Nell’individualismo proposto da Armand non vi è assolutamente spazio per la rivoluzione intesa nel senso tradizionale del termine. La sua rivoluzione, in realtà, è una rivolta e in questo somiglia moltissimo a quella stirneriana, cioè un atto esistenziale che sta quasi contrapposto al rivolgimento politico-sociale. Egli pensa che la rivoluzione, come la guerra, scateni inutilmente la violenza e il desiderio di dominio gli uni sugli altri e che perciò non possa portare un vero miglioramento nella vita dell’individuo. Addirittura la storia insegna che le rivoluzioni sono sempre state seguite da sbalzi indietro che le han fatte deviare dal loro obiettivo primitivo.
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giovedì 20 giugno 2013
LA RIVOLUZIONE di Èmile Armand
La rivoluzione per Emile Armand va intesa come una globale rivoluzione di coscienza, un salto di qualità esistenziale, un modo radicalmente personale di rapportarsi al mondo fisico e sociale. Si tratta di suscitare e coltivare un desiderio imperioso di vivere la vita al di fuori di ogni autorità, senza tener conto delle istituzioni che mantengono la dominazione. L’azione individualista consiste in una attività capace di assimilare, sperimentare, propagare, ciascuno a propria guisa, l’anti-autoritarismo nelle varie manifestazioni dell’attività umana: etica, intellettuale, sociale, economica. E praticamente, nella soluzione personale in senso anarchico dei problemi posti dalle manifestazioni di tale attività. Esige l’auto-liberazione dell’individuo dalle influenze esterne, siano esse famigliari o sociali, la padronanza delle proprie passioni, la disponibilità di accettare nuove esperienze di vita, se queste sono in grado di far progredire la conoscenza di se stessi e la volontà individuale, la delineazione di una concezione propria della vita. Questa rivoluzione, che coinvolge integralmente l’individuo, non ammette perciò scissioni fra privato e pubblico, fra vita personale e sociale, anche se in tutto questo, beninteso, non vi è assolutamente nulla che possa ricordare l’ideologia marxiana della trasparenza e dell’identificazione del singolo con la collettività. Anzi, qui è più che mai esaltata la dimensione completamente individualistica perché a volere tale coerenza è soltanto l’individuo, che decide, se così si può dire, volta per volta, momento per momento, senza mai rendere conto a nessuno.
Nell’individualismo proposto da Armand non vi è assolutamente spazio per la rivoluzione intesa nel senso tradizionale del termine. La sua rivoluzione, in realtà, è una rivolta e in questo somiglia moltissimo a quella stirneriana, cioè un atto esistenziale che sta quasi contrapposto al rivolgimento politico-sociale. Egli pensa che la rivoluzione, come la guerra, scateni inutilmente la violenza e il desiderio di dominio gli uni sugli altri e che perciò non possa portare un vero miglioramento nella vita dell’individuo. Addirittura la storia insegna che le rivoluzioni sono sempre state seguite da sbalzi indietro che le han fatte deviare dal loro obiettivo primitivo.
Nell’individualismo proposto da Armand non vi è assolutamente spazio per la rivoluzione intesa nel senso tradizionale del termine. La sua rivoluzione, in realtà, è una rivolta e in questo somiglia moltissimo a quella stirneriana, cioè un atto esistenziale che sta quasi contrapposto al rivolgimento politico-sociale. Egli pensa che la rivoluzione, come la guerra, scateni inutilmente la violenza e il desiderio di dominio gli uni sugli altri e che perciò non possa portare un vero miglioramento nella vita dell’individuo. Addirittura la storia insegna che le rivoluzioni sono sempre state seguite da sbalzi indietro che le han fatte deviare dal loro obiettivo primitivo.
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