Volantino sui fatti di Avola 1968
NON DOVETE STUPIRVI DI QUELLO CHE STIAMO FACENDO! Da oggi in avanti non dovete stupirvi più se quando vi recherete alla Rinascente, all' Upim, nelle gioiellerie, nei negozi alla moda, noterete la nostra presenza sempre più importuna, né dovete infastidirvi se rimarrete nelle vostre automobili bloccati a causa delle nostre fastidiose manifestazioni. Come d'altra parte non vi siete stupiti né infastiditi quando, aprendo il giornale, avete letto che due braccianti siciliani sono stati uccisi dalla polizia che voi mantenete, perché rivendicavano 250 lire in più al giorno. NON AVETE NEANCHE PENSATO CHE UNA VITA IN ITALIA OGGI VALE 125 LIRE: la millesima parte di quanto voi oggi spendete per i vostri grotteschi divertimenti natalizi. E dovete scusarci se non usiamo i vostri metodi signorili. I NOSTRI SONO ANCORA MOLTO LONTANI DA QUELLI CHE AVETE USATO AD AVOLA, MA STATE TRANQUILLI CHE CI ARRIVEREMO. Oggi disturbiamo solo un po’ la vostra bovina tranquillità con della vernice rossa. Ma uno di questi giorni qualcuno di noi si accenderà una sigaretta e lascerà cadere il cerino distrattamente in uno dei vostri negozi alla moda, in cui state facendo le compere. E NON PENSATE DI NON ESSERE I COMPLICI DEGLI ASSASSINI DI AVOLA! Sono proprio i soldi negati ai braccianti di Avola, che vi permettono oggi di ubriacarvi nell' orgia dei vostri consumi.
IL MOVIMENTO STUDENTESCO - 1968
(Il 2 dicembre 1968 ad Avola, in provincia di Siracusa, una manifestazione a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro finisce nel sangue: la polizia apre il fuoco e due lavoratori – Giuseppe Scibilia, di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25 – vengono uccisi. Quarantotto i feriti, di cui due gravi.
Al ventesimo chilometro della statale 115, quasi alle porte di Avola, non si passa più. Bisogna scendere dalla macchina e proseguire a piedi verso il grosso borgo che si intravede poco al di là della curva, quasi di fronte al mare. È difficile mantenersi in equilibrio sull’asfalto di pietre e di bossoli. È uno spettacolo desolante; si ha la precisa sensazione che qui, per diverse ore, si è svolta un’accanita battaglia. In fondo al rettilineo la strada è parzialmente ostruita dalle carcasse ancora fumanti di due automezzi della polizia dati alle fiamme. Sull’asfalto, qua e là, delle chiazze di sangue rappreso. Anche un autotreno, messo di traverso dagli operai in sciopero per bloccare la strada, è sforacchiato dai colpi e annerito dal fuoco. Proprio come una R4 e una decina di motociclette dei braccianti sui cui serbatoi i poliziotti hanno sparato per impedirgli di andarsene).
Il Dadaismo è un movimento artistico che nasce in Svizzera, a Zurigo, nel 1916. La situazione storica in cui il movimento ha origine è quello della Prima Guerra Mondiale, con un gruppo di intellettuali europei che si rifugiano in Svizzera per sfuggire alla guerra. Questo gruppo è formato da Hans Arp, Tristan Tzara, Marcel Janco, Richard Huelsenbeck, Hans Richter, e il loro esordio ufficiale viene fissato al 5 febbraio 1916, giorno in cui fu inaugurato il Cabaret Voltaire fondato dal regista teatrale Hugo Ball. Alcuni di loro sono tedeschi, come il pittore e scultore Hans Arp, altri rumeni, come il poeta e scrittore Tristan Tzara o l’architetto Marcel Janco. Il movimento, dopo il suo esordio a Zurigo, si diffonde ben presto in Europa, soprattutto in Germania e quindi a Parigi. Benché il dadaismo sia un movimento ben circoscritto e definito in area europea, vi è la tendenza di far ricadere nel medesimo ambito anche alcune esperienze artistiche che, negli stessi anni, ebbero luogo a New York negli Stati Uniti. L'esperienza dadaista americana nasce dall'incontro di alcune notevoli personalità artistiche: il pittore francese Marcel Duchamp, il pittore e fotografo americano Man Ray, il pittore franco-spagnolo Francis Picabia e il gallerista americano Alfred Stieglitz.
La poetica del caso rifiuta ogni atteggiamento razionale, e per poter continuare a produrre opere d’arte si affida ad un meccanismo ben preciso: la casualità. Il "caso", in seguito, troverà diverse applicazioni in arte: lo useranno sia i surrealisti, per far emergere l’inconscio umano, sia gli espressionisti astratti, per giungere a nuove rappresentazioni del caos, come farà Jackson Polloch con l’action painting. Tutto può essere opera d’arte se è firmato ed esposto in mostra … In un suo scritto, il poeta Tristan Tzara descrive il modo dadaista di produrre una poesia. Per fare un poema dadaista: ”Prendete un giornale. Prendete delle forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che contate di dare al vostro poema. Ritagliate l’articolo. Ritagliate quindi con cura ognuna delle parole che formano questo articolo e mettetele in un sacco. Agitate piano. Tirate fuori quindi ogni ritaglio, uno dopo l’altro, disponendoli nell’ordine in cui hanno lasciato il sacco.Copiate coscienziosamente. Il poema vi assomiglierà. Ed eccovi "uno scrittore infinitamente originale e d’una sensibilità affascinante, sebbene incompresa dall’uomo della strada".
