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giovedì 22 marzo 2018

Il ’68 … 01 marzo 1968 Valle Giulia (capitolo XII)

Per gli studenti l’appuntamento era alle 10 a piazza di Spagna. Sono circa 4000. Poi lungo la strada se ne aggiungono altri, molti sono liceali. Adesso il corteo compatto occupa tutta la via Flaminia per una lunghezza di 200 metri. Camminano in lunghe file, si tengono uniti sotto braccio. «Che cosa volete fare? Volete occupare architettura?», chiediamo a quelli della prima fila. «Non si sa, vedremo». Non hanno un piano preciso, e in ogni caso non si sono preparati ad una battaglia. Cercano soprattutto una sede dove riunirsi, dove tenere la loro assemblea, perché il loro problema, ormai da parecchi giorni, è quello dell’assemblea. Le tradizionali associazioni studentesche controllano molto poco il movimento o non lo controllano affatto.
Le iniziative vengono prese dai comitati di agitazione, eletti quasi giorno per giorno; ma chi decide, chi imprime al movimento la sua spinta quotidiana è l’assemblea generale e uno dei problemi che ogni giorno si ripresenta è appunto quello di dove riunirsi, di dove discutere e di dove deliberare. Non vogliono subire l’ipoteca d’un partito, sebbene siano molti i partiti che vorrebbero governare il movimento. Il corteo gira per viale delle Belle Arti, sale per via Bruno Buozzi. Gli studenti marciano composti, tra polizia e fotoreporter. “Potere
studentesco”, “Via la polizia dalle università”: i cartelli sono pochi, il loro significato è ormai comprensibile a tutti. Alcuni giovani fascisti delle organizzazioni di destra, Primula e Caravella, tentano d’unirsi a loro ma vengono respinti. Intanto sono comparsi per la prima volta gli studenti con la fascia verde al braccio, che hanno appunto il compito di isolare i provocatori e mantenere l’ordine nella manifestazione. Il corteo imbocca via Gramsci e si ferma di fronte alla scalinata che sale alla facoltà. Sopra, disposti in più file, gli agenti della Celere con l’elmetto in testa e il manganello in mano. I due schieramenti si fronteggiano in silenzio per qualche secondo, immobili. Poi, dalla massa degli studenti, cominciano a partire le prime invettive e i primi lanci di uova. Dall’alto della scalinata lo schieramento di polizia si muove, di corsa, a passo di carica, lo scontro è cominciato e in pochi minuti diventa una battaglia. La battaglia durerà più di due ore. Dopo il primo momento d’incertezza, e dopo aver lasciato sul terreno i primi feriti, gli studenti contrattaccano, anch’essi con una furia rabbiosa.
Spaccano le panchine e i rami degli alberi e si armano. Il lancio di sassi e di bastoni verso la polizia è fittissimo. Gli agenti rispondono anch’essi con sassi e manganelli. Sul muricciolo dell’Istituto culturale giapponese un ragazzo crolla di schianto colpito da un sanpietrino che gli ha fatto un buco nella testa. All’angolo di via Bruno Buozzi una Giulia della polizia investe quasi in pieno un gruppo di giovani che trasportano un ferito: un agente impugna il mitra. Due pullman che portano rinforzi sono attaccati a sassate e tutti i vetri volano in pezzi.Nel frattempo un pullman della polizia, due camionette e una 600 dei carabinieri stanno bruciando. Il grande attacco alla collina di architettura è lanciato: i giovani si scatenano in massa su per il terrapieno e la scalinata, arrivano fino alla porta della facoltà, entrano: l’università è rioccupata. Ma dura poco, non più di dieci minuti.
Il luogo si trasformò in un campo di battaglia. A un certo punto, un gruppo di persone capeggiate da Fuskas e da me, riuscì a salire per il pendio erboso di fronte alla facoltà e a infilarsi in un ingresso. Qui, però, rimanemmo imbottigliati: eravamo in un androne stretto e lungo con una porta a vetri, dietro la quale erano asserragliati i poliziotti che occupavano la facoltà, mentre alle nostre spalle arrivavano i carabinieri. Ci trovammo quindi circondati e ci furono momenti di panico. I carabinieri, infatti, sfondarono la porta che ci eravamo chiusi alle spalle, fecero due ali sulla scalinata che scendeva da questa porta e, roteando giberne e bandoliere picchiarono selvaggiamente tutti quelli che uscivano. Io fui fortunato: una ragazza, terrorizzata, mi si aggrappò al cappotto, scivolammo sulla schiuma degli idranti, rotolando per tutta la scalinata, e ci trovammo fuori senza subire il pestaggio.
(Oreste Scalzone)
Era la dinamica di una guerriglia, piccolissima certo, senza niente di particolarmente drammatico e violento, però era una battaglia. Nessuno se ne andava. Tornavano indietro e continuavano andare all’assalto e non sera mai visto dei manifestanti dispersi che rimangono sul posto, si riunificano e vanno di nuovo contro la polizia. Era questo l’elemento che colpiva tutti noi; anche perché nessuno l’aveva organizzato, né predeterminato, né voluto” (Rezonico)
Sono arrivati i gipponi che facevano i caroselli ed erano veramente pericolosi, perché a quel punto andavano a tutta velocità per disperdere i gruppetti di persone. Per cui noi ci mettevamo in alto; loro stavano sia nel piazzale davanti ad architettura, sia sotto, dove c’è il museo d’arte moderna e facevano i caroselli a sirene spiegate. C’era fumo, puzza, lacrimogeni; hanno bruciato macchine, un pulman. Non so come, perché ancora le bottiglie non c’erano; davano fuoco ai copertoni, che facevano un fumo terribile, e tra il fumo delle macchine e il fumo dei lacrimogeni non si capiva niente” (Maria Rossi)  
La riconquista di Architettura non riuscì. Dopo gli scontri si riformò il corteo gli studenti defluirono verso piazzale Flaminio, poi per piazza del Popolo, in piazza Colonna e alla fine il corteo si fermò sotto Palazzo Chigi, difeso da quattro file di poliziotti. Scesero in piazza alcuni deputati comunisti tra cui Ingrao, e invitarono alcuni compagni a salire al gruppo parlamentare per discutere.  
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