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giovedì 28 febbraio 2019

L'ultimo discorso del sub-comandante Marcos - parte seconda

...Però vi stavo dicendo che ci scontrammo con questa domanda e questo dilemma.
E scegliemmo.
Invece di dedicarci a formare guerriglieri, soldati e squadroni, preparammo promotori di educazione, di salute, e si costruirono le basi della nostra autonomia che oggi meraviglia al mondo.
Invece di costruire caserme, migliorare il nostro armamento, costruire muri e trincee, si costruirono scuole, si costruirono ospedali e centri di salute, migliorammo le nostre condizioni di vita.
Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate dal basso, scegliemmo di costruire la vita.
Tutto questo nel mezzo di una guerra che anche se sorda non era meno letale. Perché, compagni, una cosa è gridare “non siete soli” e un'altra è affrontare solo con il corpo a una colonna di blindati di truppe federali, come successe nella zona Los Altos de Chiapas, e se hai fortuna e qualcuno se ne accorge, e se hai ancora più fortuna e quello che se ne accorge si indegna, e ancora un po' più di fortuna e quello che si indegna fa qualcosa. Nel frattempo, i carri armati sono fermati dalle donne zapatiste, e in mancanza di armeria fu a suon di offese e di pietre che il serpente di acciaio dovette tornarsene indietro. E nella zona Norte de Chiapas, soffrire la nascita e lo sviluppo de sicari armati dei latifondisti, riciclati allora come paramilitari; e nella zona Tzotz Choj le aggressioni continue di organizzazioni contadine che di “indipendenti” a volte non hanno nemmeno il nome; e nella zona della Selva Tzeltal la combinazione di paramilitari e contras. -E una cosa è gridare “tutti siamo marcos” o “non tutti siamo marcos”, a seconda del caso, e un'altra è la persecuzione con tutta la macchina di guerra, l'invasione dei villaggi, le perlustrazioni delle montagne, l'uso di cani addestrati, le pale degli elicotteri artigliati scompigliando i rami degli alberi di ceiba, il “vivo o morto” che nacque nei primi giorni del gennaio del 1994 e raggiunse il suo livello più isterico nel 1995 e il resto del sessennio di colui che attualmente è impiegato di una multinazionale, e che questa zona Selva Fronteriza soffrì dal 1995 e alla quale si somma poi la stessa sequenza di aggressioni da parte di organizzazioni contadine, uso dei paramilitari, militarizzazione, attacchi.
Se c'è un qualche mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che ripetono da quei giorni, persino ripresa da persone con alti studi, per cui la guerra contro gli zapatisti sarebbe durata solo 12 giorni.
Non farò un racconto dettagliato. Qualcuno con un poco di spirito critico e di serietà può ricostruire la storia, e fare delle somme e sottrazioni per fare la conta, e dire se furono più i reporter che i poliziotti e i soldati; se furono più gli inganni che le minacce e gli insulti, se il prezzo che si poneva era per vedere il passamontagna o per catturarlo “vivo o morto”.In queste condizioni, alcune volte solo con le nostre forze ed altre con il sostegno generoso e incondizionato di gente buona di tutto il mondo, si avanzò nella costruzione ancora in-conclusa, è vero, però già definita di ciò che siamo. Non è allora una frase, fortunata o sfortunata, secondo che la si guardi dall'alto o dal basso, quella di “siamo qui i morti di sempre, morendo di nuovo, però adesso per vivere”. E' la realtà.
E quasi 20 anni dopo...
Il 21 di dicembre del 2012, quando la politica e l'esoterismo coincidevano, come altre volte, nel predicare catastrofi che sempre sono per quelli di sempre, quelli in basso, ripetemmo il colpo di mano del 1 gennaio del 94 e, senza sparare un solo colpo, senza armi, solo con il nostro silenzio, umiliammo di nuovo l'orgoglio delle città culla e nido del razzismo e del disprezzo. Se il primo di gennaio 1994, migliaia di uomini e donne senza volto attaccarono e fecero arrendere le guarnigioni che proteggevano le città, il 21 di dicembre del 2012 furono decine di migliaia quelle che occuparono senza pronunciare parole gli edifici dai quali si celebra la nostra sparizione. Il solo fatto inappellabile che l'EZLN non solo non si era indebolito, meno ancora sparito, ma che era cresciuto quantitativamente e qualitativamente sarebbe bastato perché qualsiasi mente intelligente si fosse resa conto che, in questi 20 anni, qualcosa era cambiato all'interno dell'EZLN e delle comunità.
Forse più di uno crede che abbiamo sbagliato a scegliere, che un esercito che non può e non deve impegnarsi in pace
Per molte ragioni certo, però la principale era ed è perché in questa forma finiremo per scomparire.
Forse è vero. Forse ci siamo sbagliati a coltivare la vita invece di elogiare la morte.
Ma noi prendemmo la decisione non ascoltando quelli da fuori. Non a coloro che sempre chiedono la lotta a morte, finché i morti li mettano altri.
Prendemmo la decisione guardandoci e ascoltandoci, essendo il Votán, lo spirito guardiano, collettivo che siamo.
Scegliemmo la rivolta, cioè la vita.
Questo non vuol dire che non sapessimo che la guerra dall'alto  avrebbe cercato e cerca di imporre di nuovo il dominio sopra di noi.
Sapevamo e sappiamo che una ed un altra volta dovremo difendere ciò che siamo e come siamo.
Sapevamo e sappiamo che ci dovrà essere la morte, perché ci sia la vita.
Sapevamo e sappiamo che per vivere, moriamo.

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