Giulia della polizia investe quasi in pieno un gruppo di giovani che trasportano un ferito: un agente impugna il mitra. Due pullman che portano rinforzi sono attaccati a sassate e tutti i vetri volano in pezzi.Nel frattempo un pullman della polizia, due camionette e una 600 dei carabinieri stanno bruciando. Il grande attacco alla collina di architettura è lanciato: i giovani si scatenano in massa su per il terrapieno e la scalinata, arrivano fino alla porta della facoltà, entrano: l’università è rioccupata. Ma dura poco, non più di dieci minuti.
Il luogo si trasformò in un campo di battaglia. A un certo punto, un gruppo di persone capeggiate da Fuskas e da me, riuscì a salire per il pendio erboso di fronte alla facoltà e a infilarsi in un ingresso. Qui, però, rimanemmo imbottigliati: eravamo in un androne stretto e lungo con una porta a vetri, dietro la quale erano asserragliati i poliziotti che occupavano la facoltà, mentre alle nostre spalle arrivavano i carabinieri. Ci trovammo quindi circondati e ci furono momenti di panico. I carabinieri, infatti, sfondarono la porta che ci eravamo chiusi alle spalle, fecero due ali sulla scalinata che scendeva da questa porta e, roteando giberne e bandoliere picchiarono selvaggiamente tutti quelli che uscivano. Io fui fortunato: una ragazza, terrorizzata, mi si aggrappò al cappotto, scivolammo sulla schiuma degli idranti, rotolando per tutta la scalinata, e ci trovammo fuori senza subire il pestaggio.
(Oreste Scalzone)
Era la dinamica di una guerriglia, piccolissima certo, senza niente di particolarmente drammatico e violento, però era una battaglia. Nessuno se ne andava. Tornavano indietro e continuavano andare all’assalto e non sera mai visto dei manifestanti dispersi che rimangono sul posto, si riunificano e vanno di nuovo contro la polizia. Era questo l’elemento che colpiva tutti noi; anche perché nessuno l’aveva organizzato, né predeterminato, né voluto” (Rezonico)
Sono arrivati i gipponi che facevano i caroselli ed erano veramente pericolosi, perché a quel punto andavano a tutta velocità per disperdere i gruppetti di persone. Per cui noi ci mettevamo in alto; loro stavano sia nel piazzale davanti ad architettura, sia sotto, dove c’è il museo d’arte moderna e facevano i caroselli a sirene spiegate. C’era fumo, puzza, lacrimogeni; hanno bruciato macchine, un pulman. Non so come, perché ancora le bottiglie non c’erano; davano fuoco ai copertoni, che facevano un fumo terribile, e tra il fumo delle macchine e il fumo dei lacrimogeni non si capiva niente” (Maria Rossi)  
La riconquista di Architettura non riuscì. Dopo gli scontri si riformò il corteo gli studenti defluirono verso piazzale Flaminio, poi per piazza del Popolo, in piazza Colonna e alla fine il corteo si fermò sotto Palazzo Chigi, difeso da quattro file di poliziotti. Scesero in piazza alcuni deputati comunisti tra cui Ingrao, e invitarono alcuni compagni a salire al gruppo parlamentare per discutere.  
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LA COMUNE di Louise Michel