Il 23 marzo 1921 un gruppo di anarchici milanesi, convinto sulla base di informazioni volutamente false, di poter colpire Gasti, il questore di Milano, fa esplodere un potentissimo ordigno all’esterno del teatro Diana. L’esplosione causa ventuno morti e più di centocinquanta feriti, ma ad essa scampa l’obiettivo principale. Gli autori del gesto, da tempo esasperati per la ingiusta detenzione dei redattori del quotidiano Umanità Nova, Borghi, Malatesta e Quaglino, vogliono richiamare l’attenzione sulle condizioni di salute dei tre detenuti. Costoro, infatti, nonostante l’avanzata età di Errico Malatesta, hanno appena iniziato uno sciopero della fame ad oltranza, per protestare contro le pretestuose lungaggini dei tempi processuali. Naturalmente, invece di far nascere un qualsiasi moto di solidarietà nei confronti del vecchio anarchico e dei suoi compagni di galera, il sanguinoso attentato genera un profondo moto di orrore, che si riverbera in nuove accuse e rinnovati, durissimi, attacchi a tutto il movimento anarchico.
Nessuno degli scopi che gli attentatori si sono prefissi viene raggiunto: la borghesia non si fa intimidire, ma diventa ancora più determinata nel combattere «la canaglia rossa»; i fascisti ne approfittano per compiere nuove e più selvagge azioni, quali la distruzione delle sedi di Umanità Nova e L’Avanti!; Malatesta e compagni restano in prigione, oppressi oltretutto da quanto avvenuto in loro nome; centinaia di persone assolutamente innocenti ci rimettono la pelle o l’integrità fisica; Gasti si fa ancora più infame e potente; il movimento anarchico viene isolato e sottoposto a feroci repressioni. Degli esecutori materiali, Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini sono condannati all’ergastolo, mentre Ettore Aguggini si busca 30 anni di galera. Numerosi altri anarchici, pur estranei all’attentato, subiscono pesanti condanne che vanno dai 5 ai 18 anni.
Di quanti furono coinvolti nella «faccenda del Diana», l’unico che ne ha scritto è Giuseppe Mariani. Nel 1953 ha infatti pubblicato un primo libro, Memorie di un ex-terrorista, seguito, l’anno successivo, da Nel mondo degli ergastoli. Colpisce leggendo quelle pagine, così cariche della tragedia che ne ha distrutto l’esistenza, non ci sia una sua parola, una sua sola parola a giustificazione di quanto commesso. Evidentemente i 27 anni trascorsi in galera, spesi nello studio e nella riflessione, avevano profondamente cambiato l’uomo, e il suo anarchismo, rimasto integro come negli anni della giovinezza, si era maturato nel rifiuto di ogni forma di gratuita violenza.
Peppino Mariani fu graziato nel 1948, dietro l’interessamento del suo ex compagno di detenzione, e futuro presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Trasferitosi a Sestri Levante, vi aprì una libreria, che gli permise di vivere, poveramente ma con grande dignità, fino al 1974, anno in cui si spense.
“Prima però di scendere nei particolari di quel tragico fatto ritengo necessario dire subito, anche se nelle spiegazioni successive risulterà maggiormente evidente, che senza l’arbitraria e prolungata detenzione in carcere di Errico Malatesta, l’attentato non solo non sarebbe mai stato fatto, ma neppur pensato.
Se le nostre precedenti attività terroristiche lasciano supporre in noi una formazione mentale predisposta ad azioni del genere, abbiamo anche esplicato altre attività che dimostrano tutto il contrario: la nostra partecipazione a tutte le lotte sindacali, alle agitazioni e manifestazioni collettive e alla preparazione della rivoluzione. Nel marzo del 1921 la nostra volontà era galvanizzata non solo dal fatto particolare di Malatesta detenuto e in stato di rivolta con lo sciopero della fame, ma da tutto il fermento politico e sociale del momento di cui, si può dire, noi eravamo il prodotto e l’espressione. Se poi le circostanze, trascendendo volontà e propositi, fanno seminare la morte dove si vorrebbe la pace, non diremo la solita frase con la quale gli storici da strapazzo hanno sempre creduto di giustificare i delitti di tutti i tiranni: “ Fate il processo alla storia ”. Ma diremo invece, come nel suo interrogatorio ebbe a dire il mio povero compagno Aggugini : “ Noi piangiamo sulle vittime del Diana, mentre voi non piangete mai su tutte le vittime che il vostro sistema sociale semina tutti i giorni a migliaia”.
(Tratto da: Giuseppe Mariani, Memorie di un ex-terrorista, Torino, 1953.)
