L'intransigenza di Péret, la sua mirabile ottusità nel perseguire la sovversione dell'esistente contro ogni forma di fideismo politico e religioso, va ampiamente al di là del vago intellettualismo contestatario del gruppo bretoniano. La sua lucidità rivoluzionaria mai venuta a meno, alla pertinacia nel rinfocolare l'odio di classe sia in ambito culturale, sia nella dimensione prettamente politica dell'agire umano, ne fanno un autore che ancora oggi rimane difficilmente recuperabile dai funzionari del sistema culturale. Basta un verso, un passo di uno dei suoi scritti teorici, e salta tutto il castello di omissioni e capziosità accademiche. Solo in pochi hanno saputo o voluto raccogliere il testimone incandescente della sua esigenza di sovversione, del suo bisogno di una riscrittura integrale della mappa del desiderio.
Il feroce antiautoritarismo di Pèret emerge prepotentemente dalla lettura della poesia inclusa in un'opera collettiva che i surrealisti pubblicarono nel 1933 a Bruxelles per omaggiare Violette Nozières, una liceale parigina appena diciottenne che era stata arrestata nell'agosto di quell'anno con l'accusa di aver avvelenato i propri genitori. La ragazza si era difesa parlando ai giudici dei rapporti incestuosi a cui l'avrebbe costretta il padre (che era uno dei macchinisti del treno presidenziale). Per gente come Péret e compagni era l'occasione buona per sputare fuoco e fiamme sulla famiglia borghese.
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