La proclamazione della Comune fu splendida. Non era la festa del potere, ma la cerimonia del sacrificio: si sentiva che gli eletti erano votati alla morte. Il pomeriggio del 28 marzo, sotto un sole magnifico che ricordava l'alba del 18, il 7 germinale, anno 79 della repubblica, il popolo di Parigi che il 26 aveva eletto la propria Comune, inaugurò la sua entrata nel palazzo di città.
Un oceano umano sotto le armi, le baionette ritte e spesse come le spighe di un campo; lo squillare delle trombe e i tamburi che rullavano sordamente, battuti dai due inimitabili tamburini di Montmartre, quegli stessi che nella notte in cui entrarono i Prussiani svegliarono Parigi: le bacchette spettrali e i loro pugni di acciaio evocavano suoni strani. Ma questa volta le campane erano mute: il rombar pesante dei cannoni, ad intervalli regolari, salutava la rivoluzione. E le baionette si abbassavano davanti alle bandiere rosse, che a gruppi circondavano la statua della Repubblica. In alto un gran vessillo rosso. I battaglioni di Montmartre, Belleville, La Chapelle hanno le loro bandiere sormontate dal berretto frigio: si direbbero le reclute del 93. Negli squadroni, soldati di ogni arme, rimasti in Parigi: fanteria, marina, artiglieria, zuavi. Le baionette sempre più fitte occupano anche le vie laterali; la piazza è piena: sembra un campo di grano. Tutta Parigi è in piedi: il cannone a intervalli tuona. In una tribuna sta il comitato centrale: davanti i membri della Comune, tutti con la sciarpa rossa. Poche parole fra un colpo e l'altro dell'artiglieria. – Il Comitato dichiara scaduto il proprio mandato, e rimette il potere alla Comune. Si fa l'appello degli eletti. Un urlo immenso si eleva: «Viva la Comune». – I tamburi battono a battaglia, i cannoni rompono i raggi del sole. – In nome del Popolo – dice Ranvier – la Comune è proclamata! Viva la Comune!
Tutte le musiche suonano la Marsigliese e il Canto della partenza. Un uragano di voci ne ripete il ritornello. Tanti vecchi abbassano la testa verso terra: si direbbe che ascoltino la voce dei martiri della libertà. L'unico potere che avrebbe potuto far qualcosa era la Comune, composta d'uomini d''intelligenza, di coraggio, di onestà a tutta prova, i quali tutti avevano dato incontestabili prove di devozione e di energia. Il potere invece li annientò, non lasciando loro che un'indomabile volontà per il sacrificio: seppero morire eroicamente. Ma il potere è maledetto, e per questo io sono anarchica.
La sera stessa del 28 marzo, la Comune tenne la sua prima seduta, inaugurata con atto degno della grandezza di quel giorno: fu deciso infatti, per evitare questioni personali, nell'ora in cui gli individui dovevano entrare nella massa rivoluzionaria, che i manifesti non avrebbero portato altra firma che questa: La Comune.
Fin da questa prima seduta, alcuni non vollero compromettersi oltre, e dettero le loro immediate dimissioni. E siccome queste dimissioni obbligavano a delle elezioni complementari, così Versailles poté mettere a profitto il tempo che Parigi perdeva intorno alle urne. Ecco la dichiarazione fatta alla prima seduta della Comune:
Cittadini, La nostra Comune è costituita: il voto del 26 marzo
sanziona la Repubblica vittoriosa. Un potere vigliaccamente oppressore vi aveva preso alla gola, voi dovevate nella nostra legittima difesa respingere questo governo che voleva disonorarvi, imponendovi un re. Oggi i delinquenti, che voi non avete voluto neppure perseguitare, abusano della vostra magnanimità per organizzare alle porte della città un focolare di cospirazione monarchica; invocano la guerra civile, mettendo in opera tutte le corruzioni, accettando tutte le complicità, osando mendicare persino l'appoggio dello straniero. Noi ci appelliamo, contro questi raggiri, al giudizio della Francia e del mondo.
Cittadini, voi ci avete dato degli statuti che sfidano tutti i tentativi. Voi siete padroni del vostro destino; e forte del vostro appoggio, la rappresentanza che avete eletta riparerà ai disastri causati dal potere caduto. L'industria compromessa, il lavoro sospeso, i trattati di commercio paralizzati stanno ora per ricevere nuovo vigoroso impulso. Fin da oggi è stabilita l'attesa deliberazione sugli affitti, domani avrete quella sulle scadenze. Tutti i servizi pubblici ristabiliti e semplificati. La guardia nazionale, ormai unica forza armata a difesa della città, sarà organizzata. senza indugio. Questi saranno i nostri primi atti. Gli eletti dal popolo altro non domandano, per il trionfo della Repubblica, che di essere sostenuti dalla vostra fiducia. Quanto ad essi, faranno il loro dovere.
La Comune di Parigi, 28 Marzo 1871