28 novembre 1968. Alla fine di una grande manifestazione di migliaia di studenti, viene occupato l’ex hotel Commercio, stabile abbandonato e in degrado, da due anni di proprietà del Comune, di fronte alla Banca nazionale dell’agricoltura; poco oltre piazza Santo Stefano e l’Università statale di via Festa del Perdono. L’occupazione viene decisa e gestita dagli studenti fuori sede, ospiti della Casa dello studente di Viale Romagna. Con cognizione di causa si sceglie l’albergo Commercio; e non, come voleva l’ala “capannea” del movimento, Palazzo Reale. Molto concrete le motivazioni. Emarginazione e carenza di case dello studente, alte rette. Si supera la fase in cui gli studenti chiedevano un alloggio a prezzi accessibili. Con l’occupazione di piazza Fontana si prende e non si chiede più quello che spetta di diritto. I promotori dell’occupazione sono consapevoli che la sede scelta è congruente con i bisogni e le rivendicazioni degli studenti immigrati e di quelli più disagiati. Stabile di proprietà pubblica, in posizione centrale e strategica, vuoto ed abbandonato, è diventato luogo abituale di incontri e riunioni di gruppi di lavoratori studenti. Possiede tutte le caratteristiche per consentire a larghi strati di proletariato studentesco e giovanile di: uscire dalla marginalità e dall’isolamento; denunciare all’opinione pubblica le loro condizioni di disagio materiale ed ambientale, sfruttamento e povertà; praticare l’obiettivo di “costruire una nuova casa dello studente”; trattare direttamente col potere amministrativo locale; intervenire “nel vivo di una politica urbanistica classista della città”.
L’iniziativa, se da un lato si colloca all’interno del movimento antiautoritario degli studenti, dall’altro ne prende le distanze spesso in polemica con quegli orientamenti segnati da un rivoluzionarismo generico, incarnato in particolare nella figura dello studente a tempo pieno. I protagonisti dell’occupazione sono in maggioranza studenti immigrati e pendolari. D’estrazione proletaria, molti si mantengono agli studi con lavori e lavoretti. Nei loro documenti, cercano di dare un senso strategico alla loro specifica battaglia; di fondare sui due pilastri portanti - lo studio e il lavoro - la lotta generale contro il sistema capitalistico e l’autoritarismo delle istituzioni; di costruire ponti di collegamento tra i due mondi tenuti separati e isolati. Se studiare significa esercitarsi a risolvere problemi, finora lo studente lo ha fatto per “risolvere i problemi di chi ha comando, proprietà, ricchezza”. Occorre invece ribaltare la situazione: imparare a esercitarsi a risolvere i problemi delle classi subalterne. I mondi del lavoro e dello studio, la società e la cultura devono essere messi in
collegamento. E tra le figure sociali che meglio di altre può contribuire a questo, emerge quella dello studente lavoratore e del lavoratore studente: “E’ questa la figura nuova che di fatto sta eliminando le distanze e l’estraneità tra il mondo del lavoro e il mondo dello studio”. Occorre individuare le modalità concrete di messa in discussione dell’apparato organizzativo degli studi - rigido gerarchico autoritario - e dei meccanismi politici che ostacolano e limitano l’esercizio del diritto allo studio. L’isolamento dello studente dalla realtà sociale e la selezione classista sono, tra i tanti, i due strumenti principali della politica scolastica ed universitaria. E per quanto riguarda il settore dell’edilizia universitaria si denunciano la “gravissima carenza di alloggi per gli studenti provenienti da fuori Milano e di disagiate condizioni economiche”, e la “situazione di ghetto culturale di questi alloggi, che sorgono ai margini della città”. E “contro questo stato di cose” nasce la Nuova Casa dello studente di piazza Fontana, che presto supera il ristretto ambito studentesco e si trasforma in Casa dello studente e del lavoratore (C.S.L.).
Nella prima fase dell’occupazione, si lavora a rendere abitabile l’intero stabile e a porre all’attenzione dell’opinione pubblica la questione sociale degli studenti immigrati e disagiati. Si crea attorno alla Casa un clima favorevole e solidale. Arrivano da singoli cittadini aiuti di ogni genere (suppellettili, coperte, viveri, sottoscrizioni ecc.). Una mano materiale e politica la danno cooperative di lavoratori, organizzazioni sindacali di base come alcune commissioni interne dei tranvieri, l’UDI (la storica Unione Donne Italiane). Anche il sindaco Aniasi riconosce il problema e, mentre si dichiara pronto al dialogo, “promette di venire incontro alle più impellenti necessità”. E - annotano ironicamente gli studenti nei loro dazebao - fa arrivare mediante l’Ufficio d’igiene “materiale disinfettante con la raccomandazione di non berlo perché velenoso!”
La C.S.L. fa breccia sulla macchina politico-amministrativa della città: sul Consiglio di zona 1 e sul governo cittadino di centro-sinistra. Nel febbraio del 1969 il Consiglio comunale approva un ordine del giorno che riconosce legittimità all’occupazione.
Un tale livello di lotta sociale sindacale politica e culturale entra in crisi nella primavera del ’69, quando i rappresentanti del potere decidono di passare al contrattacco, mentre si intensificano campagne di stampa di attacco denigratorio contro la C.S.L., ormai stigmatizzata “covo” di anarchici ed estremisti, drogati e fannulloni.
Il 19 agosto 1969, con inaudita violenza nel colmo dell’estate e delle vacanze feriali, la Casa dello studente e del lavoratore quasi del tutto vuota, viene sgomberata da plotoni di carabinieri e poliziotti in assetto di guerra, e l’edificio subito demolito. Si inaugura così la stagione degli sgomberi.
