Il mio dovere di amico degli imputati, solidale con le idee da essi professate, il mio pietoso ufficio di difensore di cotesti uomini e di cotesti principii io li ho adempiuti non certo con abilità, ma con fede. Alla vostra bella e gloriosa Genova io tornavo stamane dalla mia Milano, forte ed operosa, con la memoria piena di impressioni incancellabili riportate a quella mostra di belle arti. Se è è vero che l'arte rispecchia lo spirito del tempo, là, in quella palestra del genio italiano, palpita oggi, o signori, una fiera intonazione ribelle, contro la quale tutti i Sironi e le manette di questo mondo nulla possono. È l'ondata delle miserie umane, che traboccò come un grido di dolore e di protesta, dai pannelli e dagli scalpelli degli artisti. Dall'"Ultimo Spartaco" dello scultore Ripamonti alle "Riflessioni d'un affamato" del pittore Longoni, tutto il problema dell'epoca nostra serpeggia gigantesco, ed urla e minaccia, tra quei gessi e quelle tele. Perché il signor Sironi non fa un bel processo all'arte moderna, come istigatrice all'odio di classe, ed apologista di crimini? Perché non denunzia tutti quegli artisti, fior fiore del giovine genio italiano, come un'associazione di malfattori? Ma tu, o Plinio Nomellini, la sconti per tutti. A te, pittore nato dell'azzurro e della luce, il nome da anarchia non fece paura. Seguisti con occhio innamorato le fulgide costellazioni del firmamento, e comprendesti che un codice inedito ma inviolabile le regola: la legge di natura. Contemplasti la fioritura anarchica dei prati e là pure leggesti la medesima legge naturale, che nessun legislatore umano può raccogliere in un libro, se non adulterandola. E nella spontanea armonia dei colori, delle forme e delle forze della vita divinasti una spontanea armonia di diritti e d'interessi nella redenta umanità. Adoratore della verità nuda e bella, l'accarezzasti sulle tele. E il signor Sironi ci vede il simbolo. Ed odia i simboli. Gl'imperatori torturanti i primi cristiani odiavano la croce. I subalterni del commendatore poi, nelle tue belle tele, videro addirittura dei piani di fortificazione. Oggi la realtà brutale t'ha afferrato, t'ha rapito al mondo ideale dei tuoi sogni luminosi, e t'ha gettato su cotesto banco di sacrificio tra Galleani, cavalleresco e leale, e Barabino, nelle cui vene di Gavroche marinaio, scorre certo il bollente sangue del genovese Balilla. Era bene che l'arte, precorritrice dei tempi, avesse il suo rappresentante costì, tra l'ingegno e il lavoro. Ma voi, o 35 onesti, alzate la fronte in faccia i vostri giudici, senza trepidanza e senza paura. Il popolo, questo giudice sovrano - il popolo audace e tenace di questa nobilissima città, - vi ha già assolti. Lo dicono i mille fremiti di affetto di simpatia, che vi accompagnano ogni giorno sino alla porta della prigione. Ed ora, signori del Tribunale, giudicateli voi. Dite voi, se è delitto reclamare per i diseredati la loro parte di felicità, se è criminosa la loro visione di libertà, d'uguaglianza, di pace per l'affaticata razza umana. Voi non vorrete, non oserete condannare cotesti sereni combattenti d'un'idea, per colpe che non hanno commesso. Sulla fine di questo secolo, nato da una rivoluzione la quale scrisse col sangue e promulgò col tuono dei suoi cannoni la dichiarazione dei diritti dell'uomo - in questa Genova augusta delle memorie di due grandi rivoluzionari: Cristoforo Colombo, sognante innanzi al vostro bel golfo incantevole un nuovo mondo da donare alla vecchia Europa, e Giuseppe Mazzini, vagheggiante una Italia maestra di verità e di giustizia tra le genti - due grandi solitarii, due grandi perseguitati e derisi dal volgo delle anime sciocche ed imbelli - in questa Genova, dico, e nel cospetto di questo popolo fedele alle sue tradizioni di libertà una sentenza di condanna al pensiero, quale sarebbe certamente l'accettare in tutto od in parte le conclusioni del pubblico Ministero, suonerebbe oltraggio a coteste solenni memorie. E voi, o magistrati, asolverete - ne ho fede. Ché se credeste di poter arrestare il cammino delle idee di redenzione sociale con gli anni di reclusione e di sorveglianza; se vi dichiaraste competenti a giudicare le imprescrittibili manifestazioni dell'umano pensiero pugnante per la pace e la felicità degli uomini: se vi determinaste a bollare le fronti serene di quegli integri lavoratori col marchio d'una creduta infamia, che non sarebbe infine per loro che un battesimo di sacrificio - oh allora, anche se io sarò lontano quando pronunzierete la vostra sentenza, ricordatevi, o giudici, di queste mie ultime modeste ed oneste parole; al di sopra del vostro responso vi è della storia - al di sopra dei vostri tribunali sta il tribunale incorruttibile dell'avvenire. (Applausi fragorosi e prolungati, invano repressi dal Presidente).
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