L'impulso alla domesticazione

Gli uomini e le donne hanno ceduto la loro spontaneità naturale, fatta di stimoli sensoriali totali, permettendo ad una rete culturale (simbolica) di avvilupparci e di indicarci come vivere e pensare. Infatti, " la cultura simbolica inibisce la comunicazione umana bloccando o sopprimendo i canali della consapevolezza sensoriale. La nostra esistenza sempre più tecnologica restringe notevolmente il campo di ciò che è percepibile". La cultura simbolica ha operato in modo radicale e progressivo nell'addomesticare i nostri sensi, disponendoli secondo una logica gerarchica che privilegia la vista, quel senso che più degli altri crea una distanza tra gli esseri e le cose, trasformando l'individuo in uno spettatore: "La supremazia del visivo non è affatto accidentale: la gratuita elevazione della vista nella gerarchia dei sensi non solo pone il vedente al di fuori di ciò che vede, ma rende fondamentalmente possibile il principio di controllo di dominio".  L'udito, l'olfatto, il tatto vengono isolati e sottomessi gerarchicamente alla vista, mentre le sensazioni corporee più intime e profonde vengono umiliate e sottovalutate: "Il vero marchio di fabbrica della società moderna è la definitiva separazione corpo/mente, ascritta all'idee di Cartesio. La grande ansia cartesiana, lo spettro del caos intellettuale e morale, è stata risolta attraverso la soppressione della dimensione sensuale e passionale dell'esistenza umana. Ancora una volta, alla base della cultura troviamo l'impulso alla domesticazione, la paura di non avere il controllo; un controllo che in questo caso  punta il dito contro i sensi, con spirito di vendetta".
 

giovedì 15 marzo 2018

Il '68 ... Trento 01 febbraio 1968 (capitolo XI)

Scoppia il ’68, l’anno dell’esplosione del movimento studentesco di massa nella sua massima estensione e durata. All’inizio del 1968 almeno la metà delle trentasei università italiane sono occupate. Inizia Palazzo Campana a Torino poi Genova, Pavia, Cagliari, Sassari, Napoli, Portici, Salerno, Pisa dove la Sapienza viene sgomberata e rioccupata tre volte. Poi sarà la volta della Vandea veneta con Venezia e Padova, infine Bologna. La serie interrotta di sgomberi, scontri, scaramucce con la polizia ha il suo culmine a Roma, il 1 marzo quando la base, contro il parere della leadership, rispondeva alla serrata dell’ateneo scatenando la prima grossa guerriglia urbana nella storia del movimento studentesco italiano. La battaglia di Valle Giulia, si chiamerà così, si chiude con centocinquanta feriti tra gli agenti dell’ordine e qualche centinaio tra gli studenti.
Anche a Trento, dopo un assemblea fiume durata tutta la notte del 31 gennaio, gli studenti proclamarono la terza occupazione della facoltà di sociologia. Così il 2 febbraio con due mesi di anticipo sul maggio francese, inizia l’occupazione più lunga della storia di questa università.
Il movimento studentesco ormai padrone della situazione apre l’occupazione su quattro punti programmatici:
1) Lotta all’autoritarismo accademico e sviluppo del potere studentesco;
2) No al progetto di riforma universitaria, dell’allora ministro Gui;
3) Carta rivendicativa degli studenti;
4) Ristrutturazione del movimento studentesco.
(La mozione è approvata con 237 voti favorevoli, 7 contrari, 12 astenuti)
Il 3 febbraio l’agitazione si estende anche agli studenti medi. Anche i preti iscritti a sociologia dichiarano la loro solidarietà con gli occupanti; è solo il preludio di quello che avverrà tra poco quando numerosi preti abbandoneranno per sempre la tonaca. Il 6 dello stesso mese c’è un Convegno Nazionale Quadri dei vari movimenti studenteschi nazionali che si conclude con l’approvazione delle tesi antiautoritarie del “potere studentesco”. Mentre nei punti di accesso dell’università si ergono palizzate, sulla facciata esterna dell’edificio viene esteso un enorme striscione rosso con la scritta cubitale: POTERE STUDENTESCO. Mentre dal balcone sottostante del rettorato l’asta portabandiera del tricolore lascia sventolare un drappo rosso enorme, ai suoi due lati sventolano le bandiere del Vietnam e di Cuba. Nell’università non si entra né si esce senza regolare permesso e previa sommaria perquisizione. Sul portone d’ingresso aperto solo a metà stazionano con aria aggressiva studenti molto meno sgargianti del solito. Il colore tende al verdolino/grigio verde rotto appena da un fazzoletto rosso intorno al collo o legato a metà del bicipite generalmente sinistro; mentre le estremità di molti appaiono unificate in basso da stivaletti militari ed in alto da teste barbute con basco alla Guevara.
Alcune scritte all’interno della Università:

Non vale la pena di trovare un posto in questa società ma di creare una società in cui valga la pena di trovare un posto

