Che esista una repressione "popolare" (quotidiana, anonima, collettiva) della Differenza, ben al di là - o ben al di qua - delle strategie istituzionali e delle pratiche degli apparati, è un fatto che è stato sottolineato da tradizioni teoriche molto diverse e che abbiamo tutti sperimentato nelle nostre vite.
Si tratta di una vigilanza spontanea dell'individuo, esercitata da "tutti gli altri", dalla comunità, alla maniera di una coscienza anonima armata di buonsenso e di proteofobia. Questa repressione quotidiana della Differenza si accentua nelle scuole, agendo mediante la figura morale dell'educatore e dell'opinione cosciente incosciente degli studenti nel loro insieme. E' una repressione quotidiana, di ogni ora, esercitata dalla comunità degli studenti e dei professori. I comportamenti che sfuggono alla razionalità docente (o scolastica) vengono attaccati in due modi: con l'antipatia e l'emarginazione con cui il gruppo risponde all'individuo differente (quei bambini con cui nessuno vuole parlare, che non sono ammessi ai giochi, quegli studenti con cui nessuno vuole intavolare una amicizia, a cui non ci si rivolge mai) e attraverso un attitudine alla "correzione" da parte dell'educatore, che vede un problema e cerca di rimediarvi attraverso la normalizzazione di colui che né è colpito ("non ti isolare", "cerca di integrarti", "fai uno sforzo"). In molti casi, a causa di questa doppia azione - segregante/marginalizzante e normalizzante/integrante - l'individuo distinto si incammina, in misura variabile, verso un destino di auto-correzione, una deliberata identificazione con il gruppo, il convergere con gli atteggiamenti e le manifestazioni della collettività; e si sforza di parlare come non gli piace, di giocare a ciò che non gli interessa, di ridurre la sfera della propria idiosincrasia che non era ben accetta dalla comunità.
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