Ma non c’è più una cultura universale se non ci sono più culture nazionali e locali, strappate dai luoghi della propria genia, della propria generazione e delle loro genealogie. Non c’è più scambio se non ci sono più poli di scambio, più niente da scambiare. Nient’altro che gli stessi prodotti provenienti dai siti delocalizzati della divisione internazionale del lavoro, in funzione dei costi di produzione, manodopera e trasporto più bassi possibili. Niente più comunicazione se non c’è più niente da comunicare, se l’espansione e il perfezionamento dei circuiti porta alla scomparsa dei luoghi e dei loro propri geni. Se i mezzi hanno ucciso il fine è perché le reti non si connettono più a nient’altro che a se stesse. Non c’è niente da mettere in comune se non si ha più nulla di proprio. Se non ci sono più persone di qui o di altri luoghi, ma nient’altro che passeggeri uniformi e intercambiabili. Nient’altro che una circolazione di segnali in costante accelerazione e che non segnalano altro che: va bene, va bene, va bene. Nient’altro che una funzione circolare in perenne accelerazione.
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