Non vogliamo mangiare alla vostra tavola, vogliamo rovesciarla

EVE OF DESTRUCTION di Barry McGuire

L’Est del mondo sta esplodendo
La violenza si diffonde, i colpi sono in canna
Tu sei abbastanza grande per uccidere, ma non abbastanza per votare
Tu non credi nella guerra, ma che cos’è quell’arma che stai imbracciando?
E perfino sul fiume Giordano ci sono dei corpi che galleggiano 

Ma dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?
Non capisci quello che sto tentando di dire
E non riesci a percepire i timori che sento oggi?
Se verrà premuto il bottone, non ci sarà nessun posto dove scappare 
Nessuno si salverà, il mondo diventerà una tomba

Dai una occhiata attorno a te, ce n’è abbastanza per spaventarti, ragazzo.
Ma dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?
Si, il mio sangue è così furioso che sembra stia coagulando
Sono seduto qui e sto facendo considerazioni
Io non posso rivoltare la verità, (la verità) non conosce regole
Un piccolo numero di senatori non fa passare la nuova legge
E le marce da sole non possono portare l'integrazione 
Quando il rispetto per l’uomo si sta sgretolando
Questo grande pazzo mondo è veramente troppo frustrante
E dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?

Pensa a tutto l’odio che c’è nella Cina rossa 
E dopo getta un occhio a Selma in Alabama
Ah, tu puoi girare per quattro giorni nello spazio
E quando torni giù è sempre il solito vecchio posto
Il rullo dei tamburi, l’orgoglio e il disonore
Tu puoi incendiare la tua testa, senza lasciare traccia
Odia il tuo vicino, ma non dimenticare di dire le preghiere

E dimmi, amico, ancora ed ancora
Non credi che siamo al principio della fine?

No, no, tu non ci credi che siamo al principio della fine.

La scuola mondializzata dimora dell'abbruttimento

Che esista una repressione "popolare" (quotidiana, anonima, collettiva) della Differenza, ben al di là - o ben al di qua - delle strategie istituzionali e delle pratiche degli apparati, è un fatto che è stato  sottolineato da tradizioni teoriche molto diverse e che abbiamo tutti sperimentato nelle nostre vite.
Si tratta di una vigilanza spontanea dell'individuo, esercitata da "tutti gli altri", dalla comunità, alla maniera di una coscienza anonima armata di buonsenso e di proteofobia.  Questa repressione quotidiana della Differenza si accentua nelle scuole, agendo mediante la figura morale dell'educatore e dell'opinione cosciente incosciente degli studenti nel loro insieme. E' una repressione quotidiana, di ogni ora, esercitata dalla comunità degli studenti e dei professori. I comportamenti che sfuggono alla razionalità docente (o scolastica) vengono attaccati in due modi: con l'antipatia e l'emarginazione con cui il gruppo risponde all'individuo differente (quei bambini con cui nessuno vuole parlare, che non sono ammessi ai giochi, quegli studenti con cui nessuno vuole intavolare una amicizia, a cui non ci si rivolge mai) e attraverso un attitudine alla "correzione" da parte dell'educatore, che vede un problema e cerca di rimediarvi attraverso la normalizzazione di colui che né è colpito ("non ti isolare", "cerca di integrarti", "fai uno sforzo"). In molti casi, a causa di questa doppia azione - segregante/marginalizzante e normalizzante/integrante - l'individuo distinto si incammina, in misura variabile, verso un destino di auto-correzione, una deliberata identificazione con il gruppo,  il convergere con gli atteggiamenti e le manifestazioni della collettività; e si sforza di parlare come non gli piace, di giocare a ciò che non gli interessa, di ridurre la sfera della propria idiosincrasia che non era ben accetta dalla comunità.

giovedì 8 marzo 2018

Il '68... gennaio 1968 (capitolo X)

