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giovedì 1 febbraio 2024

TREVICO-TORINO – VIAGGIO NEL FIAT-NAM di Ettore Scola

Fortunato Santospirito è un giovane che da Trevico (Avellino) è giunto a Torino, convocato dalla Fiat. La prima sistemazione la trova nell'atrio della stazione in mezzo al fecciume di falliti e degenerati, poi alla mensa per i poveri e nel dormitorio pubblico. Un prete assistente sociale gli espone la situazione precaria degli immigrati meridionali e gli fornisce i primi orientamenti. Assunto in fabbrica, Fortunato osserva, ascolta, riflette e fa amicizia con un sindacalista comunista, anch'egli meridionale. Frequenta gli ambienti dove si riuniscono i meridionali, sente e legge gli incitamenti degli studenti di gruppi dell'estrema sinistra, fra i quali Vicky, ragazza saccente, simpatica e sincera a modo suo, fuggita da una famiglia priva di calore umano. Intanto ai suoi familiari comincia a mandare i primi soldi guadagnati e a scrivere loro le proprie impressioni. La vita è stentata, il lavoro durissimo è appesantito dalla frequenza delle scuole serali. I suoi incontri con Vicky si trasformano in un'amicizia, che si interrompe quando Fortunato ha ormai maturato una convinzione personale circa lo sfruttamento da parte del capitale, e la necessità che i problemi del Sud si risolvano al Sud. 

Nella Torino ultramoderna dei primi anni Settanta, mentre si costruisce una monorotaia che da sola costa un miliardo (mentre un operaio trova in busta paga al massimo un milione all’anno), la gente passa la notte nella stazione, chiama “stanza” capannoni per il carbone, va a mangiare nelle mense delle parrocchie. Una vita passata a lavorare, per un progresso della nazione dal quale l’operaio e l’operaia non trarranno mai godimento. Le classi subalterne vengono solleticate, ma a loro non arrivano altro che le briciole. Non è certo casuale che il sottotitolo di Trevico-Torino sia Viaggio nel Fiat-Nam. Il parallelismo tra il lavoro in fabbrica e l’aggressione imperialista degli Stati Uniti nei confronti del Vietnam – che proprio l’anno prima ha visto la sua conclusione, dopo un decennio di massacri di contadini – può apparire irriverente, ma ha una potenza e una chiarezza d’intenti inequivocabile. La fabbrica usura e massacra. Solo la lotta sindacale e di piazza, promossa anche da un prete nelle prime sequenze del film, ha senso. Solo attraverso la lotta di classe e la coscienza operaia si può non solo raggiungere l’obiettivo (che rimane nel corso del film una chimera) ma soprattutto trovare dignità nella vita. Proprio per non scendere a patti con la FIAT la macchina da presa di Trevico-Torino (un agile e combattivo 16mm) si ferma sempre ai cancelli della fabbrica. Ciò che avviene dentro è narrato grazie a laconici cartelli tra una macro-sequenza e l’altra. La vita operaia emerge grazie alle molte interviste documentarie che Scola intesse nel racconto, e che nessuno prima di lui aveva inserito in una produzione che non si fermasse alle sezioni di partito. Con grande acutezza il film si addentra anche nella galassia comunista, tra aderenti al PCI e giovani più attratti dalle posizioni di Lotta Continua. Nella fuga finale di Fortunato, oramai completamente cosciente del tradimento della causa operaia di un paese che ha scelto l’industrializzazione solo per accrescere il potere economico di chi gestisce la filiera, c’è la disperazione di un mondo che non accetta però in maniera prona lo stato delle cose. «Nell'elaborazione della materia narrativa un ruolo di primo piano lo svolse l'allora caporedattore dell'ufficio torinese de “l'Unità”, 

Diego Novelli, consigliere di minoranza al Comune e futuro sindaco della città. Grande affabulatore, Novelli pilotò Scola alla scoperta di un'opulenta Torino che mal sopportava l'invasione della gente del Sud in cerca di fortuna. Lo condusse nella Torino delle mense per i poveri, dei dormitori pubblici, dei letti affittati a ore, dove approdavano napoletani, irpini, pugliesi, molisani, siciliani, calabresi, lucani, perduti in una città fredda, umida e scarsamente ospitale. Lo accompagnò nei palazzoni barocchi del centro storico, nelle cui soffitte senza riscaldamento stavano accalcate le famiglie degli operai, quelle che avevano avuto la fortuna di non imbattersi nel famigerato cartello "Non si affitta a meridionali". Fu Novelli a fargli conoscere la diciottenne Vicky Franzinetti, rampolla della buona borghesia torinese (suo padre era un fisico, docente all'università di Ginevra, lo zio senatore del PCI) e militante di Lotta Continua.  (S. Masi, Ettore Scola, Gremese, Roma, 2006

«Il fatto che la direzione della Fiat, a quanto pare, non ha permesso di girare il film anche nell’interno della fabbrica, ha costretto il regista a descrivere non già il lavoro quanto gli effetti di questo lavoro nella vita misera e solitaria del ragazzo e nel suo animo sensibile e inesperto. In altri termini, Ettore Scola ha messo l’accento sugli aspetti più patetici della storia di Fortunato sia perché Fortunato è un emigrante, sia perché non è stato possibile mostrarlo alla catena di montaggio, in un reparto della Fiat. (A. Moravia, Al cinema, Bompiani, Milano, 1975)



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