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giovedì 3 marzo 2022

L’AUSTRALIANO – Jerzy Skolimowski

Siamo in un villaggio del Devon, nel sud dell'Inghilterra, su un campo di cricket in cui una squadra di paesani gareggia, con molto fair play, contro gli ospiti d'un asilo psichiatrico. Uno dei ricoverati, Charles Crossley, all'apparenza uomo normale ma con una strana luce negli occhi, narra al supposto Robert Graves venuto in visita che cosa gli  accadde anni fa, quando reduce dall'Australia col potere sovrannaturale acquisito dagli aborigeni di emettere un grido tanto possente da uccidere tutti all'intorno, se ne servì per strappare la giovane Rachel al marito Anthony, un musicista elettronico. Mentre si svolge la partita il racconto procede a ritroso, e contempla le fasi del fatato ricatto, per cui Anthony, credendosi protetto dal suo bel razionalismo, prima cerca di resistere al disagio prodotto dallo sconosciuto che  gli si è installato in casa a rievocare episodi di magia nera, poi tenta di liberarsene benché la moglie lo difenda, infine è costretto dalla paura (ha assistito alla morte di un pastore e del suo gregge, colpiti dall'urlo terribile) ad accettare la compiaciuta resa di Rachel e il ménage a tre. Dopo che Anthony, conquistato dai sortilegi, ha provato a spegnere l'anima dell'intruso, il racconto di Crossley torna a chiudersi sul terreno di gioco, ma    durante un uragano che fa almeno tre morti: se per fulmine o aborigena furia  ciascuno  decida in cuor suo. 

Caldamente applaudito al festival di Cannes (ebbe ex aequocon Ciao maschio di Marco Ferreri il premio speciale della giuria), L'Australiano si raccomanda per il talento con cui racchiude ed esalta molte virtù  audio-visionarie. Skolimowski ritrova lo scrupolo morale che contraddistinse i suoi film degli inizi, non escludendo che tutto il dramma sia un incubo scatenato dal  senso di colpa del marito, il quale suona l'organo in chiesa ma tradisce Rachel con una donna del villaggio, però ora lo colloca come impalpabile sottofondo d'un assoluto metaforico in cui l'angoscia e il fascino dei portenti  percorrono il quotidiano, vibrano nell'inconscio di un artista che insegue nei suoni il trionfo dell'immaginario e nell'universo mentale d'una donna che cede all'attacco di una magica virilità. Sotto un cielo che adombra prodigi fra i costumi della buona società, Skolimowski  ci porta tra fossili insidiosi e fiori fraudolenti, accosta i tè delle cinque ai riti delle tribù, apparenta gli stridori della musica elettronica ai gemiti delle  anime imprigionate nella pietra. Non ci chiede di credere al racconto, ma di serbarci aperti alla meraviglia dell'impossibile nel bel mezzo della civiltà tecnologica. Nel suo sistema di comunicazione fantastica l'urlo di Crossley è anche la nostalgia dell'uomo  naturale, la riconquista di poteri ancestrali. Film modernissimo per il taglio delle scene e per l'eco che vi serpeggia delle polemiche culturali sui rapporti fra la  malattia psichiatrica, l'impero dell'immaginazione e le nevrosi prodotte   dalla repressione sociale. Un film  che certamente non annoia; il clima rarefatto, un arcano respiro, pulsioni segrete, molto  gusto del  fantastico ed eleganti colpi di spillo contro la civiltà del rumore che ci strega ed assedia. 



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