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giovedì 1 dicembre 2022

Michail Alexandrovic Bakunin di Hans Magnus Enzensberger

Desidero una cosa sola, gridava: mantenere intatto sino alla fine

quel sentimento d’indignazione che mi è sacro! –

Imbonitore, testone, cosacco maledetto! – È l’amore

del fantastico, un difetto capitale della mia natura.– Maometto

senza Corano! – La quiete mi conduce alla disperazione. – Un saltimbanco,

un pontefice, un enigma. – Il suo cuore e la sua testa sono di fuoco.

Sì, Bakunin, deve essere stato proprio così. Un continuo nomadismo,

folle e svagato. Insopportabile, irragionevole, impossibile

fosti! Per quanto mi riguarda, Bakunin, ritorna o resta dove sei.

Una figura lunga in frac blu sulle barricate di Dresda,

con un volto su cui prendeva forma la rabbia più rozza. Fuoco

sull’Opera! E quando tutto fu perso, egli pretese, con la pistola

in mano, che il governo provvisorio della rivoluzione

accettasse di farsi saltare in aria (insieme a lui). (Notevole sangue freddo.)

A grande maggioranza i signori rifiutarono la proposta.

Ti ricordi, Bakunin? Sempre la stessa storia. Certo che hai dato fastidio.

Non c’è da stupirsi. E ancora oggi dai fastidio. Capisci? Dai fastidio

punto e basta. E perciò ti prego, Bakunin: ritorna.

Interrogato, in catene nelle casematte di Olmütz,

condannato a morte, trasportato in Russia, graziato al carcere a vita:

un individuo altamente pericoloso! Nella sua cella un benefattore

fa portare un pianoforte Lichtentahl. Gli cadono i denti.

Per la sua opera Prometheus inventa una dolce e dolente melodia

al cui ritmo dondolava infantilmente il capo leonino.

Ah, Bakunin, questo sei proprio tu. (Dondolava il capo leonino:

anche vent’anni dopo, a Locarno). E proprio perché sei così,

e perché non puoi comunque aiutarci in nessun modo, Bakunin, resta dove sei.

Esiliato in Siberia, scappa lungo l’Amur ghiacciato e bluastro

oltre il Pacifico, su velieri, slitte, cavalli

treni espressi, in giro per l’America selvaggia, per sei mesi

senza sosta, infine, a Paddington, poco prima di Capodanno

salta su di un calesse, corre su per le scale, si butta

nelle braccia di Herzen ed esclama: dove posso trovare delle ostriche fresche?

Poiché, a dirla in breve, Bakunin, sei un incapace, non vai bene come

modello, né come redentore, burocrate, padre della Chiesa,

o sbirro di destra o di sinistra, Bakunin, ti prego: ritorna, ritorna!

Di nuovo in esilio. Non solo il rombo della sommossa, il rumore dei Club,

il tumulto nelle piazze; anche la concitazione della vigilia,

anche gli accordi, i segni in codice, le parole d’ordine lo rendevano felice.

Gran senzatetto, perseguitato da dicerie, leggende, calunnie!

Cuore magnetico, ingenuo e prodigo! Imprecava e tuonava,

incoraggiava e prendeva decisioni per giorni e notti intere.

Non è vero? E poiché la tua attività, il tuo ozio, il tuo appetito,

la tua continua sudorazione sono di proporzioni così poco umane –

come del resto tu stesso – perciò, Bakunin, ti consiglio: resta dove sei.

Il suo biografo, l’onnisciente, dice: era impotente. Ma Tatjana,

la sorellina proibita che suonava l’arpa nella bianca casa padronale,

lo faceva impazzire. E del resto i suoi tre figli non sono suoi.

Tuttavia a Ne?aev, il mitomane, l’assassino, il gesuita, il ricattatore

e martire della rivoluzione, egli scriveva: Mio tigrotto, mio Boy,

amore mio selvaggio! (Il dispotismo degli illuminati è il peggiore.)

Ah, non parliamo d’amore, Bakunin. Morire non volevi.

Non fosti un angelo della morte politico-economico. Eri confuso

come noi, e senza malizia. Ritorna, Bakunin, ritorna.

Infine la notte a Bologna. Era agosto. Stava alla finestra.

In ascolto. In città tutto era silenzio. Gli orologi del campanile battevano le ore.

L’insurrezione era fallita. Si fece mattino. Si nascose

in un carro da fieno. La barba rasata, negli abiti di un prete,

un cestino di uova in mano, con gli occhiali verdi, zoppicò

su un bastone fino alla stazione per morire in Svizzera, nel letto.

È passato ormai molto tempo. Allora era troppo presto, come sempre,

o troppo tardi. Niente ti ha confutato, niente hai dimostrato,

e perciò resta, resta dove sei o, per conto mio, ritorna pure.

Enormi masse di carne e di grasso, idropisia, dolori alla vescica.

Ride rumorosamente, fuma senza posa, ansima, tormentato dall’asma,

legge telegrammi cifrati e scrive con inchiostro simpatico:

sfruttare e governare: la stessa, identica cosa. È gonfio e senza denti.

Tutto si va coprendo di cenere di tabacco, cucchiaini, giornali. Davanti all’abitazione

saltellano le spie. Ovunque confusione e sporcizia. Il tempo passa.

L’odore di polizia pervade ancora l’Europa. Per questo, e perché mai e in nessun luogo,

Bakunin, c’è stato, c’è o ci sarà un monumento a Bakunin,

ti prego, Bakunin: ritorna, ritorna, ritorna.

(Hans Magnus Enzensberger Scrittore tedesco (n. Kaufbeuren, Allgäu, 1929). Autore anticonformista e versatile (romanziere, autore di testi teatrali, radiofonici ecc.), è stato tra gli animatori del Gruppo 47 ed è una delle figure più interessanti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra. I suoi scritti, in particolare i saggi, sono permeati da un profondo pessimismo e denunciano causticamente le storture e le debolezze della società contemporanea).


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