In California, una banda di motociclisti Hell's Angels è capeggiata da Heavenly Blues. Loser, uno della banda, si fa rubare la moto da dei motociclisti rivali, e perde anche il posto di lavoro a causa degli emblemi nazisti che porta addosso. Decisi a riprendersi la moto, gli Angels attaccano il ritrovo dei rivali e compiono la loro vendetta ma, durante l'inseguimento, Loser viene ferito seriamente da un poliziotto e portato all'ospedale. Heavenly e i suoi, nel corso di un'orgia, decidono di andare a riprendere il loro compagno, e cosi fanno. Ma Loser, privato della necessaria assistenza medica, muore di li a poco. Incuranti del rischio che comporta per loro esporsi in pubblico, gli Angels lo vogliono seppellire al suo paese natale: durante la cerimonia funebre, i convenzionali discorsi del pastore scatenano la reazionedella banda che, in chiesa, se la prende con il sacerdote facendolo finire nella bara. La giovane vedova viene violentata e il corpo di Loser preso per essere avvolto in un drappo nazista. La gente del posto, esasperata dall'atteggiamento degli Angels, li attacca, scatenando una rissa furibonda. All'arrivo della polizia, tutti i motociclisti si danno alla fuga: il solo Heavenly Blues, mormorando le parole “Non c'è posto in cui andare”, sceglie di restare, consapevole dell'inutilità della vita condotta fino ad allora. Verrà arrestato. “Ho voluto rivedere il film di Benedek The Wild One (Il selvaggio) che all'epoca avevo amato molto, per essere ben certo di non andare nella stessa direzione. Il film di Benedek mi è parso oggi vuoto di senso, gratuito, ma soprattutto trovo che è invecchiato enormemente. Restano, è chiaro, i saggi di bravura di Marlon Brando e di Lee Marvin. Solo per questo il film ha ancora qualche valore. Detto questo, il mio intento era tutt'altro quando ho cominciato a girare The Wild Angels, a partire anche solo dal fatto che ho girato totalmente in esterni e in ambienti naturali, mentre il film di Benedeck è stato girato quasi interamente in studio”. (R. Corman)
Giusto tre anni antecedenti all’uscita del cult "Easy Rider", Roger Corman, già qualificato per il suo cinema indipendente fermamente di nicchia, realizza un biker-movie in cui vorrebbe fare risplendere tutto il fascino ed il senso di emancipazione di questa sub-cultura fuorilegge duramente imposta contro il sistema e l’ordinarietà della monotona vita quotidiana di chi non ne fa parte. Regolamenti di conti a suon di cazzotti, molestie (due scene sfiorano la violenza carnale ed in una ci si arriva pure) e assalti a gang rivali fanno parte delle abitudini di questo feroce club di briganti, tra fiumi di birra e gare clandestine su due ruote. Non ci si annoia di certo, e la camera di Corman incornicia le pose migliori di Peter Fonda e Bruce Dern mentre si dilettano senza sosta fra queste scelleratezze, almeno finché uno dei membri non ci lascerà la pelle.
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