Risa di sole nella mia capanna
E le mie donne belle e flessuose
Eran palme alla brezza della sera
Scivolavano i figli sul gran fiume
Come morte profondo
E le mie piroghe lottavano coi coccodrilli
Materna, la luna s’univa alle danze
Frenetico e grave del tam-tam il ritmo
Tam-Tam di gioia Tam-Tam spensierato
Fra i fuochi di libertà
Poi un giorno, il silenzio...
Del sole i raggi parvero oscurarsi
Nella capanna d’ogni senso vuota
Le bocche rosse delle mie donne premevano
Le labbra dure e sottili dei conquistatori dagli occhi d’acciaio
E i figli miei lasciarono la quieta nudità
Per l’uniforme di ferro e di sangue
E più non ci siete, neppur voi
Tam-Tam delle mie notti, Tam-Tam dei miei padri
Le catene della schiavitù han straziato il mio cuore!
Gli anni 60 sollecitavano ancora, per decifrare il contesto sociale, l'esercizio di un po' di intelligenza. Ci voleva lucidità per percepire i segni del fallimento. Trenta anni più tardi, il primo colpo d'occhio coglie da un capo all'altro della terra il degrado dello scenario, l'usura dello spettacolo, il ridicolo del potere, lo sfilacciamento dei ruoli, le toppe di una economia rappezzata. La disinvoltura e la noia calano il sipario su una tragicommedia millenaria.
L'economia ha fatto e disfatto l'impero che gli uomini hanno eretto costruendo la loro stessa rovina. Ciascuno lascia lo spogliatoio senza un travestimento che valga. Non resta che marciare in avanti, e di preferenza verso se stessi, con la solo guida del piacere che brilla in ogni istante di vita.
L.S.R.
Lega degli studenti rivoluzionari
Il governo di centro-sinistra denuncia, picchia, imprigiona e tortura operai e studenti.
CENTRO-SINISTRA COME FASCISTA
A Roma come a Torino, a Milano come a Valdagno la logica dell'intervento governativo è una sola: la violenza reazionaria.
SOCIALDEMOCRAZIA SEI LA POLIZIA
Il governo Moro-Nenni, nel reprimere operai e studenti, è il fedele interprete degli interessi dei padroni.
MORO-NENNI SERVI DEI PADRONI
A Roma come a Torino, a Milano come a Valdagno la risposta degli operai e degli studenti deve essere una sola: la lotta rivoluzionaria
2, 3, molte VALDAGNO
2, 3, molte VALLE GIULIA
Lottiamo per la libertà degli incarcerati:
IN GALERA MORO-NENNI, FUORI GLI OPERAI E GLI STUDENTI
Lottiamo per cacciare il governo oppressore:
VIA IL GOVERNO POLIZIOTTO
Lottiamo per costituire un solo fronte di lotta contro il nemico comune:
STUDENTI E OPERAI CONTRO IL GOVERNO
Lottiamo per il diritto allo studio: basta con la scuola che discrimina fra ricchi e poveri.
GOVERNO LADRO PAGACI LA SCUOLA
Mentre la repressione imperversa continua la farsa delle "elezioni democratiche". Quanto il Parlamento ci rappresenti l'abbiamo capito sulla nostra pelle.
PARLAMENTO SERVO DEI PADRONI
La lotta contro gli sfruttatori e gli oppressori è l'unica democrazia degli sfruttati e degli oppressi.
ELEZIONI NO, LOTTA DI CLASSE SI'
Noi, sfruttati ed oppressi, siamo la maggioranza. Possiamo cambiare il mondo se marceremo uniti. Dalla nostra lotta sorgerà una società senza sfruttamento ed oppressione, una società di uomini liberi.
LOTTA DI CLASSE POTERE ALLE MASSE
Milano, 7/ 5/ 68
Prendo una pillola e vado a dormire
Vado a caccia di streghe per la strada
Sono l’ultima pagina del tuo libro
Non sono in grado di scrivere una canzone, solo il refrain
Guardo i cavalli nei campi
Mentre il drago agonizza dentro di me
Quando ho paura perdo la testa
Va bene così, succede tutte le volte
Quando ho paura perdo la testa
Va bene così, succede tutte le volte
L’isolamento si è scavato una buca dentro di me
Ti adoro, il suono della tua pelle
Così tante bugie ho affrontato
Il Sangue, il Paradiso, meglio restare ancorati alla terra
Così tante volte ho capito
Che quanto cercavo è davanti ai miei occhi
Sono solo in una buca per terra
Con un Teatro di Cani intorno
I mobili hanno preso vita
Stanotte danzo con un candeliere
Aquiloni in volo si raccolgono fuori dalla finestra
Sorridono spaventati
L’isolamento si è scavato una buca dentro di me
Ti adoro, il suono della tua pelle
L’isolamento si è scavato una buca dentro di me
Ti adoro, il suono della tua pelle
(Yung Lean, pseudonimo di Jonatan Aron Leandoer Håstad è un rapper svedese)
I tram cessarono immediatamente di circolare e tutti i negozi si chiusero e o sciopero generale si trovò attuato senza che ci fosse bisogno di deliberarlo e proclamarlo. L'indomani e i giorni susseguenti Ancona si trovò in stato di insurrezione potenziale. Dei negozi di armi furono saccheggiati, delle partite di grano furono requisite; una specie di organizzazione per provvedere ai bisogni alimentari della popolazione si andava abbozzando. La città era piene di truppa, navi da guerra si trovavano nel porto, ma l'autorità, pur facendo circolare grosse pattuglie non osava reprimere evidentemente perché non si sentiva sicura della obbedienza dei soldati e dei marinai. Infatti soldati e marinai fraternizzavano con il popolo; le donne, le impareggiabili donne anconetane carezzavano i soldati, distribuivano loro vino e sigarette, l'inducevano a mischiarsi con la folla; qua e là degli ufficiali erano sputacchiati e schiaffeggiati in presenza delle loro truppe e i soldati lasciavano fare. Lo sciopero prendeva ogni giorno di più il carattere di insurrezione, e già dei proclami dicevano che non si trattava più di sciopero che bisognava riorganizzare sopra nuove basi la vita cittadina.
