Il processo si esaurì in una sola giornata, il 3 agosto 1894. La condanna a morte lasciò Caserio indifferente. Era pronto. Alla madre diede egli stesso la notizia della sua condanna con questa lettera, in data 3 agosto 1894:
Cara madre, Vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia condanna è la pena di morte. Non pensate male, mia cara madre, di me. Pensate invece che se ho compiuto questo atto, non è che sia divenuto, come molti vi diranno, un malfattore od un assassino. Voi conoscete il mio buon cuore, la dolcezza che avevo quando ero presso di voi; ebbene anche oggi è lo stesso cuore, e se ho commesso questo atto è precisamente perché stanco di vivere in un mondo così infame ...
Rifiutò di firmare il ricorso in Cassazione per il quale esistevano fondati motivi (il Presidente aveva rivolto in apertura d'udienza un inammissibile discorso ai giurati, con parole e giudizi tali da influenzarne le decisioni); rifiutò di firmare la domanda di grazia; rifiutò infine i «conforti» religiosi e, per sottrarsi alle insistenze del cappellano, gli disse di essere ebreo.
Il sedici d'agosto
nel far della mattina
il boia avea disposto
l'orrenda ghigliottina
così cominciava la canzone popolare che renderà celebre quella data. L'esecuzione, per mano del boia Deibier, giunto appositamente a Lione, avvenne esattamente alle 4,35, poco prima dell'alba. Molta gente si trovò ad assistere al supplizio: operai che andavano o uscivano dal lavoro, nottambuli, ubriachi, curiosi, circa tremila persone. Caserio affrontò il patibolo con dignità, ma davanti alla ghigliottina ebbe un sussulto di resistenza. Fece un passo indietro e gridò in dialetto «A voeri no» (non voglio): almeno così venne riferito. Ma subito si ricompose e si piegò alla morte. Appena «giustizia è fatta», come riporta il reso-conto ufficiale, qualche applauso si levò dalla folla fino allora silenziosa
Spettacolo di gioia
Francia ha manifesta
gridando viva il boia
che gli troncò la testa.
Nello stesso momento nella prigione di St. Paul un detenuto grida a gran voce «Viva l'anarchia, abbasso Deibier». Il detenuto, un povero ladro, è identificato e messo «au cachot» (ai ferri).
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