Gennaio 1968
01 - Sgombrato a fine dicembre dalla polizia Palazzo Campana a Torino. Un gruppo di cattolici del dissenso è fermato e denunciato mentre prega per la pace in piazza San Pietro la notte di san Silvestro.
03 - Il Vaticano precisa di non aver richiesto l’intervento della polizia. Destituito l’ispettore presso la Santa Sede. Gli operai della Stifer fabbrica di Pomezia occupata da 22 giorni, manifestano sotto la Confindustria a Roma.
04 - Giornata di lotta nel Meridione contro la scarsità d’acqua. Rettifica del Vaticano; reintegrato l’ispettore destituito. Ingiunzione di sgombro per gli operai della Stifer
05 – Cento studenti sospesi dagli esami per un anno a Palazzo Campana. Molti non sospesi restituiscono i tesserini e si dichiarano responsabili dell’occupazione di dicembre. Firmato il contratto degli Statali l’aumento minimo è di 10.000 lire.
07 – Sette e sei in condotta per gli studenti medi che hanno partecipato alle manifestazioni di dicembre. Referendum di San Francisco Kmpx, stazione underground Usa: Bob Dylan presidente, Joan Baez segretario di stato, George Harrison, ambasciatore all’Onu, i Grateful Dead ministri della giustizia, il re dell’”LSD” Owsley Stanley ministro del Commercio.
08 – A Torino prima assemblea dei rappresentanti delle università in lotta.
09 – Due studenti, un assistente e un professore denunciati a Napoli per l’occupazione dell’università nel maggio 1967.
10 – Riapertura delle università: occupati (e subito sgombrati dalla PS) Palazzo Campana e la facoltà di chimica a Padova.
11 – La polizia interrompe un’assemblea a Padova e annota le generalità di tutti i partecipanti, per protesta, in serata occupate cinque facoltà.
12 – A Padova gli studenti chiedono le dimissioni del rettore Ferro; mozione di sfiducia del consiglio di facoltà di scienze verso il rettore.
13 – Sgomberata l’aula magna di Palazzo Campana. Due giornate nazionali di mobilitazione sindacale per l’aumento delle pensioni. Disco d’oro per “Strange Days” di Jim Morrison/Doors; il gruppo californiano sta incidendo “The Unknow Soldier” contro la guerra del Vietnam.
14 – Terremoto in Sicilia: oltre 300 morti, decine di migliaia senza tetto la cui situazione per le disfunzioni nei soccorsi diventerà nei giorni seguenti ancor più drammatica.
15 – Ratificate alla Cattolica di Milano le espulsioni di Capanna, Pero e Spada; immediata protesta a San Pietro degli studenti della Cattolica di Roma.
16 – Lezioni interrotte e scioperi bianchi a Palazzo Campana. Sospesa l’occupazione a Padova. Chiuso a Roma il Centro sperimentale di cinematografia: gli studenti si riuniscono al “Filmstudio ‘70”. Esce a Roma “La Cinese” di Godard: cinque ragazzi formano una comune a Parigi: uno si suicida, uno rientra nel Pcf, una proletaria scopre la contraddizione femminile, una studentessa prepara attentati e un attore legge Brecht e Racine di porta in porta.
17 – A Torino, 2 studenti fermati, denunciati 57 (occupazione e violenze) e 170 (occupazione); cortei di protesta. A Pisa occupato e sgomberato in serata  Palazzo Sapienza.
18 – La PS blocca l’occupazione di Palazzo Campana. Sit-in di protesta (e sciopero degli assistenti) alla Cattolica di Milano. Occupato Palazzo Sapienza a Pisa. Cariche della PS contro invalidi e mutilati al centro di Roma.
19 – Sgombrata nella notte la Sapienza; assemblea di universitari e studenti medi a Fisica occupata; la polizia sgombera anche Fisica. Sciopero nazionale dei dipendenti delle case editrici.
20 – Incontro fra rettore, studenti e professori a Palazzo Campana. Caricata dalla PS una manifestazione di studenti medi a Pisa.
21 – Lo studente pisano Riccardo Di Donato, vicesegretario dell’Intesa (associazione degli studenti cattolici), riceve un mandato di comparizione per l’occupazione della Sapienza.
22 – Occupata l’università di Lecce, Sciopero di studenti e professori a Pisa.
23 – Di Donato incriminato dalla magistratura di Firenze. Manifestazioni e occupazioni in tutta la Toscana e a Lecce. Occupato e sgombrato Palazzo Campana che il rettore chiude a tempo indeterminato.
25 – Occupazioni a Firenze, Siena e Livorno; chiusa la Sapienza. Sciopero di tutte le fabbriche a Pomezia contro i ventuno licenziamenti della Stifer. Alla Fanad di Chieti uno sciopero sindacale prolungato dagli operai.
26 – A Pisa, incriminato anche lo studente Umberto Carpi. Riaperta la Sapienza. A Milano sciopero degli studenti medi e occupazione del liceo Berchet. Sciopero alla Gnutti di Brescia contro i licenziamenti politici.
27 – Incriminati a Siena 2 studenti. Manifestazione a Cagliari per l’arresto del segretario della Camera del Lavoro (per un blocco stradale del novembre 1967). 
29 – A Pisa, per entrare a Lettere bisognerà esibire il libretto. Occupate a Firenze tre facoltà. A Siena manifestazioni contro le denunce. Sciopero generale in Sardegna.
30 – A Firenze cariche della polizia contro un corteo di studenti; occupate tutte le facoltà. 8 denunce a Torino. Sospesa l’occupazione a Lecce.
31 – Manifestazione a Firenze; il rettore Devoto si dimette per protesta contro la polizia. Occupata a Trento Sociologia.  


