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giovedì 24 marzo 2022

Stephan Schulberg – Living Theatre

Sono entrato nel Living Theatre nell’estate del 1974. Li avevo visti quando ero studente, cinque anni prima, a New York ed ero rimasto impressionato, anche se non avevo cultura teatrale né abitudine al teatro. Ho assistito a due spettacoli, Paradise now e Frankestein. Sentivo che da quegli spettacoli emanavano saperi, intuizioni e sensibilità che facevano bene alla società. Ero rimasto davvero impressionato. Erano diventati un punto di riferimento per me. Allora ero studente, coinvolto nel movimento contro la guerra in Indocina. Proprio alla fine di quella guerra sono entrato nel Living. Io penso che per quelle centinaia di migliaia di persone che hanno assistito a uno spettacolo del Living sia stata un’esperienza importante che ha introdotto, in un modo o nell’altro, la dimensione fantastica nella loro vita. Penso che il messaggio sia quello di una creazione collettiva, di un’arte-teatro come nonviolenza, come strategia dell’immaginazione, della magia e della poesia. Indagare, sperimentare dei modi per aprire questo tesoro della creatività della gente. A me piaceva del Living il fatto che anche quelli che non avevano studiato teatro facevano a volte un teatro favoloso. Mostrava che le potenzialità sono in noi, diventava un’occasione per realizzare la creatività. E ancora il teatro politico. Il teatro, come lo concepiva il Living, era teatro politico e anche la politica è un fatto teatrale. Forse si possono mettere in evidenza gli ideali della libertà, dell’anarchia, della critica di questa società teatralmente. Mostrare che la politica come esiste oggi è una nevrosi, una malattia. La questione della creatività della gente è una questione di potere. Il dominio dell’uomo sull’uomo reprime la creatività della gente, perché i potenti hanno paura della libertà della gente. L’anarchia è anche la realizzazione di tutti i poteri creativi della gente, rendendo la vita più artistica. Vita come arte, arte come vita. Stephan Schulberg, attore e poeta, nasce in Germania in una famiglia ebraica (il padre tedesco, la madre polacca) che riuscirà a sopravvivere al nazismo. Perse le radici, i suoi genitori lo educano a essere un cittadino del mondo, e infatti Stephan cresce in paesi diversi, tra cui Israele e Francia. Torna però spesso in Germania, dove studia con Hannah Arendt. Trasferitosi negli Stati Uniti, entra nel Living Theatre partecipando alle vicende di questa comunità artistica nomade. Sempre con il Living arriverà in Italia, dove si fermerà molti anni imparando a parlare un italiano fluente. Nel maggio 2000 partecipa, insieme a Judith Malina e Hanon Reznikov, al convegno di studi Anarchici ed ebrei, storia di un incontro organizzato dal nostro centro studi a Venezia. Qui interviene sul fecondo rapporto tra cultura ebraica radicale e anarchismo e contribuisce alla performance artistica messa in scena dai membri del Living Theatre presenti al convegno. Gravemente malato, passa gli ultimi anni della sua vita a Colonia, ma neppure la malattia riesce a domarlo, tanto che pur essendo costretto sulla sedia a rotelle non abbandona l’arte marziale del Tai Chi Chuan, che ha praticato per tutta la vita. Muore il 1 agosto 2008.



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