Ora continueremo... se il governo e la borghesia si immaginano di aver vinto la rivoluzione e di averla domata; s'accorgeranno un giorno quanto e mai è grande il loro errore... le occasioni possono capitare quando uno meno se lo aspetta, bisogno stare pronti sempre.
01 – Scontro tra operai e polizia ad Ancona, di fronte alla fabbrica americana Farfisa, in sciopero dopo il licenziamento di alcuni sindacalisti.
02 – A Bologna il movimento interrompe l’inaugurazione del Congresso di medicina del lavoro. La polizia carica e gli studenti rispondono occupando l’istituto di Anatomia. Teach-in contro l’imperialismo all’università di Roma.
03 – 18 studenti medi denunciati a Roma per l’occupazione del liceo classico Lucrezio Caro, nella primavera precedente.
04 – A Milano scontri alla manifestazione per la strage di Città del Messico. In Sardegna i caschi blu caricano i pastori che occupavano i municipi e le scuole di cinque paesi. 9 operai e studenti denunciati a Pisa per violenza privata verso il direttore della Saint Gobain.
05 – Gli studenti medi entrano in agitazione. Guidano le lotte gli Istituti Tecnici e Professionali, ma sulla parola d’ordine del diritto all’assemblea, l’agitazione si estende ai licei classici e scientifici.
06 – Manifestazione a Roma contro la repressione in Messico.
10 – Manifestazione di protesta per l’uccisione di Mulele a Roma. Sciopero quasi totale alla Lancia di Torino. A Roma i baraccati occupano un gruppo di palazzine dello Iacp a Primavalle.
12 – La polizia sgombra le case occupate di Primavalle. Il direttore della libreria Feltrinelli di Roma denunciato per la vendita di bombolette spray di vernice con sopra scritto:”Dipingi di giallo il tuo poliziotto”.
13 – La giornata dedicata alla cavalleria, a Torino, finisce con cariche e fermi per la protesta del movimento studentesco.
14 – La polizia carica i picchetti di operai e studenti di fronte alla Lancia a Torino.
15 – Durissime cariche della polizia contro gli operai della Saint Gobain in sciopero. Sciopera anche il gruppo Pirelli. Al liceo Plinio Seniore di Roma il preside sospende 20 studenti per i capelli troppo lunghi.
16 – Il preside del liceo romano Mamiani invita i genitori di tre studenti a ritirare i figli dall’istituto prima che vengano sospesi da tutte le scuole italiane. molte scuole romane sono in lotta per l’assemblea e contro l’autoritarismo.
17 – Assemblea non autorizzata al Mamiani. 800 studenti chiedono di essere anche loro sospesi. I genitori dei 3 allievi minacciati di sospensione rifiutano di ritirare i loro figli.
18 – Il consiglio dei professori del Mamiani sospende per un anno da tutte le scuole Stefano Poscia e per 15 giorni altri 2 studenti.
19 – Occupato e sgombrato dalla polizia il Mamiani. Proteste e assemblee in molte scuole.
20 – L’assemblea degli studenti universitari e medi romani decide un sit-in di fronte al Mamiani per il giorno seguente.
21 – Manifestazione di fronte al Mamiani. Gli studenti delle scuole che non partecipano allo sciopero bloccano le lezioni e tengono assemblee non autorizzate.
22 – Al liceo Augusto di Roma, 17 studenti sospesi per aver scioperato contro le sospensioni del Mamiani.
23 – Assemblea permanente dei medi romani. La polizia presidia l’ingresso delle scuole. A Maddaloni, in provincia di Caserta, cariche contro un corteo di medi. Condannati a 4 mesi con la condizionale 2 arrestati negli scontri a Pisa.
25 – Corteo a Milano degli studenti del Parini.
26 – La polizia sgombra 4 facoltà occupate a Messina, subito rioccupate dagli studenti. A Palermo sgombrato un istituto tecnico occupato. La Cattolica di Milano revoca l’incarico alla professoressa Lidia Menapace, cattolica dissenziente.
27 – Il rettore e i presidi di facoltà di Messina minacciano di dimettersi per protesta contro l’intervento della polizia nell’università.
28 – 60 studenti sospesi a Sassari. Manifestazioni di studenti medi in molte città del sud. I sindacati proclamano per il 16 novembre lo sciopero generale, come pressione per la riforma delle pensioni discussa contemporaneamente in Parlamento.