SU di Margaret Atwood

Ti svegli col terrore 
Senza un vero motivo.
La luce del mattino filtra dalla finestra,
con i cinguettio degli uccelli 
non riesci a scendere dal letto.

C'è qualcosa nelle lenzuola gualcite
che sporgono dai bordi come foglie
di giungla, le pantofole di spugna
aprono le scure fauci rosa per i tuoi piedi,
la colazione invisibile - ce n'è un pò
nel frigorifero che non ti azzardi
ad aprire - che non ti azzarderai a mangiare.

Cosa te lo impedisce? Il futuro. Il tempo futuro,
immenso come il firmamento.
Ti ci potresti perdere.
No. Non è così semplice. Il passato, la sua densità
e avvenimenti annegati che ti spingono giù,
come acqua del mare, come gelatina
che ti riempie i polmoni invece dell'aria.

Ma lascia perdere, alziamoci.
Prova a muovere il braccio.
Prova a muovere la testa.
Fa' finta che la casa sia in fiamme
e che se non fuggi bruci.
No, non serve a nulla.
Non ha mai funzionato.

Da dove arriva, questa eco,
questo enorme No che ti circonda,
silenzioso come le pieghe delle tende gialle
muto come il vivace

vaso messicano col suo carico
di fiori mummificati?
(Li hai scelti tu i colori solari,
non i toni secchi, neutri, dell'ombra.
Dio sa se ci hai provato).

Eccone una buona:
sdraiata sul letto di morte.
Ti resta un'ora da vivere.
Chi, di preciso, hai avuto bisogno
di tutti questi anni per perdonare?

Il governo migliore è quello che non governa affatto

Accetto di tutto cuore l'affermazione " Il governo migliore è quello che governa di meno" e mi piacerebbe vederla applicata il più rapidamente e sistematicamente possibile. Essa conduce, nelle sue estreme conseguenze a questa altra affermazione alla quale pure credo." Il governo migliore è quello che non governa affatto"; e proprio questo sarà il genere di governo che avranno gli uomini non appena saranno pronti.
Il governo è nella migliore delle ipotesi, solo un espediente; solitamente la maggior parte dei governi, talvolta tutti, sono espedienti inutili. 
Le obiezioni che sono state sollevate contro l'esistenza di un esercito permanente, e sono molte, sostanziose e meritevoli di prevalere, potrebbero essere sollevate altresì contro l'esistenza di un governo permanente. Questo perché l'esercito permanente è semplicemente un braccio del governo permanente. Il governo stesso, il quale è soltanto la forma in cui il popolo ha scelto di esercitare la propria volontà, alla stessa maniera è suscettibile di abusi e di deviazioni prima ancora che il popolo possa agire mediante esso.
Per parlare tuttavia in modo concreto, e da cittadino di uno Stato a differenza di coloro che si definiscono negatori dello Stato, io non chiedo che si abolisca immediatamente il governo, ma chiedo immediatamente un governo migliore. Si permetta ad ogni uomo di rendere noto quale tipo di governo meriterebbe il suo rispetto, e questo sarà il primo passo per riuscire ad ottenerlo.
In fondo, la ragione pratica per la quale ad una maggioranza è  accordato il diritto di governare, e per lungo periodo, quando prima era il popolo a detenere questo potere, non sta nel fatto che la maggioranza sia nel giusto più verosimilmente, né perché si ritenga più equo che la minoranza ceda, quanto piuttosto che questa maggioranza è fisicamente la più forte. Al di là di questo, un governo nel quale la maggioranza comandi, non può essere fondato sulla giustizia, nemmeno nei limiti nei quali gli uomini la intendono.

