La Famiglia e lo Stato
La famiglia è il primo banco di prova per la creazione di cittadini ubbidienti alle leggi dello Stato. L’ambito famigliare, inteso come composto da coppia con figli, è il luogo in cui fin da piccoli/e veniamo forgiati/e a vivere relazioni asimmetriche. Come avverrà poi con lo Stato, i genitori sono tenuti a sapere tutto dei figli (controllo sociale), a fornire delle regole da seguire (leggi), a punire se vengono infrante (carcere). I genitori si occupano di soddisfare i bisogni primari dei figli, così come nell’età adulta ci penserà lo Stato attraverso la sua gestione della società basata sul lavoro: non dovremo preoccuparci di nulla per la nostra sopravvivenza, sarà sufficiente uno sforzo minimo da parte nostra, consistente nell’ubbidienza e nella sottomissione sul posto di lavoro. Il rapporto genitori-figli/e, tranne in pochi casi, è spesso iperprotettivo, o conflittuale da una delle due parti, o basato su una forte disciplina. Anche nel caso di rapporti abbastanza equilibrati, non vi è mai una vera relazione orizzontale tra i due coniugi: uno/a dei due detiene più potere dell’altro/a, e guida o influenza maggiormente la relazione. La figura del padre-marito autoritario tipica del patriarcato è molto cara allo Stato, poiché ricalca e modella la relazione autoritaria Stato-cittadino.
Ogni individuo cresce in un ambiente che è già un prodotto del potere: le prime idee sulla coppia eterosessuale, sulle relazioni tra i sessi, su come comportarsi in società, sulla necessità di obbedire ad alcune regole e di reprimere le proprie reali pulsioni, vengono apprese dai propri genitori.
Il nucleo familiare è il primo mezzo attraverso il quale il potere pone un controllo sulla formazione dei nuovi individui e li educa a vivere rapporti asimmetrici di svantaggio, che poi si moltiplicheranno nell’ambito degli studi e del lavoro fino ai megameccanismi di controllo impliciti nel sottostare alle leggi emanate dallo Stato e nel condizionamento psicologico basato sulla paura della punizione.
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