L’impatto del sistema digitale sugli ambienti naturali resta, malgrado qualche crepa nel consenso, una delle principali cose impensate della nostra epoca, perfino negli ambienti della contestazione. La fabbricazione di smartphone e tablet, di semiconduttori e chip RFID, di antenne-ripetitori e batterie, consuma e distrugge straordinariamente risorse, in termini di metalli, energia e acqua. Il consumo elettrico legato al funzionamento delle reti e allo stoccaggio dei dati aumenta in modo vertiginoso, nella misura in cui la nostra vita è assorbita da Internet; e fa sì che il sistema digitale contribuisca alle emissioni di gas serra molto più del trasporto aereo. Ora, qual è la “soluzione” proposta dall’oligarchia politico-industriale per salvare il pianeta e il clima? Digitalizzare. Mettere ovunque sensori elettronici e microchip. Adoperare software e robot per gestire il consumo di energia e l’inquinamento. Non c’è nessun “Grande reset”. Di fronte alla catastrofe ecologia e sociale, c’è una radicalizzazione del vecchio progetto capitalista industriale di padroneggiare la natura e di razionalizzare l’essere umano, per trarvi profitto e potere. Che tutto questo sia ribattezzato “transizione energetica”, “decarbonizzazione”, “reti intelligenti di energie rinnovabili”, la leva di questa radicalizzazione risiede nel digitale. Pochi territori saranno risparmiati da questa radicalizzazione industriale: aumento spropositato di parchi eolici e pannelli solari, con l’aggiunta di nuovi reattori nucleari; moltiplicazione di antenne-ripetitori; proliferazione di data center, oltre alle miniere. L’annuncio recente della riapertura di un vecchio sito minerario, nell’Allier, per estrarre litio in grandi quantità, segna il debutto di una nuova fase: diventa sempre più difficile non stabilire il legame tra le predazioni industriali specifiche di questo o quell’altro luogo, e il Grande progetto capitalista di digitalizzazione totale. (Écran total Occitania, Tolosa, 19 novembre 2022)
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