Le relazioni sociali di classe e sfruttamento non sono semplici. Le concezioni operaiste, basate sull'idea di una classe oggettivamente rivoluzionaria definita in funzione della sua relazione con i mezzi di produzione, ignorano la massa di coloro in tutto il mondo che vengono derubati delle proprie vite dall'attuale ordine sociale ma che non trovano posto nell'apparato produttivo. Quindi queste teorie finiscono per presentare una visione ristretta e semplicistica dello sfruttamento e della trasformazione rivoluzionaria. Per portare avanti una lotta rivoluzionaria contro lo sfruttamento dobbiamo sviluppare una interpretazione della classe così come essa davvero si presenta nel mondo senza cercare alcuna garanzia. Di base, nella società classista ci sono quelli che comandano e quelli che vengono sfruttati. Un simile ordine sociale può esistere solo quando le persone perdono la capacità di determinare le condizioni della propria esistenza. Quindi la qualità essenziale che accomuna tutti gli sfruttati è il loro spossessamento, la loro perdita della capacità di prendere decisioni basilari sul modo in cui essi vivono e di dargli corso. La classe dominante è definita in funzione del proprio progetto di accumulare potere e risorse. Benché esistano senza dubbio all'interno della classe dominante dei conflitti concernenti specifici interessi e una reale competizione per il controllo di risorse e territori, questo progetto mirante al controllo della ricchezza e del potere sociali, e quindi del controllo delle vite e delle relazioni di ogni essere vivente, è predominante e fornisce a questa classe un obbiettivo comune. La classe sfruttata non ha un equivalente obbiettivo unitario che la definisca. Essa è piuttosto definita da ciò che subisce, da ciò che le è sottratto. Essendo stati sradicati dagli stili di vita che avevano conosciuto e creato con i propri pari, l'unica comunità rimasta alle persone che accomuni questa classe eterogenea è quella fornita dal Capitale e dallo Stato: la comunità del lavoro, dello scambio di beni decorata con costruzioni nazionalistiche, religiose, etniche, razziali o di sottoculture ideologiche di ogni genere e tipo per creare identità nelle quali incanalare gli slanci di individualità e di rivolta. Il concetto di un'identità proletaria oggettiva, di un singolo, unitario progetto proletario, non ha alcuna reale base dal momento che ciò che definisce qualcuno come proletario è precisamente il fatto che la sua vita è stata trasformata in una pedina nei progetti dei governanti. Dato che nella nostra condizione di proletari – intesi come sfruttati e spossessati - non può essere trovata alcuna base comune per un progetto positivo, il nostro progetto deve fondarsi sulla lotta per distruggere la nostra condizione di proletari e di spossessati. L’essenza di ciò che abbiamo perso non è il controllo sui mezzi di produzione o sulla ricchezza materiale; sono le nostre vite stesse, la nostra capacità di decidere della nostra vita nei termini dei nostri bisogni e desideri. Così la nostra lotta trova ovunque terreno fertile, in qualunque momento. Il nostro obbiettivo è quello di distruggere tutto ciò che preclude il controllo sulle nostre vite.
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