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giovedì 31 marzo 2022

Giovanni Passannante – Parte prima

Lunedì 14 febbraio 1910 alle ore 10 è deceduto per paralisi bronchiale, nel manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino, Giovanni Passannante. I giornali quotidiani, dal Corriere della Sera all’Avanti!, dall’Avvenire d’Italia alla Vita, fanno seguire la notizia della morte da commenti per quello che fu l’avvenimento per il quale Giovanni Passannante fu condannato a morte. Fu il 17 novembre 1878 che Umberto di Savoia, reduce da un lungo viaggio attraverso l’Italia, era accolto dal popolo pecorilmente devoto in Napoli. La carrozza nella quale, oltre a Umberto, si trovavano la regina Margherita, il principino ed il transfuga Benedetto Cairoli, ministro dell’interno, percorreva quel tratto di strada che, per il largo Carriera Grande, conduce dalla stazione ferroviaria al Palazzo Reale, quando Giovanni Passannante, di Salvia in Basilicata, si lanciò verso la carrozza e tentò di colpire re Umberto con un pugnale che aveva nascosto fra le pieghe di una bandierina. La prontezza di Benedetto Cairoli salvò Umberto I da quel primo attentato. Il Passannante aveva allora 29 anni e faceva di professione il cuoco. Fu condannato a morte ma, graziato dal Re, fu rinchiuso nell’ergastolo dell’Isola d’Elba, presso Portoferraio, ove rimase circa 10 anni, nella Torre, che da lui prese il nome. La segregazione cellulare continua, le infamie che contro di lui si compirono, gli fecero smarrire la ragione ed allora fu tradotto nel manicomio criminale di Montelupo, ove è morto cieco e completamente pazzo. L’attentato di Passannante fu sfruttato dai reazionari di quell’epoca contro la fiorente Internazionale. Nell’atto di un singolo si volle vedere il complotto; e per dare consistenza agli armeggi della polizia, fu fatto passare il Passannante per
anarchico, mentre non era che un repubblicano, e furono fatte scoppiare dalla polizia delle bombe addomesticate, ove più fiorenti erano le Sezioni dell’Internazionale, per poter avere il pretesto di fare degli arresti in massa, in onore e per la gloria della gloriosa stirpe sabauda. A Firenze la sera del 18 novembre, mentre una dimostrazione acclamante ai sovrani passava per via Nazionale, scoppiò una bomba all’Orsini che uccise e ferì diverse persone. Su testimonianza di creature della questura fu imbastito un processo che, malgrado fosse indiziario, e malgrado apparisse agli occhi d’ognuno parto della polizia, portò alla condanna di diversi Internazionalisti, fra i quali il Batacchi e lo Scarlatti a pene gravissime, che raggiunsero l’effetto sperato, cioè quello di sbandare l’Internazionale fiorentina. La figura di Giovanni Passannante, malgrado il giudizio del socialista Adolfo Zerboglio, riluce di luce propria e smentisce tutti coloro che, desiderosi di render servigi a coloro che ci comandano, vollero rimpicciolirla con il dichiarare essere il regicida un deficiente, squilibrato ed abbrutito. La migliore risposta che possiamo dare a questi sicari vecchi ruffianeggianti tutti con i poteri costituiti, è riportare integralmente quanto ebbero a dichiarare gli psichiatri Biffi e Tamburini, incaricati della perizia al processo: «Noi abbiamo esaminato attentamente le qualità psichiche del prevenuto e noi non vi abbiamo trovato nulla di anormale. L’attività produttiva della mente è in lui regolare; le espressioni di cui si serve non sono come comporterebbe la sua condizione sociale; le sue idee sono elevate e rivelano una cultura superiore. Le sue risposte denotano in lui una finezza ed una forza di pensiero non comune. Interrogato s’egli si credeva in diritto di fare violenza ai sentimenti della maggioranza, e di turbarne la tranquillità, ha risposto: La maggioranza che si rassegna è colpevole e la minoranza ha il diritto di resisterle. Alla nostra domanda come mai lui, povero cuoco, aveva la presunzione di volere scrivere degli opuscoli, rispose: Sovente gli ignoranti riescono là ove i sapienti inciampano. I sentimenti affettivi, quello del dovere soprattutto, sono in Giovanni Passannante pronunciatissimi. Lo studio della sua vita anteriore non ci ha rivelato neppure un atto di disonestà. Infine egli ha volontà ferma, parola sicura, tagliente, che riflette fedelmente il suo pensiero. Ha una fisionomia dolce, sorridente qualche volta, ed ha un comportamento energico. Interrogato se egli approvava che per la sua difesa lo si facesse passare per pazzo, rispose: Io non temo punto la morte; non voglio passare per pazzo; sacrifico volentieri la mia vita ai miei principi». (La Rivolta, Pistoia, anno I, n. 8 del 19 febbraio 1910)
 



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