Henry David Thoreau (1849)

giovedì 1 marzo 2018

Il ‘68… 1967 Trento per una Università Negativa (capitolo IX)


Nella primavera del ’67 a Trento avviene il salto qualitativo. Gli studenti escono dall’università e organizzano, investendo tutta la città, una settimana di lotte sul tema dell’imperialismo. È la settimana del Vietnam, dal 12 al 18 marzo ’67. Nell’università viene proclamato uno sciopero politico di due giorni. Durante un’affollata assemblea, tenutasi il primo giorno di sciopero, il direttore dell’Istituto chiama, per la prima volta, ingenti forze di polizia. Gli studenti conoscono così il loro primo scontro massiccio con le istituzioni. A uno a uno gli studenti sono trascinati, fotografati, schedati e denunciati, col risultato di provocare un salto enorme di coscienza politica. L’anno accademico successivo, il ‘67/’68, non può di fatto neppure aprirsi:  l’assemblea generale proclama uno sciopero “attivo”. Durante questa fase il Movimento Studentesco matura la sua svolta radicale. Il frutto più emblematico e più discusso di questa presa di coscienza è la proposta di una “università negativa”. In un manifesto a cura del Movimento per una università negativa (autunno 1967) tra l’altro si legge:
Oggi di fatto, l’università strutturalmente si pone come una organizzazione in cui la funzione è quella di soddisfare gli svariati bisogni tecnici della società. L’università fornisce gli strumenti aggiornati per mettere sempre più a punto l’organizzazione del dominio di una classe sulle altre classi. L’apparato tecnologico, così potenziato, può finalmente sostituirsi al “Terrore” del domare le forze sociali centrifughe e fornire alla classe sociale che ne dispone una superiorità immensa sul resto della società (…)

L’università è uno strumento di classe. Essa, a livello ideologico, ha la funzione di produrre e trasmettere una ideologia particolare – quella della classe dominante – che presenta invece come conoscenza obiettiva e scientifica, e delle abitudini – comportamenti particolari – quelli della classe dominante come necessari e universali.
Alle volte però, gli strumenti tecnici non sono sufficienti a mantenere lo status quo. È il caso in cui frange non integrate turbano la quiete manipolata dall’universo politico. Nell’università viene negato agli studenti il diritto di esprimersi sui problemi fondamentali (e non) della politica nazionale e internazionale ( …) REPRESSIONE E VIOLENZA sono il tessuto connettivo della nostra società. Ma noi formuliamo come ipotesi generale che vi sia ancora la possibilità concreta di un rovesciamento radicale del sistema a capitalismo maturo attraverso nuove forme di lotta di classe interna ed esterna (nazionale ed internazionale) e lanciamo l’idea di una UNIVERSITÀ NEGATIVA che riaffermi nelle università ufficiali ma in forma antagonistica ad esse la necessità di un pensiero teorico, critico e dialettico, che denunci ciò che gli imbonitori mercenari chiamano “ragione” e ponga quindi le premesse di un lavoro politico creativo, antagonista e alternativo.   

Solo il rovesciamento dello Stato permetterà una reale ristrutturazione del sistema d’insegnamento (…)
Noi abbiamo individuato l’Università Negativa come luogo di integrazione politica e analisi critica dell’uso degli strumenti scientifici proposti dallo strato intellettuale della classe dominante nelle nostre università.
Ad uso capitalistico della scienza bisogna opporre un uso socialista delle tecniche e dei metodi più avanzati.

 

