Opporsi all’informatizzazione del mondo implica ovviamente considerare che ciò è possibile – e perfino pensabile. Ciò suppone anche di trovarlo sensato e perfino desiderabile. La nostra dipendenza dagli schermi, e la concomitante riduzione delle nostre vite a una riserva di informazioni, pone almeno quattro grandi problemi politici: le imprese economiche stanno aumentando considerevolmente la loro influenza su di noi; il potere sociale tende a concentrarsi in maniera straordinaria; il lavoro è più facilmente sfruttabile dal capitale; la catastrofe ecologica in corso è chiaramente aggravata dalla crescita esponenziale delle tecnologie cosiddette “immateriali”. Come si vede, non si tratta di questioni estetiche, di partiti presi sensibili o filosofici, che possono del resto legittimamente entrare in gioco nel giudicare un mondo dove macchine, algoritmi e procedure impersonali occupano sempre più posto. Si tratta di problemi politici essenziali, davanti ai quali nessun sostenitore del progresso sociale e umano – dell’uguaglianza e della libertà – può rimanere indifferente; e ai quali un numero crescente di nostri contemporanei è effettivamente sensibile, anche se ciò non porta per il momento a un rifiuto massiccio della chincaglieria elettronica.
Ci si aspettava che il microcomputer e la società in rete decentralizzassero il potere e l’iniziativa. Vista da oggi, l’informatizzazione della vita quotidiana ha, al contrario, consolidato il potere delle grandi organizzazioni sugli individui, gli amministrati e i consumatori. Man mano che diventano “smaterializzate”, queste organizzazioni si fanno più opache che mai agli occhi dei cittadini di base, mentre dispongono di maggiori informazioni su di loro. Pensiamo al prelievo diretto sul conto, reso possibile dalla proliferazione e dall'interconnessione dei dossier del fisco, dell’Urssaf, della Previdenza sociale, del Pôle emploi, delle banche, ecc. Pensiamo ovviamente ai contatori Linky, progettati per conoscere a distanza i consumi elettrici domestici, raccogliere dati sulla composizione dettagliata di tali consumi (quali apparecchi vengono utilizzati? per quanto tempo? a che ora?), e poter modulare l’intensità della corrente a seconda delle esigenze della rete – o addirittura interromperla quando l’utente è insolvibile.
È un tale cambiamento di orizzonte quello che suggeriscono le recenti scaramucce intorno ai progetti per la completa informatizzazione del mondo: non più aspettare un ipotetico rovesciamento o indebolimento del capitalismo per discutere di tecnologie desiderabili o accettabili; ma cercare di prevenire qui e ora il peggioramento delle disuguaglianze, l’aumento del potere dei gruppi dirigenti e il declino della libertà, mettendo in panne degli ingranaggi essenziali del sistema attraverso strategie di disobbedienza civile. La proposta di ridurre massicciamente l’uso delle tecnologie avanzate e di lottare contro le politiche pubbliche che le promuovono non riguarda semplicemente una questione morale (morale sanitaria, morale ecologica, morale “esistenziale”, ecc.); è anche una proposta strategica, che scommette che opporsi individualmente e collettivamente all’informatizzazione delle nostre vite può permetterci di uscire dall’impotenza, di riconquistare una presa sul mondo, una leva per nuocere finalmente ai potenti.
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