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giovedì 19 novembre 2020

ROSSO SANGUE - Leos Carax

“Bisogna nutrire gli occhi per i sogni della notte” dirà Alex ad Anna 

La cometa Halley sorvola Parigi alterandone il clima. Il virus STBO. Può uccidere uomini a migliaia, a milioni. Tutti quelli che fanno l’amore senza amore. E più si è giovani e più il rischio è grande. Basta che uno solo fa l’amore e tutti e due s’ammalano. Si può trasmettere anche con le sole carezze. E’ un retro virus. Fa soffrire orribilmente; disturbi della vista, dolori alle articolazioni, contrazioni muscolari. A Parigi due bande rivali sono in lotta: l'una capeggiata da una strana vecchia americana, con accoliti pronti a tutto (delitti compresi), l'altra composta da Marc e dal suo amico tedesco Hans (un ex medico), i quali hanno perduto sul lavoro il terzo socio, Jean. Tutti sono interessati a rubare in un laboratorio segreto un certo antidoto, il solo possibile contro il virus S.T.B.O., diffusosi nel mondo, che attacca tutti coloro "che fanno l'amore senza Amore". Marc e Hans ingaggiano il giovane Alex, figlio del socio defunto, appena uscito di galera: un ventriloquo imbattibile nel gioco delle tre carte agli angoli della strada. Alex, un ragazzo che ha in bocca perennemente una sigaretta è soprannominato “lingua muta” perché da bambino non parlava mai e i suoi stessi genitori credevano che fosse privo della parola. Innamorato di Lise, il quale però è deciso a cambiar vita. Fatto il colpo, a quanto gli viene assicurato, potrà fuggire in Svizzera. Con Marc convive l'amante Anne - una donna molto più giovane di lui - ed Alex ne è come affascinato, anche se lei è attaccatissima al suo uomo. Nella sparatoria che segue il colpo, in cui sono implicati tutti i rivali desiderosi di impossessarsi dell'antidoto, Alex viene ferito a morte ma cercherà di arrivare all'appuntamento con Lisa, che lo attende in un piccolo aeroporto...

Rosso sangue vede la luce nel 1986, è il film di un regista che non vuole accontentarsi della vulgata comune, non ritiene di dover far cinema per raccontare i suoi coetanei, o il mondo che lo circonda. Il suo film è un orgoglioso inno alla possibilità del cinema di esistere al di fuori di un tempo preordinato e dunque costituito. È un atto di ribellione, in ogni sua inquadratura, un’insubordinazione rispetto alla prassi.

Anarchico, potente, disperato, Rosso sangue è una lezione di stile e assieme una meditazione sull’amore che qui è pulsione implosiva, che brucia la pelle, destinata ad autoannientarsi. 

Rosso sangue è intimamente notturno, con sprazzi di blu elettrico e rosso vivo a interrompere il buio primissimi piani e dettagli – occhi, mani, labbra, una sigaretta che viene accesa, una lacrima, un sorriso, una smorfia, poi una carrellata a inseguire la danza folle di Alex, quasi una corsa sulle note di Modern Love di David Bowie – forse una delle sequenze più avvincenti, e giustamente più note, dell’intero film.

In Rosso sangue  Rosso sangue è un film in totale anarchia, perché davanti alla pellicola si ha sempre l’impressione che le varie fasi di lavorazione siano state concepite in totale indipendenza l’una dall’altra, risultando un’opera che respira una libertà così ampia come non si vedeva da tempo, assistiamo ad un’antologica rappresentazione della potenzialità dell’immagine, distrutta-calpestata-ricostruita-risputata-assemblata. E allora Leos Carax è un fottuto terrorista, un Joker che dipinge la sua visione del mondo riscoprendo nel Cinema la sua forma di creatività più assoluta ed immensa.

“Tu incontri una ragazza al caffè. Ordini da bere, nascono dei sentimenti. Ordini ancora da bere, e poi ancora una terza volta. Allora all’improvviso ti viene voglia di pisciare e scendi nei bagni. Ti ritrovi da solo, la ragazza là sopra, senti che c’è un sentimento che comincia a crescere. Così, in quel preciso momento, mentre sei solo nella toilette, mentre stai pisciando, mentre ti lavi le mani, è la nascita del sentimento. E’ quell’istante così appuntito, il momento preciso in cui sai che la ragazza è la sopra, che la incontrerai presto. Rosso sangue è girato in quella toilette.” (Leos Carax)




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