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giovedì 24 marzo 2022

Oreste Lucchesi – dopo Caserio

Il primo luglio, a Livorno, il giornalista Giuseppe Bandi, mentre lasciava in carrozza la propria abitazione in via delle Ville, venne aggredito e pugnalato da un anarchico scalzo, identificato successivamente per Oreste Lucchesi un individuo, subito fuggito in Corsica). Il Bandi moriva poco dopo l'aggressione. Le indagini si appuntarono verso l'ambiente degli anarchici livornesi, anche in relazione al risentimento che questi nutrivano contro il Bandi autore  di una serie di violenti articoli antianarchici pubblicati su H Telegrafo dopo l'uccisione di Sadi Carnot. In uno di questi editoriali il Bandi aveva in particolare scritto di Caserio, come di «uno di quelli che nello sconvolto intelletto armeggiano col caos, e vorrebbero distrutta  e fusa nel caos l'armonia primigenia e susseguente del creato. Non è possibile ragionare... circa le teorie, o per dir meglio, le frenesie del Caserio, e di quanti altri gli furono e gli son fratelli nel delirio, nel furore, nella libidine sciagurata di rovine e di sangue». Rincarò la dose in un altro articolo Sulla bara di Carnot pubblicato su Il Telegrafo  del  27 giugno, prendendosela soprattutto con «i falsi apostoli che passeggiano inviolati e intangibili, con tanto di sigaro in bocca e co' baffi grondanti vino»  i quali avrebbero «tirato su pel capestro» il Caserio. A parte questi attacchi, che furono probabilmente il movente immediato del delitto, il Bandi era malvisto a Livorno e negli ambienti della sinistra, non solo quella rivoluzionaria ma anche quella democratica, perché simboleggiava e quasi incarnava la classe dirigente che, uscita dal Risorgimento     (egli stesso era stato cospiratore mazziniano e più tardi valoroso comandante garibaldino, nonché memorialista della spedizione dei Mille), si era fatta socialmente e politicamente conservatrice. Assertore di un governo autoritario e ostile ai movimenti popolari, il Bandi ripeteva a  livello locale l'evoluzione di Francesco Crispi, di cui  era  ammiratore e fautore. Inoltre egli si era costituito una solida base economica fondando prima, con l'aiuto dell'alta finanza toscana (Cambray Digny e Bastogi), i due giornali La Gazzetta di Livorno e H Telegrafo e divenendone in seguito il proprietario. Il Lucchesi viene arrestato il 14 luglio 1894 a Bastia e accusato di omicidio premeditato. Processato dalla Corte di assise di Firenze nel 1895, insieme ad altri sei compagni di fede, nega di far parte di associazioni sovversive, ma ammette di aver ucciso Bandi, su istigazione dell’anarchico Rosolino Romiti, anch’egli imputato nello stesso procedimento. Il pugnale – racconta Lucchesi – l’ha ricevuto da un altro anarchico, Amerigo Franchi: “Avevo anch’io letto gli articoli del Bandi” dichiara in aula “e mi dispiaceva che un uomo dabbene, un cavaliere, scrivesse così invece di badare ai fatti suoi. Accettai di ucciderlo perché la vita mia non la calcolavo più nulla”. Il 22 maggio 1895 la Corte condanna all’ergastolo Romiti, considerandolo l’istigatore dell’omicidio, e a 30 anni di carcere Lucchesi e Franchi (per favoreggiamento), e manda invece assolti gli altri imputati Antonio Neri, Virgilio Sgherri, Giuseppe Daveggia e Gustavo Lazzeri. Dopo la lettura del verdetto Lucchesi piange, mentre Romiti si mette a gridare: “Viva l’anarchia, viva la Francia, viva Caserio”. Dopo 10 anni di detenzione, Lucchesi muore nel reclusorio di Nisida il 15 ottobre 1904.



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