29 – Ancora blocco delle lezioni al Mamiani. In lotta da giorni a Roma anche gli studenti dell’istituti tecnico Bernini.
30/31 – Cariche contro sit-in dei medi a Siracusa, Brindisi e Palermo. Gli studenti manifestano anche a Roma e Nuoro. All’università di Roma il congresso dei fisici italiani è interrotto dal movimento e decide di rinunciare alla cerimonia della premiazione finale.
Il capo della polizia criminale va a trovare l'amante, Augusta Terzi. Mentre fanno l'amore, il poliziotto le taglia la gola. Con la massima calma, convinto di essere al di sopra di ogni sospetto grazie al posto che occupa, egli trascura nel modo più assoluto di cancellare le tracce del delitto. Ritornato al commissariato, il dottore brinda insieme ai colleghi per festeggiare la sua recente promozione a capo della polizia politica. In attesa di occupare il nuovo posto, viene incaricato di dirigere l'inchiesta sul caso Terzi e si reca sul luogo del delitto. Qui ripercorre mentalmente i suoi primi rapporti con la donna, a cui piaceva subire da parte dell'amante la simulazione di interrogatori autoritari. È stata la scoperta della sua infedeltà con un giovane studente, Antonio Pace, a spingere il poliziotto ad assassinarla. Appena assunto il suo incarico nel nuovo ufficio, il dottore intensifica i controlli telefonici, di cui è vittima soprattutto Pace, accusato di essere un sovversivo. Nel frattempo l'inchiesta sul delitto prosegue e nell'appartamento della vittima vengono rinvenute un po' ovunque le impronte digitali del poliziotto. Sempre convinto di essere intoccabile, quest'ultimo decide di scrivere la propria autodenuncia e di recapitarla ai colleghi. Chiusosi in casa, immagina di ricevere la visita del commissario e di tutti gli alti funzionari della polizia. Convinto che questi ultimi preferiranno evitare lo scandalo piuttosto che servire la giustizia, egli costruisce mentalmente una scena nel corso della quale i colleghi cercano di costringerlo a negare ogni responsabilità nei confronti del crimine di cui egli si accusa. Mettendo fine alle proprie fantasticherie, il dottore constata l'arrivo reale del commissario accompagnato da un'intera squadra di agenti decisi a scagionarlo.
Il film fu scritto nel '68 e girato nel '69, in un momento storico-politico particolare per l'Italia, sullo sfondo della strage di Piazza Fontana, e all'inasprimento dello scontro sociale in atto, e dell'affaire del commissario Luigi Calabresi, ritenuto il responsabile da un parte della sinistra extraparlamentare della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli alla Questura di Milano.
In questo clima di tensione la pellicola fu messa sotto processo dalla censura per il soggetto narrato - per la rappresentazione che si faceva della Polizia (e molti videro nel personaggio del Commissario più di una somiglianza con Calabresi) - e rischiò di non uscire nelle sale
cinematografiche. Ma il film non fu bloccato dalla censura perché tutti si resero conto che la cosa avrebbe provocato uno scandalo enorme. Il particolare contesto politico del momento, una crisi di governo e la volontà della Democrazia Cristiana di trovare un accordo con i socialisti dopo le bombe di Milano rese possibile l'uscita del film. Certo il contenuto di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto non era tenero nei confronti delle autorità, mostrate nella loro arroganza.
Ricorda Elio Petri :”la polizia della Repubblica italiana nei venticinque anni successivi alla caduta del fascismo, nonostante l'abolizione della pena capitale, ha perpetrato nelle strade e nelle piazze decine e decine di condanne sommarie contro masse indifese di operai e di contadini colpevoli unicamente di lottare contro la miseria e l'ingiustizia. Nessun poliziotto ha mai pagato per tutti questi morti. Io provavo, e provo tuttora, un odio profondo nei confronti dei mandanti appartenenti alle classi dominanti e degli esecutori di questi assassinii. Tuttavia nel film mi interessava soprattutto descrivere il meccanismo che garantisce l'immunità ai servi del potere. Volevo fare un film contro la polizia, ma a modo mio”.
L'esercizio del potere diventa azione sistemica di controllo della masse attraverso l'uso della coercizione, dell'intimidazione, della rappresentazione dell'essere al di sopra della legge che vale per il popolo e non per i suoi servitori. E l'omicidio dell'amante da parte del Commissario fin dall'inizio è l'affermazione estrema del suo esercizio. Si tratta di un personaggio autoritario, intransigente e carismatico, un poliziotto di stampo scelbiano che, proprio per queste sue caratteristiche, viene promosso all'inizio del film al ruolo di dirigente dell'ufficio politico della Questura. Perfettamente caratterizzante da questo punto di vista è il suo discorso di insediamento all'insegna della legalità repressiva: "Sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale, sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo. [...] Noi siamo a guardia della Legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città malata. Ad altri il compito di educare, a noi quello di reprimere! La repressione è il nostro vaccino”.