SIN CITY di Robert Rodriguez e Frank Miller

Sin City è una città nera, dove la notte non tramonta mai, abitata da una schiera di personaggi più cupi della notte stessa. Tutti cattivi, ognuno a modo suo: Marv, tenero bestione con un talento creativo per la sofferenza altrui; Kevin, ragazzo emotivo che ritrova la serenità divenendo uno spietato divoratore di esseri umani; la sua abietta guida spirituale il cardinale Roark, padrone della città; Dwight, fascinoso criminale che asseconda il suo destino e dispensa morte a piene mani; Gail, sua amata e regina delle prostitute che governano la città vecchia, donne che danno grande piacere, se si paga bene e si sta alle regole, o grande dolore, se si va oltre il seminato; un bastardo giallo, che violenta e mangia bambine impunito, coperto dal mostro suo padre che è anche Senatore della città, e contrastato solo da Hartigan, uno sbirro sul viale del tramonto disposto ad una carneficina per fermarlo e salvare Nancy, timida ballerina di lap dance.
Un colore predominante, il rosso.
Rosso di labbra, rosso di un vestito, rosso di un dettaglio, rosso di un sangue che scorre a fiumi nella fulgida follia di una visione quasi monocromatica di una città dove rimane solo violenza. Rodriguez e Miller si buttano (e ci buttano) a capofitto di una masnada di personaggi dubbi, dove tradimenti e doppiogiochisti sono all'ordine del giorno, dove le regole sono fatte per essere sovvertite. Dove non ci sono eroi, ma solo persone che devono continuare a sopravvivere in una città sempre più simile ad una giungla, dove vige la legge del più forte e della selezione naturale della specie. Una superba e magistrale lezione di cinema di taglio veramente dark e pulp, e le tavole del fumetto da cui e' tratto sembrano magicamente prendere vita e sostanza in un susseguirsi frenetico di eventi e di ammiccate cinefile dal taglio astratto e vagamente horror, ma sempre virate al grottesco vista l'eccessiva saturazione di violenza di cui e' pervasa tutta la pellicola. 
Sin City è un film espressionista e sperimentale allo stesso tempo. I temi dominanti del film sono l’amore e la morte. La morte come figura ciclica e meta finale di ogni esperienza umana, e l’amore come momento forte e unico motore di ogni percorso individuale. 
Un raro esempio di cinematografia a tratti naif, che traccia dei tempi bastardi in cui viviamo e la cui morale non e' poi molto lontana dalla società' in cui viviamo ora.
Veloce, divertente e pieno di difetti, Sin City resiste ogni definizione, schiva ogni categorizzazione legata ai canoni classici, e si offre al suo pubblico come opera unica e irripetibile.
Nella città del peccato la vita non ha troppo valore, si può morire in ogni istante ma si può trovare ogni cosa se si conosce il posto giusto dove cercarla; le mezze misure non contano, perché o hai il coraggio per vivere o sei soltanto uno dei tanti, uno del mucchio, uno dei perdenti. Allora per farti strada, devi scegliere da che parte stare, buoni o cattivi non fa tanta differenza, perché una pallottola ti farà male comunque, e nessuno verrà a salvarti.


Passare da uno sviluppo quantitativo ad uno qualitativo

Oggi tutti sembrano d'accordo nel desiderare uno sviluppo diverso da quello previsto 20 anni fa e le numerose riflessioni e i molti studi condotti inizialmente da specialisti e intellettuali hanno finito con il penetrare negli ambienti politici. Maggioranza e opposizione si incontrano felicemente su questo terreno. L'idea secondo cui bisogna passare da uno sviluppo quantitativo ad uno qualitativo torna spesso un po' ovunque, e frequentemente nei discorsi del Presidente della Repubblica. Non metto in discussione che spiegare cosa sia  uno sviluppo qualitativo è difficile. faccio solo notare che ciò implica sempre che la legge del numero non sia più considerata sufficiente. Sempre più vetture, sempre più chilometri di strada, sempre più merci... non è più questo a cui si deve mirare. Sfortunatamente incappiamo qui in una specie di ostacolo amministrativo. Le amministrazioni hanno progressivamente creato  programmi di equipaggiamento, gestione, produzione e costruzione che erano espressione dell'idea di sviluppo quantitativo. Ci è voluto molto tempo per elaborarli e spesso con studi seri e approfonditi. E' stato necessario vincere l'inerzia sociale e gli oppositori, e solo dopo anni è stato possibile mettere in atto tali programmi. E' comprensibile che le amministrazioni non vogliano dare ascolto alle proposte di cambio e di orientamento: bisognerebbe ricominciare tutto da capo. Così sebbene sia stata espressa una critica indiscutibile nei confronti di questo tipo di gestione, urbanizzazione, trasporto, grandi opere, si va avanti: non è accettabile che progetti così belli vengano abbandonati, anche se i primi risultati sono disastrosi. E' necessario che le amministrazioni municipali non si lascino ingannare da calcoli economici incompleti, da piani grandiosi, dallo spettacolare; bisogna tornare alla saggezza di una crescita lenta e alla ricerca di una gestione unicamente  qualitativa che non abbia come obbiettivo l'arricchimento apparente, a scapito di quanto ciò, per altro, condanna.