La crisi ecologica attuale ci rammenta, tuttavia, che la pretesa superiorità della ragione strumentale è un fallimento sul suo stesso terreno. Lo strumentalismo, specialmente nella sua forma scientifica, non solo non è riuscito a essere all'altezza della sua pretesa storica di emancipare l'umanità, ma è perfino fallito nella sua più tradizionale pretesa di illuminare la mente. La scienza, immersa nei suoi mille congegni e nella sua compulsiva ricerca di innovazione, minaccia di fare a pezzi il pianeta. Assai più cogente di qualunque verdetto morale o ideologico, questo fallimento è scritto tangibilmente nella vita quotidiana, verificato dall'aria e dall'acqua inquinate, dai crescenti tassi di cancro, dagli incidenti automobilistici, dai rifiuti chimici che appestano tutto il mondo cella "civiltà" scientista. Riducendo l'etica a poco più che una questione di gusti e opinioni, lo strumentalismo ha dissolto ogni ostacolo morale ed etico alla catastrofe incombente sulla umanità. I giudizi non vengono più formulati in termini di meriti intrinseci; sono semplicemente una questione di pubblico consenso e fluttuano al mutare di bisogni e interessi particolaristici. Avendo spogliato il mondo della sua oggettività etica e ridotte la realtà ad un inventario di oggetti industriali, lo strumentalismo minaccia di rendere impossibile un atteggiamento radicalmente critico nei confronti del suo ruolo nei problemi da esso stesso creati. Se Odino pagò la sua saggezza con la perdita di un occhio , noi abbiamo pagato il nostro potere di controllo con la perdita di tutte e due gli occhi.
I moti sessantottini, come ogni movimento, ebbero una base ideologica. Tale base fu fornita dalla "Scuola di Francoforte" e soprattutto dai testi di H. Marcuse (Eros e Civiltà, edito nel 1955 e L'uomo a una dimensione, edito nel 1964).
La scuola di Francoforte, formatasi a partire dal 1922 presso il celebre "Istituto per la ricerca sociale", sul piano filosofico è sostanzialmente una teoria critica della società presente alla luce dell'ideale rivoluzionario di un'umanità futura, libera e disalienata. Essa intende porsi come pensiero critico e negativo nei confronti dell'esistente, teso a smascherarne le contraddizioni profonde e nascoste mediante un modello utopico in grado di fornire un'incitazione rivoluzionaria per un suo mutamento radicale. Marcuse, uno dei maggiori esponenti della scuola di Francoforte, polemizza, appunto, contro la società repressiva in difesa dell'individuo e della sua felicità, e con le sue opere fomenta quindi e dà una base razionale, filosofica al movimento del '68. Già in Eros e Civiltà Marcuse ritiene che la società di classe si sia sviluppata reprimendo gli istinti e la ricerca del piacere dell’uomo, impedendo la libera soddisfazione dei suoi bisogni, delle sue passioni. L'istintività, il piacere sono stati asserviti da ciò che lui chiama "principio della prestazione", cioè la direttiva di impiegare tutte le energie psico-fisiche dell'individuo per scopi produttivi e lavorativi. Ma la civiltà della prestazione non può far tacere del tutto gli impulsi primordiali verso il piacere, la cui memoria è conservata dall'inconscio e dalle sue fantasie.
Inoltre Marcuse ritiene che tale principio di prestazione abbia creato "le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione" poiché lo sviluppo tecnologico e l'automatismo hanno posto le premesse per una diminuzione radicale della quantità di energia investita nel lavoro, a tutto vantaggio dell'eros e di un lavoro quale attività libera e creatrice.
L'Utopia di Marcuse è, in sostanza, il desiderio di un paradiso ricreato in base alla conquista della civiltà. Nell'Uomo a una dimensione Marcuse riprende e radicalizza i vari motivi di critica della società tecnologica avanzata.
Il sistema tecnologico ha, infatti, la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l'individuo in un frenetico universo cosmico in cui possa mimetizzarsi. Il sistema si ammanta di forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie perché le decisioni in realtà sono sempre nelle mani di pochi. Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, cioè la classe operaia, in quanto questa si è completamente integrata nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi esclusi dalla società benpensante. Essi permangono al di fuori del processo democratico, la loro presenza prova quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria, anche se non lo è la loro coscienza; colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema: è una forza elementare che viola la regola del gioco e così facendo mostra che è un gioco “truccato".
Ad Herbert Marcuse venne poi dato l’appellativo di “cattivo maestro”in quanto accusato di essere stato un cattivo esempio per i giovani.
Durante la rivoluzione messicana, allettato da un compenso di centomila pesos, il giovane americano Bill Tate( detto Il Niño) accetta l'incarico di uccidere, per ordine degli agenti governativi, il generale Elias, capo dei rivoluzionari. Per raggiungere la sua vittima, Tate si aggrega a un gruppo di ex ribelli comandati da El Chuncho, che cerca di trarre profitto dalla rivoluzione assaltando i treni militari e le caserme per procurarsi armi che verranno vendute poi ad Elias. Bill ed El Chuncho, dopo varie peripezie, giungono finalmente al rifugio del generale Elias. Qui El Chuncho, riconosciuto responsabile della carneficina dell'intera popolazione del villaggio di San Miguel - che avrebbe potuto difendere dalle truppe del governo - si auto-condanna a morte, chiedendo di essere giustiziato da suo fratello El Santo. Ma all'improvviso, il generale viene assassinato. Il Niño infatti, salito su una collina, con un fucile di precisione, uccide prima il generale, poi El Santo e scappa
via.
Dopo una settimana El Chuncho raggiunge l'albergo Morelos, come gli aveva detto il Niño, deciso ad ucciderlo. Qui il Niño però, divide con lui metà della taglia che gli era stata data per l'assassinio di Elías, rendendo di fatto El Chuncho un uomo ricco. El Chuncho è confuso ma accetta l'offerta di denaro, insieme alla promessa di una vita migliore in America. Così il Niño lo porta da un parrucchiere, da un sarto e a lezione di ballo, ma proprio il giorno della partenza El Chuncho ha un ripensamento: vede la prepotenza del Niño che passa davanti alla fila per il biglietto del treno e la povertà di un lustrascarpe che gli chiede pochi spiccioli. Lui glieli dà e gli dice di comprarsi del pane. A questo punto stanno per salire sul treno, ma El Chuncho prende la sua pistola e dice al Niño che ha ugualmente deciso di ucciderlo. Alla domanda insistente del Niño: "Perché?", El Chuncho non riesce a spiegare l'imperativo dettato dalla sua coscienza politica e risponde soltanto: "Quien sabe?" (chi lo sa?) e mentre il suo amico cerca di estrarre la pistola lui lo uccide.
Grande western di Damiani, che sa creare un film che vive di vita propria: Quien Sabe? non è un semplice western, anzi, volendo, non è nemmeno un western. E’ un manifesto ideologico e politico, un film dai grandi temi, libertà, coerenza, coraggio: El Chuncho non è il tipico eroe senza macchia, ma un personaggio a tutto tondo, schiavo delle sue passioni che solo dopo un percorso lungo e tragico riuscirà a prendere realmente coscienza di sé ed in questo senso è bellissimo il finale, assolutamente anti-western, che ribalta l’idea del duello finale. Tutto il film è leggibile come un percorso, metaforico e non, sull’evoluzione delle idee e dei sentimenti, evidente anche nella struttura della pellicola: parte come un western minimale, passa, verso la metà, a western di ampio respiro, epico, ironico, per poi completarsi in una parte finale più matura e drammatica.
l ’68 arriverà due anni dopo, eppure Quien Sabe? ne anticipa le tematiche, i modelli terzomondisti, cavalca le ribellioni anti-colonialiste. Fa capolino anche la droga (la mescalina) nella scena della febbre malarica.
Quien Sabe? esce in un clima politico e sociale che stava per modificare i connotati del nostro Paese: un boom economico che rese ricche persone insospettabili e arriviste, con la conseguente rivoluzione proletaria incapace e allergica verso questa abbondanza. Ricordare che dal popolo nascono le rivoluzioni più significative, non dall’industria capitalista e non dalla ricchezza “facile”, un concetto che è impresso in tutta la pellicola, un grande esempio di cinema civile italiano che sfrutta il genere per raccontare altro, come spesso accadeva in quel periodo. L’essenza e il messaggio del film è racchiusa nella sequenza finale: il personaggio di Castel che dopo aver “giocato” si rivela nella sua meschinità e risulta essere classista e razzista e quella battuta di Volontè, “non comprare pane… compra dinamite!”, che rivela che i soldi e la gloria non cambiano le radici e gli ideali degli uomini di valore.
Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere. La maggior parte degli uomini non sono stati altro che animali spiritualizzati, capaci di promuovere una tecnologia al servizio dei loro interessi predatori ma incapaci di affinare umanamente la vita e raggiungere così la propria specificità di uomo, di donna, di fanciullo. Al termine di una corsa frenetica verso il profitto, i topi in tuta e in giacca e cravatta scoprono che non resta più che una misera porzione del formaggio terrestre che hanno rosicchiato da ogni lato. Dovranno progredire nel deperimento, o operare una mutazione che li renderà umani.
E’ tempo che il memento vivere prenda il posto del memento mori che bollava le conoscenze sotto il pretesto che niente è mai acquisito.
Ci siamo lasciati troppo a lungo persuadere che non c’era da attendere altro dalla sorte comune che la decadenza e la morte. É una visione da vegliardi prematuri, da golden boys caduti in senilità precoce perché hanno preferito il denaro all’infanzia. Che questi fantasmi di un presente coniugato al passato cessino di occultare la volontà di vivere che cerca in ciascuno di noi la via della sua sovranità!
Per spezzare l’oppressione, la miseria, lo sfruttamento, non basta più una sovversione avvelenata dai valori morti che essa combatte. É venuta l’ora di scommettere sulla passione incomprimibile di ciò che è vivo, dell’amore, della conoscenza, dell’avventura che chiunque abbia deciso di crearsi secondo la sua “linea di cuore” inaugura ad ogni istante.
La società nuova comincia dove comincia l’apprendistato di una vita onnipresente. Una vita da percepire e da comprendere nel minerale, nel vegetale, nell’animale, regni da cui l’uomo deriva e che porta in sé con tanta incoscienza e disprezzo. Ma anche una vita fondata sulla creatività, non sul lavoro; sull’autenticità, non sull’apparire; sull’esuberanza dei desideri, non sui meccanismi di rimozione e di sfogo. Una vita spogliata della paura, dell’obbligo, del senso di colpa, dello scambio, della dipendenza.
Perché essa coniuga inseparabilmente la coscienza e il godimento di sé e del mondo.